Se l'Ucraina è più vantaggiosa della Cina

KIEV - Il fenomeno della delocalizzazione dei grandi marchi, in particolare nel ramo tessile-abbigliamento in nazioni europee a basso costo, sta prendendo sempre più piede. In parallelo, la fabbricazione in Cina di beni di consumo di ogni tipo, è diventata da tempo un pilastro del mercato globale, con l'effetto di un'ulteriore delocalizzazione della produzione in nazioni quali il Myanmar o l'Africa, nelle quali il Governo della Repubblica popolare continua a investire massicciamente ormai da anni. Oltre a nazioni come la Polonia, la Slovacchia o la Romania, già membri dell'UE e oggi tasselli centrali della filiera produttiva occidentale, l'accordo d'associazione firmato il 28 giugno 2014 tra la stessa Unione Europea, l'Ucraina, la Moldavia e la Georgia per un'area di libero scambio, sta lanciando (pur ancora con parecchie limitazioni) la piazza dell'Est Europa, che acquisisce poco a poco un peso economico-commerciale maggiore, senza escludere la Bielorussia e gli Stati baltici. Negli scorsi giorni un'inchiesta giornalistica condotta dall'emittente televisiva ucraina TSN, ha fatto il punto su una delle aree per l'esportazione più produttive del Paese: la regione di Mykolaiv. In quel distretto, a Pervomajsk, una fabbrica dà lavoro a trecento persone che producono capi d'abbigliamento per Dolce&Gabbana, Moschino e altri marchi internazionali.
La ragione economica per la produzione di questi brand in Ucraina è che, nonostante una situazione altamente instabile (a partire dalla guerra nel Donbass), il vantaggio commerciale che ne deriva per i grandi marchi è dato da fattori quali la svalutazione della grivnia, il personale affidabile e qualificato e a conti fatti, da costi produttivi dei più bassi. Basti pensare che il compenso conseguito da una sarta ucraina incide mediamente per lo 0,5% sul costo dei capi di vestiario che vengono venduti nei negozi occidentali. Per una nazione in cui lo stipendio di un dipendente può oscillare tra i 50 e i 250 euro mensili, si capisce da sé quali possono essere i guadagni per i grandi brand, soprattutto alla luce dei prezzi dei beni di lusso che si trovano negli store di tendenza delle nazioni dalla moneta forte. Il processo produttivo è controllato con scrupolo: la fabbrica deve giustificare ogni metro di tessuto utilizzato, il management delle maestranze è locale. Secondo quanto noto, gli impiegati sarebbero soddisfatti del loro lavoro, sia per gli orari di lavoro, sia per la retribuzione. Da una prima valutazione della produzione in Ucraina, emerge pure che, contrariamente a quanto non sia il caso per il «made in China», nella fabbrica di Pervomajsk – dove vengono peraltro rispettati tutti gli standard lavorativi occidentali – per indicare l'origine della manifattura, per ora non sono state utilizzate etichette «made in Ukraine». La decisione sarebbe legata a un problema d'immagine. Dall'analisi dei costi-benefici, emerge inoltre che il taglio dei vestiti, la cucitura, l'imballaggio e il trasporto, incidono sul prodotto finito nella misura di un terzo. Al contempo, per ogni 1000 grivnie (pari a 30,5 euro) pagate dal produttore per un capo d'abbigliamento, circa 700 (21,4 euro) sono destinati al marchio, non al fabbricante.
Questo quadro permette alle grandi griffe di conseguire guadagni ingenti, milioni di euro, mentre per gli impiegati è spesso una lotta per la sopravvivenza. Non mancano le proteste, anche se i timori per la perdita del posto di lavoro sarebbero un grosso deterrente contro un'azione più articolata e incisiva. Fatto sta che le condizioni salariali nelle imprese ucraine sono generalmente simili a quelle di altre nazioni low cost, Asia inclusa. Se il salario medio nell'industria è di 2.700 grivnie al mese (83,8 euro), com'è il caso nelle fabbriche del Bangladesh o della Macedonia, a Pervomajsk in busta paga ne possono rimanere 8000 (248,4 euro): tre volte tanto. In Cina, a termine di confronto, lo stesso lavoro svolto in Ucraina viene retribuito fino a quattro volte di più. La Macedonia, dove ha spostato parte della propria produzione anche un certo numero di marchi svizzeri (vedi la Sinalco nel settore beverage), è diventato uno dei suoi principali competitori.D'altro canto, aumenta anche la mobilità del personale. Tra gli stessi ucraini, sale il numero dei dipendenti che si spostano in Polonia, mentre i polacchi emigrano in Germania e in Inghilterra, paesi con retribuzioni ancora maggiori. In questo effetto domino è certo che nell'immediato futuro, soltanto politiche economiche integrate potranno essere efficaci in un mercato globalizzato e sempre più competitivo, nel quale la continua pressione verso il basso dei costi è l'unica costante.