Sentirsi a casa dietro a un bancone con il caffè che ti scorre nelle vene

«È vero! Si può proprio dirlo: ho il caffè che mi scorre nelle vene». Sorride di un sorriso contagioso, Rachele Ravelli, di fronte alla metafora che ci viene spontanea per descrivere il suo albero genealogico: pronipote e nipote di esercenti, figlia di albergatori e sorella di professionisti della ristorazione e dell’albergheria. Dietro a un bancone, insomma, non poteva che sentirsi a casa.
La sua casa, oggi (e da ormai sette anni), è il bar Selz di Locarno. Un locale fuori dagli schemi. Decisamente. Dall’atmosfera cosmopolita e piacevolmente rétro. «L’idea l’ho un po’ ‘rubata’ dal bar Tabac di Losanna, dove ho lavorato per qualche tempo». Sarà. Ma di certo è anche una questione genetica. Vi dice qualcosa il bar Paolino? E il Ravelli? Certo, ritrovi storici del centro città, dove sono passate generazioni di locarnesi. Il primo lo ha creato il nonno di Rachele (Paolino, appunto), il secondo il prozio Ademaro. E lei, con la sorella e il fratello, dietro a un bancone c’è praticamente nata. «Nostra mamma era bellissima (e lo è ancora) – racconta lei stessa – e assieme al papà Enrico (figura di spicco del mondo turistico, non solo regionale, ndr.) lavorava come una matta. Anche col pancione, quando le gravidanze erano ormai quasi a termine».
L’infanzia al mitico Navegna
Luogo di quelle fatiche, l’albergo e ristorante Navegna di Minusio, che la famiglia Ravelli ha gestito per un quarantennio e oltre. Tanto amato dai turisti, ma anche da molti ticinesi, che ne hanno fatto una tappa obbligata durante le passeggiate domenicali sulla Rivapiana, per i pranzi in famiglia, i banchetti di matrimonio, le cene romantiche. «Lì siamo praticamente cresciuti – prosegue Rachele – trascorrendo un’infanzia bellissima in un luogo splendido. Tanti giochi, bagni nel lago, giri in bicicletta...».
A sei anni il primo vassoio
Lì la gerente del Selz ha preso fra le mani il suo primo vassoio. «Avevo sei anni – ricorda – c’erano sei bicchieri da birra, tutti finiti irrimediabilmente per terra. Un vero smacco, cui si aggiunse anche la sgridata di papà...». Che quella del turismo, in tutte le sue sfaccettature, fosse la direzione giusta, lo ha subito capito, ma ci è voluto qualche anno per trovare la sua strada. Nel frattempo ne ha provate molte: dall’apprendistato (con diploma) come agente di viaggio al lavoro nelle aziende di famiglia (alla ricezione, in sala e come titolare, prima al Navegna e poi all’albergo Du Lac di Locarno), dall’inverno al Kulm di St. Moritz (il celebre 5 stelle dove diversi i dipendenti dei Ravelli lavoravano in bassa stagione) all’anno come cameriera al bar sulle navi da crociera. «Un’esperienza bellissima. Ci ho incontrato gente incredibile, perché per fare quella vita lì deve mancarti qualche rotella... – sorride –. A volte ho l’impressione di aver scoperto mezzo mondo in un pomeriggio. Abbiamo navigato da Papete a Venezia, fermandoci ogni giorno in un posto diverso, che noi del personale avevamo quattro ore per esplorare. Anche luoghi veramente sperduti. E meravigliosi».
L’approdo del cuore
L’approdo del cuore, dopo che ogni esperienza precedente non era mai durata più di tre anni, lo ha però trovato sul Verbano, fra piazza Grande e piazza Castello. «Quando ho saputo che lo storico titolare si sarebbe ritirato – ricorda Ravelli – ho cominciato a corteggiarlo, perché mi ero già innamorata del luogo e speravo che me lo cedesse». Così è stato e così ha preso forma il Selz. Che fosse proprio quella la sua casa lo ha capito «perché prima pensavo di non avere nessuna creatività. Invece fra queste mura le idee sono sgorgate spontanee. Da quando ho cominciato, sette anni fa, mi alzo felice tutte le mattine. Anche, e forse soprattutto, perché so che incontrerò tanti clienti, molti dei quali sono ormai degli amici».
Difficile essere «figli d’arte»
«’Ah, tuo papà è l’Enrico...’ Con questa frase molti danno per scontato che per me, nel settore, è stato tutto facile. Ma essere ‘figli d’arte’ non è mai semplice, anzi. Spesso ti tocca dare di più. Forse è per questo che ho cercato l’originalità», dice Rachele Ravelli. Il cui segreto è anche la capacità di accogliere, «che significa essere servizievoli, non servili».