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Sempre attivo alla ricerca di novità: dai sacchi della spazzatura agli Outlet

L’imprenditore Silvio Tarchini ripercorre l’infanzia e le tappe della sua vita professionale: dal mondo del legno, passando poi per la trasformazione della plastica e successivamente le operazioni immobiliari – L’orgoglio delle figlie, i nipoti e la sua Lugano
© CdT/Gabriele Putzu
Gianni Righinetti
22.11.2022 06:00

Silvio Tarchini ha alle spalle un’infanzia non comune: orfano di madre in tenera età, successivamente ha deciso di non seguire le orme di famiglia improntate all’avvocatura. Ha vissuto in diverse parti del mondo, in particolare in Argentina, ma poi la sua attività l’ha concentrata tutta in Ticino. Ha tre figlie (tutte attive nella Tarchini Group), è sposato da 55 anni e vive in centro a Lugano.

Attivo, anzi attivissimo. Silvio Tarchini, 78 anni e non sentirli. «O quasi» aggiunge lui quando lo incontriamo in quello che è il fiore all’occhiello delle sue realizzazioni in Ticino: l’elegante Resort Collina d’Oro dal quale si gode una vista stupenda. Una vigorosa stretta di mano e un primo caffè prima di gustare la colazione e affrontare in maniera informale il suo percorso.

Ma l’inizio non è propriamente gioioso e spensierato. Lo incontriamo all’indomani della scomparsa di John Noseda e per lui è un giorno triste: «John era mio cugino, abbiamo trascorso gran parte della nostra infanzia assieme e non ci siamo mai persi di vista, l’affetto reciproco è sempre stato grande, anche per un evento tragico che ha contraddistinto la nostra infanzia». Sono ricordi in bianco e nero, dolorosi e nel contempo nitidi: «Avevo cinque anni quando ho perso mia mamma e su quell’auto con alla guida il papà di John, c’era anche sua mamma. Scoppiò una gomma, la vettura, una Studebaker aperta, sbandò e le due sorelle, due mamme, persero la vita. Poi fu una sorella di mio papà a crescere me e mio fratello Angelo, che ha seguito la tradizione di famiglia: arrivo da una stirpe di avvocati. Con il cugino John ho condiviso un grande dolore, ma poi anche momenti di vita e d’infanzia gioiosi. In particolare ricordo le vacanze assieme a San Bernardino. Non ci siamo mai persi di vista».

Silvio ha rotto la tradizione di famiglia e non ha fatto l’avvocato, seguendo un’altra strada: «Ho fatto il Technicum a Bienne». E questo sulle orme del nonno che aveva una ditta di legnami, «ci voleva qualcuno che la portasse avanti quell’attività, anche se poi a livello pratico non è stato così. In ogni caso quegli studi mi hanno aiutato a crescere e a sviluppare conoscenze tecniche che mi hanno completato come uomo e imprenditore». Con il senso degli affari, aggiungiamo noi. Tarchini non commenta, ma sorride sotto i baffi che porta da una vita. «In principio volevo partire per gli Stati Uniti, era il mio grande sogno, ma alla fine dei conti superati i 20 anni sono emigrato sì, ma in Inghilterra con lo scopo di imparare l’inglese. E come primo impiego ho lavorato in una ditta alla periferia di Londra per la lavorazione del legno. A Londra ho conosciuto mia moglie Marianne con la quale sono ancora felicemente sposato da 55 anni, tre figlie e otto nipoti».

La prima trasformazione

Poi è rientrato in Ticino e c’è stata quella che potremmo descrivere come la prima trasformazione professionale: dal legno alla plastica. «Grazie ad alcune conoscenze sono stato messo in contatto con una importante società di Milano, che vendeva macchinari per la trasformazione di materie plastiche. Sono rimasto per poco più di un anno, era il momento dell’espansione del mercato della plastica, a partire dagli imballaggi in PVC». Un prodotto che all’epoca nessuno produceva in Svizzera: «Ma c’era una ditta, che si occupava di produzione di film PE, che aveva potenzialità. Da mio nonno avevo ereditato un gruzzoletto che ho deciso di investire in quel ramo fondando la Plastar». Però il guizzo per il quale ancora oggi Tarchini va fiero è «l’invenzione dei sacchetti della spazzatura in plastica. Fu una rivoluzione. Con i miei tecnici fummo i primi a realizzarli con semplici macchinari partendo dal granulato di polietilene». Fu subito un successone? «Non esattamente, in partenza i grandi distributori quali Coop, Denner e Migros ignoravano questa novità. Ma poi ci fu il boom. Ad un dato momento la vendita dei sacchi in Svizzera era pari a due autotreni alla settimana». Nel 1976 quella ditta «l’ho venduta, certamente facendo un buon affare».

Il volo oltre Oceano

Nel frattempo la famiglia Tarchini si era allargata, con la nascita delle tre figlie, Alessandra, Nadia e Giorgia. Ma questo non ha spento la verve dell’imprenditore alla testa della famiglia: «Con mia moglie abbiamo preso una decisione: lasciare il Ticino per fare un viaggio attorno al mondo: per due mesi abbiamo viaggiato e in ogni Paese visitato ho avuto contatti connessi con l’attività della plastica. Non avevo una meta precisa, ma uno degli ultimi Paesi visitati è stato il Venezuela (prima dell’Argentina), dove ho conosciuto chi stava facendo l’urbanizzazione dei nuovi quartieri fuori Caracas. Ma dopo 6 mesi mi sono reso conto che era un’operazione meramente speculativa». E siamo al momento della nuova svolta, correva l’anno 1976, l’epoca della partenza per l’Argentina dove c’erano due case di famiglia da vendere a Buenos Aires: «Si trattava di due edifici in centro, una posizione interessante. Ci sono andato, ho semplicemente acquistato una copia del giornale La Nacion, contatto un’immobiliare per farmi stimare il valore degli edifici. Ho così comunicato a mio padre rimasto in Svizzera che avrei acquistato io stesso gli immobili. Tornato in Ticino ho liquidato i coeredi e una volta rientrato a Buenos Aires ho venduto un immobile. Ho deciso di demolire il secondo stabile e costruire un palazzo amministrativo. Per seguire questo progetto mi sono trasferito con tutta la famiglia in Argentina, dove abbiamo vissuto tre anni. È stata un’esperienza arricchente, una scuola di vita per tutti noi». Ma da chi ha appreso l’arte di arrangiarsi? «Beh, domanda difficile. Credo di averla in me un po’ da sempre. Poi occorre il coraggio di osare senza abusare e senza sfidare troppo la fortuna e spingere all’eccesso quella che risulta una buona intuizione».

Il Fox Town? Quei terreni li ho comprati dalla Robbiani scavi, ma erano storicamente dell’Innovazione. L’idea in partenza, e siamo al 1994, era di dare vita a stabili artigianali, ma un articolo mi ha aperto gli occhi su un nuovo mondo, i Factory Outlet
Silvio Tarchini

L'idea dell'Outlet

«In me c’era la consapevolezza che l’operazione Argentina era andata bene, ma non era il caso di speculare oltre. Da qui la decisione di tornare nella mia Lugano, nella quale ancora oggi vivo». In Ticino c’era domanda di spazi industriali. «Così mi sono buttato nell’edificazione di questi immobili, mai sotto i 10.000 metri e pensando a spazi modulabili per andare incontro ad ogni necessità. Spazi su misura. Sono partito da Mezzovico». Da cosa nasce cosa e man mano è nata la Tarchini Group «per avere all’interno diverse professionalità. Un’idea che poi si è sviluppata in diverse località del Sottoceneri». E siamo alla città della volpe, il FoxTown: «Quei terreni li ho comprati dalla Robbiani scavi, ma erano storicamente dell’Innovazione. L’idea in partenza, e siamo al 1994, era di dare vita a stabili artigianali, ma un articolo mi ha aperto gli occhi su un nuovo mondo, i Factory Outlet. Ho visitato alcune realtà esistenti all’estero e ho dato forma all’idea anche da noi». Tutto il resto, vien da dire, è musica recente con l’apertura della nuova ala: «Ricordo che nessuno mi dava credito, i ticinesi andavano a fare acquisti in Italia e molti snobbavano la mia creazione. Io sono sempre stato determinato, così mi sono recato in Consiglio di Stato per la questione delle aperture domenicali. Avevo allacciato i contatti con Bellinzona dove nel frattempo era arrivata Marina Masoni». Ma attenzione a fare parallelismi politici o ideologici affrettati perché la svolta c’è stata da lì a poco e con persone d’altra estrazione politica: «Un giorno ho incontrato Martino Rossi, mio compagno di scuola, che mi ha messo in contatto con Giuseppe Sergi (sindacalista del SEI): ho proposto un contratto collettivo di lavoro per tutto il personale impiegato e abbiamo trovato un accordo nel tempo record di mezz’ora. Poi ho contattato Nando Ceruso (ai tempi dell’OCST), con il quale è andata un po’ alla lunga, infine i Sindacati liberi e abbiamo concluso l’accordo». Quindi volere è potere? «Potrei dire di sì, ma occorre anche coinvolgere e parlare. Ed è quanto io ho fatto». È soddisfatto di tutto quanto ha realizzato? «Certamente, come pure del fatto che tutte e tre le mie figlie lavorano per il gruppo di famiglia».

Chiacchierando con Tarchini finiamo sulla politica. Mai pensato di «scendere in campo»? «Mai, non avrei la pazienza per essere attivo in quel mondo». La risposta è secca, asciutta e non sembra lasciare margine per un rilancio: «Sono attento alla politica, alla quale rimprovero tempi troppo lunghi e rimarco pure a chi fa politica la poca propensione a accettare consigli, a confrontarsi con chi ha maturato conoscenze ed esperienze». Qualcuno potrebbe credere che il reale problema potrebbe essere di non rivolgersi a lei? «No, sarebbe arrogante, tante sono le persone in Ticino che hanno fatto bene. Sembra un paradosso, ma si discute troppo poco e il politico si rifiuta di ascoltare». Ma si sente ancora un esponente del Centro (ex PPD)? «Assolutamente sì, mi ritrovo in questo partito e non ho mai pensato di cambiare. Poi ogni tanto vedo alcune affinità anche altrove, ma non cambio l’originale per quanto sarebbe solo una sorta di copia. Anche se nell’UDC vedo qualche affinità».

Io adoro il mio lavoro, lavorare non mi pesa e sono cosciente che la salute mi ha sorriso

Tanto lavoro

Di tanto in tanto il telefono di Tarchini squilla: «Io adoro il mio lavoro, lavorare non mi pesa e sono cosciente che (ndr. fa gli scongiuri) la salute mi ha sorriso». Ma c’è chi sostiene che con lei sia impossibile lavorare. Si ritiene un «padrone»? «Sono parolone che non sento mie, sono una persona abituata a decidere e che prende molto seriamente l’attività lavorativa, ma con i mei collaboratori collaboro». E che tipo di nonno è? «Uno che inizia a godersi i nipotini (ne ho otto) quando diventano grandicelli, mi piace fare dello sport con loro». Lei è un golfista? «Assolutamente sì, è un’attività che mi piace e mi rilassa».

Le idee per il futuro

«Mi chiede cosa intendo fare in futuro? Beh, il futuro per me è già oggi e sono molto attento alle nuove tecnologie. Lo ero quando sono entrato nel mondo della plastica e altrettanto oggi con la necessità di affrontare con intelligenza la crisi energetica. Senza esitare ho investito nel solare, il sole non costa nulla e produce energia. Proporre degli spazi commerciali partendo da un costo dell’energia ridotto per chi lo dovrà pagare, è un grande vantaggio. Ed è pure apprezzato. Beh, vede, noi restiamo un attrattore per portare ditte in Ticino. Questa per me è una soddisfazione personale, ma anche per la collettività. Credo di poter dire che al mio cantone ho dato e certamente ho anche ricevuto grazie alle interessanti condizioni quadro delle quali noi tutti possiamo beneficiare».

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