Lavoro

Salario minimo: dietrofront delle aziende, ed è rottura con TiSin

Le aziende associate a Ticino Manufacturing hanno deciso di adeguarsi alle soglie fissate dalla legge – Delogu: «Le tempistiche giudiziarie e l’incertezza non erano sostenibili» – Soddisfatti i sindacati: «Non c’era altra via possibile» – Ceruso, invece, per ora non commenta
© CdT/Gabriele Putzu
Martina Salvini
30.09.2022 17:38

Alla fine, l’associazione padronale Ticino Manufacturing ha deciso di adeguarsi alla Legge sul salario minimo e di lasciare il Sindacato libero della Svizzera italiana (ex TiSin), con il quale aveva sottoscritto un contratto collettivo di lavoro (CCL) con lo scopo di «cercare un compromesso realistico che permettesse di tutelare il destino di aziende e collaboratori, in un contesto già molto difficile».

Ricorso ritirato

La decisione di Ticino Manufacturing arriva tre mesi dopo il rapporto stilato dall’Ispettorato del lavoro, che lo scorso giugno aveva bocciato l’intesa dell’associazione padronale con l’ex sindacato TiSin, contestando la legittimità del contratto stipulato e richiedendo alle aziende di adeguarsi a quanto prevede la Legge sul salario minimo. Dopo aver impugnato la decisione, Ticino Manufacturing annuncia ora il passo indietro: le aziende adotteranno la Legge sul salario minimo e procederanno al pagamento degli arretrati. E questo perché, spiega l’associazione, «le tempistiche giudiziarie e l’incertezza sono state giudicate fattori non sostenibili per l’attività imprenditoriale». Insomma, si è preferito non attendere l’esito del ricorso, che ora verrà ritirato.

Le reazioni

«È un passo atteso, una mossa inevitabile», commenta il segretario cantonale di UNIA Giangiorgio Gargantini. «Una buona notizia, in primis per i lavoratori di queste aziende e poi per il mercato del lavoro ticinese». Probabilmente, prosegue Gargantini «si sarebbe dovuto evitare tutto il teatrino a cui abbiamo assistito nell’ultimo anno. Inoltre, il fatto che ora vengano pagati gli arretrati dimostra che era qualcosa di fattibile fin da subito, come avevamo dall’inizio». Dello stesso avviso anche il segretario regioale dell’OCST e deputato del Centro/PPD Giorgio Fonio: «Non poteva finire altrimenti, è la naturale conclusione di una vicenda nata male. Anche perché, come ripetiamo da tempo, l’unico scopo di questo CCL era quello di aggirare la legge. Così facendo, però, sono state messe in discussione le condizioni dei lavoratori, ledendone la dignità». Da parte sua, il direttore della Divisione dell’economia Stefano Rizzi si limita a «prendere atto della decisione».

Posti di lavoro in pericolo?

Eppure, chiarisce il presidente di Ticino Manufacturing, l’avvocato Costantino Delogu, «il CCL stipulato con l’allora TiSin aveva l’obiettivo di trovare un compromesso che permettesse di arrivare, nell’arco di qualche anno, alle soglie indicate dalla nuova legge, dando alle aziende associate il tempo necessario per adeguarsi e non essere costrette a prendere decisioni che danneggiassero loro stesse, i collaboratori e la piazza economica ticinese». Con l’adeguamento dei salari, sostiene Delogu, il pericolo è che le aziende siano costrette a delocalizzare o, peggio, «a rinunciare al mantenimento di determinati posti di lavoro in Ticino». Su questo punto, però, i sindacati sono perentori. «Ovviamente - dice Gargantini - speriamo che i posti di lavoro restino in Ticino, ma abbiamo sempre chiarito che è prioritario il rispetto della legislazione in vigore». Detto altrimenti: «Non si può scongiurare la delocalizzazione permettendo ad alcune aziende di violare la legge».

Le strade si separano

Scegliendo di adottare il salario minimo, Ticino Manufacturing ha rescisso il contratto collettivo sottoscritto con il Sindacato libero della Svizzera italiana. Un CCL che prevedeva soglie salariali inferiori al minimo legale. «Si era cercato di trovare una soluzione realistica a una situazione oggettivamente difficile per le nostre associate», osserva però Delogu. «Purtroppo, la nostra scelta, fatta nella convinzione di agire in un perimetro di legittimità e legalità, è stata strumentalizzata, arrecando danno alla reputazione delle aziende coinvolte». La nuova strada imboccata, «ci porta verso la conclusione della relazione con il Sindacato libero della Svizzera italiana». Sindacato che, almeno per il momento, preferisce non esprimersi. «Intendo prima parlare con Ticino Manufacturing», si è limitato a dire, da noi contattato, il presidente del sindacato Nando Ceruso.