Giovani e pandemia

Se Lugano diventa una «terra di nessuno»

Gli assembramenti e gli episodi di violenza alla foce e in altri luoghi fanno riflettere sulle cause del disagio di molti ragazzi e su come dovrebbe muoversi la politica
Berci su non risolve il problema.  (Foto Putzu)
Marco Ortelli
25.03.2021 06:00

Giovani: un tema sempre più d’attualità. Con Stefanie Monastero, responsabile del settore politiche giovanili della Città di Lugano, approfondiamo l’argomento (discusso ieri a livello cantonale) dopo l’episodio di sabato scorso alla foce, teatro di un assembramento, di molto superiore al consentito, sfociato in episodi di violenza che hanno coinvolto alcuni ragazzi e le forze dell’ordine. Come sta vivendo questa ed altre situazioni l’autorità comunale, che vive e «respira» il territorio grazie al suo servizio di prossimità e che ha nella relazione con i giovani uno dei suoi obiettivi?

Non è tutta colpa del virus
Aggregazioni e derive violente: come interpretarle? «Come la necessità di trasgredire, la voglia di incontrarsi, fare festa e sfogare la propria aggressività», osserva Stefanie Monastero. «Da sempre ci sono persone con temperamenti violenti, quindi non riteniamo che la pandemia sia la causa primaria di questi fenomeni. La città, di sera, diventa una sorta di ‘terra di nessuno’: attualmente circolano solo giovani e forze dell’ordine che portano a dinamiche da ‘guardie e ladri’. Manca il controllo sociale garantito dagli adulti. Le derive violente fanno scalpore e vanno punite, ma parliamo comunque di casi isolati». Perché, però, questa violenza? «Possiamo ipotizzare - spiega sempre Monastero - che il fatto di non avere delle valvole di sfogo e di essere limitati nelle attività personali possa avere un’influenza, e di conseguenza amplificare un sentimento di rabbia e frustrazione preesistente».

Colpevoli o innocenti?
C’è chi condanna gli atti dei giovani e chi invece in un certo senso li giustifica e punta il dito contro la politica, richiamandola alle proprie responsabilità. «Il servizio di prossimità cerca di offrire contesti aggregativi diversi, ma in questa situazione siamo limitati anche noi. Un atto di violenza non va mai giustificato, ma le cause possono essere molteplici (la situazione di vita o famigliare, eventuali sostanze che si assumono). Occorre però sottolineare che ci sono tanti giovani che stanno affrontando questa situazione in modo ragionevole, facendo dei sacrifici per il benessere comune. Riteniamo fondamentale non associare il mondo dei giovani alla violenza. Chi compie atti di quel tipo va sì condannato, ma anche accompagnato verso un percorso educativo, terapeutico e di responsabilità civile».

Il nemico più pericoloso
Ma che giovani incontrano gli ‘addetti ai lavori’ della Città? E quali, invece, non incontrano mai? «In questo periodo particolare incontriamo giovani che non sanno cosa fare o dove andare la sera. Senza attività ricreative, ragazzi e ragazze trovano modi alternativi di divertirsi, come consumare sostanze e infrangere le regole. Una caratteristica che accomuna i giovani con cui entriamo in contatto è spesso la solitudine: ragazzi che si trovano senza punti di riferimento, con problemi scolastici, famigliari, lavorativi e di gestione dell’amministrazione corrente».
«Chi non incontriamo? È una domanda piuttosto frequente durante i confronti interni all’équipe di prossimità - prosegue la nostra interlocutrice -. A tratti ci preoccupa, in quanto probabilmente, al momento, i giovani che stanno vivendo molto male la situazione legata alla pandemia non si riversano nelle strade e non partecipano alle feste come quella alla foce. Sono persone che rischiano l’isolamento sociale e con le quali vorremmo riuscire ad entrare in contatto».

Azione e prevenzione
Il servizio di prossimità della Città lavora in un’ottica preventiva. «L’intervento d’urgenza in presenza di assembramenti non rientra nel lavoro ordinario dei nostri operatori. Eventi del genere permettono però agli educatori di discutere con i giovani di Lugano su quanto accaduto, scoprendo che molti ragazzi si distanziamo nettamente da quanto hanno fatto i propri coetanei».