Sono il Gruppo 2 e salvano vite

Un turno in caserma con i pompieri di Lugano, la storia di chi risponde alle chiamate del 118 - VIDEO
John Robbiani
29.11.2017 06:00

LUGANO - Dodici interventi in poche ore e poi una serata tranquilla. Una serata tranquilla (con l’occhio però sempre puntato verso lo schermo in cui compaiono le chiamate in entrata alla centrale), che ci permette di parlare un po’ con i pompieri che formano il Gruppo 2 di Lugano. Parlare della storia di ognuno di loro. Hanno iniziato il picchetto – dando il cambio al Gruppo 1 – alle 17 di venerdì e saranno di turno per 48 ore, fino alle 17 di domenica. Quarantotto ore in cui il Luganese sarà nelle loro mani e in cui saranno i primi a intervenire in caso di necessità. Si chiamano Omar Della Chiesa, Sandro Corvino, Claudio Aurino, Emil Misslin, Paolo «Clem» Clemente e Ferdinando Pierri. Hanno tutti tra i 30 e i 42 anni e almeno un decennio di carriera alle spalle. Alcuni sono professionisti, altri invece hanno appena staccato dal lavoro e ora passeranno il weekend con i colleghi, pronti a intervenire. Sono tutti accasermati. Tutti cioè vivono in uno dei sedici appartamenti che si trovano sopra la caserma. Omar, il caposquadra, ha preparato un piatto di risotto e tutti – mogli e fidanzate comprese – si siedono al tavolo per un pasto in comune. Ce la faranno a finirlo o saranno interrotti da una chiamata d’allarme?


Ritmi della vita dettati dalla sirena
Già. La sirena, l’allarme. È questo l’aspetto che più colpisce chi non è del mestiere. Entro due minuti, qualsiasi cosa stiano facendo, devono mollare tutto e partire. Se stanno dormendo, se stanno mangiando con i loro figli, se si stanno facendo la doccia o se sono seduti sul gabinetto devono precipitarsi al punto di riunione, prendere le proprie cose e partire. Perché ogni secondo conta. I ritmi della loro vita sono per davvero dettati dalla sirena. «Non ci facciamo neanche più caso. Siamo di picchetto circa 180 giorni l’anno e questa è la nostra vita. È normale che sia così». «Anzi – ci dice Sandro – farei fatica a tornare a fare un mestiere con gli orari d’ufficio. Il nostro è il lavoro più bello del mondo. La routine non esiste l’incertezza fa parte del fascino. Non sapere mai quel che succederà».
Il sogno di tutti i bambini

Sarei disonesto se dicessi che l’ho fatto solo per fare del bene. In realtà l’azione, l’action, mi è sempre piaciuta. Avrei voluto fare il poliziotto, o guidare le ambulanze, e alla fine ho fatto il pompiere. E ne sono felice

Il piatto di risotto è quasi finito senza interruzioni e mentre il cronista continua a fare domande ai pompieri è Claudio a girarsi verso di lui e a chiedergli: «Perché scrivere un articolo su di noi?». La risposta? «Perché tutti sanno che i pompieri spengono gli incendi, ma in pochi conoscono i vostri sacrifici e sanno cosa vuol dire fare la vita che fate. E poi diciamolo chiaramente: fare il pompiere è il sogno di almeno 8 bambini su 10. Tutti da piccoli avevamo un camion dei pompieri giocattolo. Voi invece ce li avete a grandezza naturale sotto casa». A questo punto interviene la moglie di Claudio. «Già, i camion! I nostri figli ne vanno matti e conoscono tutti i modelli». «Io sono cresciuto in caserma – ci spiega Sandro – ci ho vissuto fino a 16 anni visto che mio padre era pompiere. E poi lo sono diventato anch’io». Ma c’è chi ha deciso di fare questa vita anche per altri motivi. «Sarei disonesto – ci racconta Omar, che è pompieri già da 23 anni – se dicessi che l’ho fatto solo per fare del bene. In realtà l’azione, l’action, mi è sempre piaciuta. Avrei voluto fare il poliziotto, o guidare le ambulanze, e alla fine ho fatto il pompiere. E ne sono felice, così come sono felice di sapere che posso fare del bene anche svolgendo un lavoro d’azione».
Gli interventi più toccanti
Fare il pompiere può essere esaltante, ma è anche pericoloso. E anche a livello psicologico si vivono momenti, tragedie, che rimangono impresse in modo indelebile. Qual è l’intervento che ha colpito di più il Gruppo 2? «Un intervento può colpire – ci spiega Omar – per diverse ragioni. Anche il salvataggio di un gattino può rimanere impresso. Quello che più mi ha segnato è però stato l’incidente stradale della Piodella, in cui persero la vita sette persone».

Noi entrammo e tutto stava bruciando. C’era un giovane che si trovava nella vasca da bagno e siamo riusciti a portarlo fuori

«L’incendio – risponde invece Sandro – in un appartamento a Pregassona. Noi entrammo e tutto stava bruciando. C’era un giovane che si trovava nella vasca da bagno e siamo riusciti a portarlo fuori». Un giovane che ha riportato ustioni sul 20% del corpo ed è poi rimasto per quasi due mesi in coma farmacologico. Ma alla fine ce l’ha fatta. «I due ragazzi morti ad Agno – spiega invece Claudio – anche perché non abbiamo potuto fare nulla per salvarli. Ma, come diceva Omar, è vero che anche interventi più piccoli possono colpire. Mi ricordo per esempio di quando andammo a casa di una vecchietta per sistemare un allagamento. Lei non la smetteva di ringraziarci e se per noi quello era un intervento di routine, per lei era il problema più grande del mondo, e noi lo stavamo risolvendo».E capita di instaurare rapporti con le persone che vengono salvate? «Non spesso. A volte ci arrivano telefonate di ringraziamento o bigliettini, ma è quasi più facile che ci arrivino denunce». E poi ci sono situazioni – per quanto si possa essere addestrati – inaspettate. «Mi ha colpito molto – ci spiega invece Emil – l’incendio di Massagno, in cui abbiamo trovato in una cantina il corpo senza vita di un senzatetto. Ci si fa due domande sul contesto sociale. Sul perché una persona si trovava lì».


«Vediamo la città da dentro le case»
Contesto sociale, si diceva. Lugano è una città che appare molto ricca all’esterno. Ma i pompieri quella stessa città la vedono dall’interno: dalle case e dagli appartamenti in cui sono chiamati a intervenire. È davvero così ricca Lugano o c’è molta apparenza? «In Ticino e in Svizzera – spiega Omar – la povertà e il disagio vengono nascosti dentro le case. Povertà e disagio sono più diffusi di quanto si potrebbe pensare e, purtroppo, è proprio in questi contesti (soprattutto nel disordine) che più facilmente accade qualcosa per cui poi siamo chiamati ad intervenire».
Le chiamate più strane
Recentemente ha fatto scalpore (e strappato sorrisi) la notizia della donna che, a Coira, ha chiesto aiuto alla polizia visto che un ragno, in camera, non le permetteva di dormire. È mai capitato di dover rispondere a richieste di questo tipo? «Certo. Una volta siamo stati chiamati per la presenza di un calabrone. Un singolo calabrone». «Il drago a più teste», risponde invece Sandro. Incuriositi, chiediamo maggiori dettagli. «Una signora ci aveva chiamato per dirci che fuori dalla sua finestra aveva visto una animale a più teste. Siamo andati a vedere e abbiamo notato che la finestra aveva un alone. Probabilmente un gatto si era affacciato e la signora ha poi visto un’ombra distorta».Ma anche quella del cobra non scherza. «Siamo stati chiamati per un recupero rettili. Dovevamo, questa era perlomeno la chiamata, intervenire per un cobra in giardino. Effettivamente un cobra c’era, ma era di gomma». E non è finita. «Il ratto sul divano!», ricorda Paolo. «Ci aveva telefonato una famiglia dicendoci che avevano un ratto che dormiva sul divano e non riuscivano a mandarlo via. Non ci credevo. Sono intervenuto, ho alzato il cuscino e, porca miseria, effettivamente c’era un ratto sul divano. Potete immaginare l’urlo che ho piantato».
«Chicago Fire? Irrealistico»
E i pompieri guardano i telefilm sui pompieri? Cosa ne pensano per esempio di Chicago Fire? «È irrealistico – ci spiega Sandro – anche perché ci sono gli incendi ma non c’è mai fumo, che è la cosa più pericolosa. Evidentemente non potrebbero filmare in mezzo al fumo». Poi, aggiungiamo noi, c’è anche il fatto che a Chicago Fire usano sempre lo stesso camion per qualsiasi intervento, indipendentemente dal tipo di chiamata (mentre a Lugano, «quelli veri», hanno a disposizione una quarantina di mezzi diversi, ognuno progettato per intervenire in specifiche circostanze) .
L’11 settembre
Fare il pompieri, dicevamo prima, è il sogno di molti bambini. Ma è anche un mestiere molto rispettato (perfino gli ultras allo stadio urlano «Rispettiamo solo i pompieri»). Ma, come ci spiega Omar, non è sempre stato così. «Molto è cambiato dopo l’11 settembre. Le persone, vedendo il sacrificio dei pompieri di New York, hanno iniziato a considerare i pompieri un po’ come degli eroi. Ma eroi non siamo». E invece cosa hanno provato i pompieri del Gruppo 2 vedendo i loro colleghi, dall’altra parte del mondo, morire a centinaia sotto le Torri gemelle? «Sinceramente – sottolinea Omar – ho subito pensato che non dovevano entrare. Ho subito pensato che quelle torri sarebbero crollate da un momento all’altro e che buttarsi dentro era una follia. Un suicidio. Probabilmente erano gli unici a non essersi resti conto che quelle torri sarebbero venute giù».Il palo c’è (e si usa)Chiudiamo con la domanda che tutti, a questo punto, si sono posti: il palo (il tubo da cui i pompieri scivolano nei film per raggiungere il camion) c’è anche a Lugano? E viene usato per davvero o è li solo per far scena? «Certo che c’è, e certo che viene usato». «Se un giorno costruirò casa – spiega Claudio ridendo – me ne farò installare uno». Il palo in effetti c’è. I pompieri fuori dai loro appartamenti hanno le scale, l’ascensore e pure il palo, che porta direttamente agli spogliatoi.E se suona la sirena non c’è storia: si prende quello e si parte.

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