Asilo politico

«Sì adesso la Svizzera possiamo chiamarla casa»

Abbiamo incontrato India e il fratello Nur - «Grazie a tutti coloro che ci hanno sostenuto e aiutato» - La storia di un bambino che non voleva troppi vestiti: «Se ci rimandano in Etiopia non potrò metterli»
India e il fratello Nur.  © CdT/Chiara Zocchetti
Paolo Gianinazzi
09.02.2022 18:52

Hanno vissuto per 10 anni nell’incertezza. «Perennemente in bilico», ci dice India. Hanno vissuto per 10 anni con la paura di vedersi negato il permesso di restare in Svizzera e venir rispediti in Etiopia. E a dire il vero al rimpatrio ci sono andati vicini. Senza la solidarietà mostrata dai ticinesi (gli amici, i compagni di scuola, il Parlamento, il vescovo e i diversi avvocati di grido che si sono attivati per dar loro una mano) oggi sarebbero probabilmente su un aereo diretto ad Addis Abeba. «Avrei affrontato anche quello», spiega India. «Certo, non sarebbe stato facile, ma avremmo trovato un modo per ricominciare». Ricominciare. Come del resto la sua famiglia aveva già fatto nel 2011, arrivando in Svizzera. Ma a ben guardare questi 10 anni in Ticino non sono stati una passeggiata, anzi. «Molti - spiega India - mi hanno chiesto se sono felice di vivere qui. Certo, è bellissimo, ma è una felicità un po’ offuscata dallo stato di continua incertezza in cui abbiamo vissuto». Alla fine però la storia di India (20 anni), di suo fratello Nur (24) e della loro mamma Munaja (50) si è conclusa con un lieto fine. La Segreteria di Stato della migrazione (SEM) ha deciso di concedere loro un permesso. Potranno restare. E visto che potranno restare potranno anche - finalmente - fare dei piani a medio termine. Una cosa scontata per la maggior parte delle persone, ma non per dei richiedenti l’asilo. India e Nur hanno accettato di incontrarci per raccontare la loro storia.

I vestiti che forse non servono
Dieci anni in bilico, dicevamo. Una sensazione difficile da spiegare. Ma India ci riesce bene raccontando un aneddoto. «Quando mio fratello andava con mia mamma a prendere dei vestiti le diceva sempre di non sceglierne troppi, perché non gli sarebbero serviti se ci avessero rimandato in Etiopia. E sarebbe stato più facile fare le valigie con pochi abiti da impacchettare». «Infatti adesso ho detto alla mamma - spiega Nur con un sorriso - che può prendermi tutti i vestiti che vuole».

«Grazie a tutti»
Come detto il destino di India, di Nur e di Munaja sarebbe potuto essere molto differente senza l’affetto popolare dimostrato dai ticinesi. Affetto che, negli ultimi anni perlomeno, in questa misura ha pochi precedenti. «Ed è una cosa - sottolinea Nur - che ci ha colpito profondamente. Che ricorderemo per sempre. Che terremo sempre presente quando vedremo altre persone in difficoltà».

Le firme dei bambini
Ma è una solidarietà che arriva da lontano. «Vivevamo a Biasca - racconta India - e io ero piccola. I miei compagni di classe, sapendo che forse avrei dovuto lasciare la Svizzera, presero un foglio A4 e iniziarono a firmarlo con dei pennarelli colorati». «Noi vogliamo che India resti a Biasca», avevano scritto. «E mi dissero di consegnarlo a chi doveva decidere. Che così lo avrebbero convinto». In questi 10 anni la famiglia è stata sballottata su e giù per il Ticino: Chiasso, Biasca, Cadro, Tenero, Paradiso e poi a Morbio Inferiore. Ed è ancora dall’ambiente scolastico, alcuni anni dopo, che India trova appoggio e conforto. Proprio a Morbio docenti e compagni di classe sottoscrivono nel 2019 una petizione per farla restare. Ed è anche grazie a loro se il caso diventa di dominio pubblico e se di India, di Nur e di Munaja iniziano ad occuparsi media, politica e autorità religiose. E se l’Ufficio cantonale della migrazione decide di appoggiare la loro richiesta di restare in Svizzera.

Tutti gli altri, di cui non si parla
Lieto fine. Ma non per tutti è così. India e Nur rivolgono un pensiero a coloro che non hanno avuto la stessa fortuna. A tutti i profughi che vengono rimpatriati nel silenzio generale. «A volte - spiega Nur - penso che senza mia sorella io non avrei ottenuto il permesso di restare». Maschio, ventiquattrenne. Più difficile «intenerire» pubblico e autorità con questo profilo. E infatti si è parlato soprattutto di lei. Di «India e la sua famiglia», come titolavano i giornali. A Nur la cosa non è dispiaciuta, a India forse un po’ sì. «Probabilmente si è voluto mettere l’accento su una figura che sembrava più debole». Ma India, e questa risposta lo dimostra, debole non è.

Guardare avanti
Come detto la famiglia potrà ora guardare avanti. Nur tornerà a lavorare e a coltivare la sua passione per l’arte, India finirà gli studi e vorrebbe diventare infermiera. E dopo 10 anni di attesa - chiediamo - la Svizzera può essere considerata casa? «Sì, adesso possiamo finalmente chiamarla casa».

La situazione in Etiopia
Determinante per la SEM è stata la valutazione della situazione nel paese d’origine: l’Etiopia. Paese martoriato, soprattutto nella regione del Tigray, dalla guerra civile. E in cui, come riferito di recente da rappresentanti dell’ONU, il disastro umanitario è imminente. Difficile immaginare rimpatri in queste condizioni. Eppure di rimpatri ce ne sono stati. «Anche noi ci siamo chiesti come fosse possibile. Basta leggere le notizie per capire che l’Etiopia non è sicura». Considerando oltretutto che il Dipartimento federale degli esteri chiede agli svizzeri che si trovano nell’ex colonia italiana di non allontanarsi dalla capitale