Assise criminali

Sequestrato e picchiato in un fienile: «Una crudeltà impressionante»

Alla sbarra due delle quattro persone che nell’agosto dell’anno scorso rapirono un uomo al fine di riscuotere del denaro – Uno riconosce i fatti, l’altro afferma di essere stato «coattato» dagli altri – L’accusa chiede pene di 2 anni e 8 mesi e 4 anni più l’espulsione per entrambi
© Ti-Press/Samuel Golay
Valentina Coda
17.07.2024 19:24

Una spedizione punitiva con annesso sequestro di persona e rapimento dalla durata di oltre quattro ore. Un viaggio in auto fatto di percosse da Figino fino a un fienile di Vezia, poi calci, pugni, frustate sul corpo con un tubo flessibile, la testa immersa in un catino pieno d’acqua, poi riempito di urina e svuotato addosso alla vittima. Il tutto nel tentativo di riscattare del denaro, 20.000 franchi con interessi. È questo lo scenario descritto nell’atto d’accusa stilato dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas (ha ereditato l’incarto dall’ex collega Pamela Pedretti), che ha portato alla sbarra davanti alla Corte delle assise criminali due delle quattro persone coinvolte: un 33.enne, difeso dall’avvocato Marco Morelli, e un 31.enne, patrocinato dall’avvocata Ioana Mauger, entrambi cittadini italiani.

Sono invece stati disgiunti i procedimenti a carico degli altri due imputati, tra cui un 21.enne del Luganese finito in manette lunedì scorso con l’accusa di tentato omicidio per una rissa nelle vicinanze del Blu Martini. I due trentenni in aula concordano su un unico aspetto: non erano presenti quando si sono consumati gli atti più «crudeli» all’interno del fienile. Sono andati a cambiare macchina e a prendere delle birre. Uno riconosce i fatti imputatigli, ma non le aggravanti di quanto è accaduto a Vezia. L’altro respinge le accuse affermando di non aver mai avuto intenzioni simili, piuttosto di essere stato «coattato», quindi «costretto», dagli altri tre.

«Non picchiarlo, sporchi l’auto»

È il tardo pomeriggio del 16 agosto dell’anno scorso. Il quartetto si ritrova in un bar a Savosa e scopre che le società della vittima (il 33.enne lavorava in una di queste, ndr) non sono più attive e il titolare ha intenzione di trasferirsi in Italia e non potrà più mantenere alcuni impegni economici. Decidono di andare a Figino, a casa della vittima, per riscuotere il denaro. Alla guida c’è il 31.enne e su questo aspetto il presidente della Corte, Marco Villa, lo incalzerà a lungo durante l’interrogatorio: perché farlo se non aveva alcuna intenzione di recarsi a Figino? Dopo aver fatto salire la vittima in auto (sempre il 31.enne ha ammesso di aver chiesto ai correi di «non alzare le mani perché avrebbero sporcato di sangue il veicolo»), la portano in una fattoria di Vezia e la obbligano a contattare un suo conoscente affinché gli spedisse i soldi. In seguito, chiamerà anche la madre supplicandola di effettuare un bonifico bancario di 20.000 franchi.

Dopo qualche schiaffo ben assestato, i due imputati lasciano la fattoria per andare a cambiare auto e a comperare della birra. Nel frattempo, sempre secondo il procuratore pubblico, nel fienile gli altri due imputati (non in aula) «gonfiano» di botte la vittima. Le percosse si interrompono all’arrivo di uno dei proprietari della fattoria.

«Una spedizione punitiva»

Le arringhe degli avvocati difensori sono attese per domani mattina, mentre la lettura della sentenza è prevista nel pomeriggio. Oggi, invece, è stata la volta della requisitoria del procuratore pubblico, che ha sottolineato come «i fatti impressionano per la loro efferata crudeltà», oltre che «azioni così cruente, quasi torture, non se ne sono viste molte alle nostre latitudini. Gli imputati hanno fatto parte di una spedizione punitiva con l’unico scopo di recuperare i soldi». Inoltre, «hanno continuato a sollecitare la vittima di chiamare la madre per farsi inviare i soldi, mollando la presa solo quando la donna ha promesso che avrebbe fatto un bonifico la mattina seguente».

Partendo dal 33.enne, Akbas ha parlato di una persona che «si è assunta le proprie responsabilità, ma è anche il primo che ha alzato le mani, sia a casa della vittima, sia in macchina. La sua colpa è molto grave, tra le altre cose per l’efferatezza del suo agire e la durata del sequestro (la vittima è stata in balia del quartetto per oltre quattro ore), oltre al fatto che deve rispondere anche di altri reati». Per lui sono stati chiesti 4 anni e 3 mesi e l’espulsione dalla Svizzera per 10 anni (indipendentemente dalla sentenza verrà comunque allontanato visto che gli è scaduto il permesso B). Di contro, a mente di Akbas il 31.enne «ha sempre cercato di relativizzare il suo coinvolgimento sebbene la sua pretesa economica fosse la più consistente. Quello che è successo gli andava bene perché ha scorto una possibilità di recuperare i soldi. Se non fosse stato d’accordo, come ha sostenuto, poteva andarsene o chiamare la polizia. Ma non l’ha fatto». Per lui sono stati chiesti 32 mesi (12 da espiare) sospesi per 3 anni e l’espulsione dalla Svizzera per 7 anni.