Se le donne in dolce attesa giocassero d’anticipo

Nei primi tre mesi di gravidanza il sentimento di gioia più puro per l’attesa di un figlio può lasciare spazio a un conflitto emotivo fatto di dubbi e paure. Anticipare le possibili complicanze, conoscerle e identificarle in modo da accompagnare con più serenità la donna in dolce attesa durante il proseguimento della gravidanza è la base portante del nuovo servizio che sta nascendo all’Ospedale regionale di Lugano.
Tramite test screening in queste 12 settimane, si vuole promuovere un nuovo approccio di affrontare la gravidanza e di ridurre i rischi legati ad essa. In qualità di apri pista della nuova attività clinica, il Dipartimento EOC di ginecologia e ostetricia del Civico organizza venerdì dalle 15.30 alle 17.30 nell’aula magna una conferenza aperta al pubblico dedicata allo screening del primo trimestre di gravidanza. Di problemi, consigli e obiettivi ne abbiamo parlato con Stefania Triunfo, ricercatrice e capoclinica di ginecologia e ostetricia dell’Ospedale regionale di Lugano.
Identificare e agire
«Il primo step fondamentale è quello del primo trimestre di gravidanza – ci spiega – perché una maggiore attenzione a questo periodo permette di concentrarsi sulla donna che potrebbe in seguito avere delle complicanze e agire subito con cure specialistiche mirate». Lo scopo del team interdisciplinare del Civico che si sta pian piano costruendo è proprio questo, informare adeguatamente la donna sui rischi e benefici della gravidanza in modo da anticipare le complicanze e prevenire i rischi.
Ma entrando più nel dettaglio, quali problemi potrebbero insorgere in questi primi tre mesi? «Stiamo parlando di una piramide rovesciata: questo trimestre ci permette, con dei test screening, di identificare quelle donne che potrebbero avere problemi di placenta non correttamente funzionante a cui fanno capo due situazioni di rischio: o la restrizione della crescita fetale oppure un disordine che riguarda maggiormente la mamma. Concentrarsi su questa fase è fondamentale anche per ridurre possibili disordini metabolici quando il neonato sarà in età giovanile, in accordo alla cosiddetta ‘programmazione fetale’. Pertanto, non solo le riduco in corso di gravidanza, ma minimizzo anche quello che potrebbe essere il rischio in età adulta».
L’età e la salute pubblica
Un altro argomento che si intreccia con questa fase è il momento migliore - biologicamente parlando - per diventare mamma. Un tema che in una società che corre e muta velocemente tiene sempre più spesso il «fiato sul collo» alle giovani mamme, ma non solo. «La donna, a causa dei cambiamenti demografici o socio-culturali, ritarda il momento della gravidanza – rileva Triunfo - Se consideriamo la curva fisiologica, il potenziale massimo di avere una buona gravidanza è a 25 anni». Il momento giusto, però, è spesso in antitesi con i programmi professionali che la donna sta portando avanti in quel momento, tant’è che l’età materna «slitta a 33-34 anni ed è una differenza significativa da un punto di vista di rischi e complicanze».
Questo approccio di gestire la gravidanza potrebbe essere considerato come una finestra di opportunità per la salute pubblica. Un concetto, questo, che sta a cuore alla ricercatrice, perché «nel momento in cui si attua un’attività di prevenzione si riescono a ridurre le complicanze e si migliora la qualità di vita della donna e del bambino». La personalizzazione della medicina ben si presta a questo nuovo approccio e lo conferma Triunfo: «La priorità è seguire le singole pazienti con interventi mirati e ad hoc e gestire le situazioni in funzione di chi si ha di fronte». Le storie delle pazienti, sebbene tutte diverse, alla fine convergono nell’unico vero obiettivo per il medico: una gravidanza con una madre e bambino sani.