Se gustare un piatto nostrano diventasse un’impresa?

Ritrovi storici con i giorni contati, ma anche facce diventate amiche che non saranno più lì ad accogliere i clienti e a fare due chiacchiere con loro. E a cucinare per loro quei piatti che tanto amano, portando in tavola i sapori del territorio e della tradizione. Scritto in modo meno romantico: cosa ne sarà del Mendrisiotto dopo gli addii annunciati (e meritati) di storici ristoratori come i coniugi Romelli (e il «loro» grotto Bundi) e Antonio Cavadini, «ul Pavana» (negli ultimi anni all’Osteria Luis)? Con loro ai saluti, sarà il momento di salutare anche un po’ di sapori nostrani?
Di questo e di altri contraccolpi delle annunciate chiusure (recente è anche quella del Ristorante Fontanelle) abbiamo discusso con il presidente di GastroMendrisiotto Flavio «Mamo» Quadranti, gerente da un ventennio di un altro ritrovo storico come il Grotto San Martino. Gli chiediamo subito senza troppi giri di parole se c’è il rischio che il Mendrisiotto perda un po’ di «nostranità». «Il rischio può esserci, perché il Mendrisiotto qualche «colpo» lo sta perdendo – esordisce –. Però magari tra un po’ questa cultura culinaria si risveglia e risorge. È possibile, è già successo. Guardiamo ad esempio la zona di Como, fino a 15 anni fa non c’era più nessuno o quasi che proponeva piatti tipici, era difficile anche trovare un risotto milanese. Adesso invece c’è chi ha ripreso a proporli, con anche festival dedicati a piatti nostrani come la cazzöla che vengono organizzati».
Sushi o brasato?
La risposta alla nostra domanda non è semplice, e nemmeno definitiva, perché va inserita in un contesto ampio, influenzato da svariate tendenze. Tra queste ci sono le tendenze culinarie e le mode del momento. «Sono convinto che come sono esistiti per tanti anni, certi piatti continueranno ad esistere. Magari prima o poi passerà la voglia di sushi e tornerà quella di brasato e di funghi», continua il nostro interlocutore portando gli esempi all’estremo. Questo non significa che i sapori nostrani non siano più richiesti, «si guardi anche solo ai turisti confederati che hanno una grandissima passione per la nostra cucina, ma nelle nuove generazioni c’è una cultura culinaria diversa. Io sono convinto che molti giovani nemmeno sappiano cosa c’è dietro ai nostri piatti». E allora ben venga l’esistenza dei grotti: «Fortunatamente malgrado queste tendenze c’è la fortuna che nei grotti e in certi ristoranti si preparino piatti che a casa non si vedono più, o si vedono meno per molte ragioni».
Ristoratore per vocazione
Come anticipato, le tendenze che creano l’attuale contesto sono più di una. Tra queste occorre citare l’appeal, se così vogliamo chiamarlo, della professione di ristoratore. «Qualche anno fa aprire un ristorante era più interessante dal punto di vista economico, gli investimenti pagavano di più e compensavano i sacrifici professionali. Come lavoro è infatti molto impegnativo e per farlo devi avere quella che io chiamo una sorta di vocazione. Ora il lato logistico e di far tornare i conti è più complicato e logorante. Vedo i giovani che fanno fatica a buttarsi e intraprendere questa strada». La conseguenza? «È più difficile trovare chi rileva il testimone dei ristoranti che chiudono. Io mi auguro davvero che si trovi chi subentri a chi ha appena annunciato l’addio, lo spero davvero, anche solo per la storia della ristorazione del Mendrisiotto. Sarebbe davvero un gran peccato perdere questi posti e vorrebbe dire perdere anche un po’ di identità».
Un’altra conseguenza? «Gerenze più corte – continua Quadranti –; c’è meno gente che dura anni e anni perché ci si chiede se tutti questi sacrifici valgano la pena. In pochi riescono a tenere aperto per tanto tempo a queste condizioni e a questi ritmi. Ul Pavana e i coniugi Romelli sono due casi esemplari, malgrado le eccezioni ci siano, con alcuni giovani con progetti vincenti. Nella nostra regione di "senatori storici" ne rimangono forse due o tre. Le gerenze "storte" sono più frequenti, tanti ostacoli rendono l’avvio di un’attività complicato. Proporre i prezzi che si trovano in Italia ad esempio è impensabile, bisogna puntare su altro come la qualità. O la "coccola" al cliente: saper spiegare un piatto, la sua storia e l’origine degli alimenti sono dettagli che pagano».
La conclusione, o meglio la riflessione finale del nostro interlocutore è da bicchiere – in questo caso piatto – mezzo pieno: «Oggi è più difficile trovare chi rileva il testimone, visto che spesso e volentieri riprendere un ristorante significa anche dover investire in una ristrutturazione, però il potenziale c’è. Si guardi al successo enorme della Rassegna gastronomica del Mendrisiotto e Basso Ceresio o a quanto siano richiesti i ristoranti nelle occasioni speciali come le prime comunioni o i compleanni. Se ci sono questi picchi i segnali non possono essere negativi».