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«Sono qui per voltare pagina. E vorrei più donne docenti»

L'intervista a Luisa Lambertini, rettrice dell'Università della Svizzera italiana
© CdT/Gabriele Putzu
Dario Campione
24.02.2023 06:00

Luisa Lambertini è tuttora rettrice in pectore. Nominata il 27 ottobre scorso, entrerà in carica il prossimo 1. luglio. Ma nei corridoi dell’USI si muove già con molta disinvoltura. Saluta i suoi collaboratori per nome, mostra familiarità con i luoghi. È, insomma, a suo agio nel ruolo cui è stata chiamata e per il quale lavora da tempo, sebbene un po’ sottotraccia.

La prima domanda che le faccio è che cosa l’ha spinta a venire a Lugano.

«Credo che la mia sia una sfida. L’USI è una università giovane, dinamica; come ho detto in altre occasioni, mi ricorda molto il Politecnico di Losanna di 15 anni fa, quando sono arrivata piena di idee e di voglia di andare in direzioni nuove. Qui c’è molto potenziale. Per questo parlo di sfida. Credo di poter aiutare l’ateneo a crescere, a fare un salto».

Che genere di salto?

«Sin qui L’USI ha fatto bene, ha raggiunto traguardi ed è cresciuta molto nei suoi 26 anni di attività. Adesso bisogna consolidare tutto questo lavoro ed essere sempre più presenti sul piano nazionale e internazionale, cosa mai scontata».

Se escludiamo l’Università di San Marino e gli istituti collegati al Vaticano, l’USI è l’unico ateneo al mondo che insegna in italiano fuori dai confini della penisola. Crede che si debba attribuire un significato particolare a questo elemento di italianità?

«Penso che da un lato sia una forza, dall’altro lato anche qualcosa che ci deve far riflettere. È chiaro come il punto di congiuntura con la cultura italiana sia forte, ed è la ragione per cui l’USI è qui, a Lugano. Ma questo forte contatto con la regione linguistica di appartenenza non deve impedirci di ragionare sui motivi per cui le ragazze e i ragazzi romandi o germanofoni dovrebbero venire in Ticino a studiare. Le nostre lauree sono in italiano (con l’eccezione di informatica), vero, ma i master sono in inglese. Possiamo quindi sempre di più aprirci a livello internazionale, e sicuramente giocare sulla qualità dell’insegnamento e della ricerca per gli studenti dal resto del bacino svizzero e dall’estero».

Secondo i dati pubblicati sul vostro sito, all’USI sono attualmente iscritti 4.190 studenti, quasi la metà dei quali italiani (1936). Nei prossimi giorni è previsto al consolato italiano un open day in cui l’Università dell’Insubria di Como e Varese presenterà la sua offerta formativa ai ragazzi svizzeri. La spaventa la possibile competizione con l’Insubria?

«No, direi di no. Devo ancora analizzare a fondo questi dati, ma la situazione di Lugano mi sembra analoga a quella di Losanna, dove l’afflusso degli studenti francesi è ugualmente molto elevato. In realtà, vedo in questo lati positivi. La Svizzera è un’economia aperta, è un Paese che non ha paura dell’internazionalizzazione. Molti talenti arrivano nella Confederazione per studiare e poi restano. Penso che attrarre gli elementi migliori dall’estero non può far altro che bene. Per quanto riguarda la competizione con le altre Università, se è sana serve perché ci spinge a fare meglio»

Lei arriva qui a Lugano in un momento particolare, dopo l’uscita traumatica del precedente rettore. Ha avuto modo di conoscere il professor Boas Erez? Ha parlato con lui? Lo ha incontrato o intende farlo? E che cosa sa di questa vicenda, di quanto è accaduto?

«Ho parlato con il professor Erez un paio di volte, è una persona molto simpatica e cordiale. Ovviamente, ho saputo - o meglio, mi è stato raccontato - ciò che è successo. Ma non voglio commentare. Sono qui per voltare pagina».

Che cosa cambierà, rispetto alla struttura attuale? Ha già in mente un nuovo profilo organizzativo? Vuole fare un taglio netto con il recente passato o pensa di lavorare in qualche modo in continuità?

«Ci sono tanti cantieri avviati che vorrei continuare, chiaramente analizzando bene costi e risorse. Penso, ad esempio, al biomedico, un settore importante che richiede molti capitali e un impegno continuo non soltanto dell’USI ma anche del Cantone».

E le pagine da voltare, quali sono? E quante?

«Girare pagina significa per me guardare avanti. Sicuramente lavorerò spalle a spalle e in coordinazione con gli altri organi istituzionali, nel rispetto delle aree di competenza di ciascuno; il rettorato è l’organo esecutivo, il consiglio è l’organo di alta sorveglianza e fintanto che le attribuzioni sono chiare a tutti si va avanti molto bene. Lo dico per l’esperienza che ho fatto in questo senso a Losanna».

Ha già in mente i nomi dei  possibili collaboratori più stretti? Come procederà per la scelta?

«Al momento sto ascoltando molto, sto imparando. Devo dire che ho veramente visto una grande spinta nei collaboratori dell’USI; c’è un sentimento positivo, tutti vogliono aiutare e lavorare insieme; in ogni caso, mi prenderò il tempo necessario per vedere se ci sono - e quali sono - gli eventuali punti più deboli della nostra organizzazione».

Sul territorio ticinese sono attive più agenzie di formazione universitaria. Quale pensa debba essere il loro rapporto?

«L’USI ha un mandato di insegnamento a quattro livelli: laurea, master, dottorato e formazione permanente. Quest’ultima è uno degli assi di contatto con il territorio più importanti da potenziare. Il modello che conosciamo, in cui si studia sino a 23, 24 anni e poi ci si ferma non ha più senso. L’Università e la SUPSI, ciascuna per le aree di propria competenza, devono fornire questo continuo aggiornamento».

Volevo toccare un punto che, credo, le stia molto a cuore: Pensa che ci sia un problema di genere all’interno dell’USI, che vi siano cioè tra i docenti troppi uomini e poche donne?

«A me piace guardare i numeri. Sicuramente all’USI la percentuale di posizioni di docenti accademici occupate da donne non è al livello cui vorrei che fosse;  chiaramente, l’USI non è l’unica ad avere questo problema che riguarda molte altre Università, ma passi avanti sono necessari. Il mio desiderio, così come ho detto nel discorso di nomina, è che tra i docenti accademici nuovi assunti, il 40-50% siano donne».

Come si fa concretamente?

«Insisti e persisti. Bisogna individuare le docenti donne da chiamare, avere flessibilità nelle assunzioni, affrontare le varie situazioni in maniera razionale.  Ci vorranno anni per arrivare a un livello di parità di offerte per le donne, ma si può fare. Al Politecnico di Losanna ci siamo riusciti. Non sono numeri impossibili, altre Università lo stanno facendo. È chiaro che servirà l’aiuto di tutti».

Che cosa risponde a chi critica l’USI perché forma troppi economisti e comunicatori e pochi profili più “moderni”?.

«È un tema su cui si può riflettere. Le Università devono stare nel loro tempo, capire quali sono le nuove carriere, le posizioni che si aprono al futuro. L’USI lo ha fatto, puntando ad esempio sulla biomedicina».

Lei prima parlava della necessità di trovare risorse. Come deve agire l’Università in questo senso? Bisogna puntare più sul pubblico o sul privato?

«Bisogna andare in ogni direzione. Produrre lo sforzo più ampio. Si deve lavorare con le altre Università per avere fondi federali, coinvolgere quanto più possibile il Cantone e puntare ad ottenere fondi anche di natura privata attraverso fondazioni, associazioni e imprese».

Il budget dell’USI, secondo lei, è sufficiente?

«Non vorrei parlarne adesso, visto che non sono ancora entrata a fondo nel problema».

Ma si è fatta un’idea, almeno?

«Sto imparando, riparliamone tra qualche tempo».

Professoressa Lambertini, le faccio un’ultima domanda: quale sarà il rapporto tra la rettrice dell’USI e gli studenti, il corpo vivo dell’ateneo?

«Non lo so, è la prima volta che ricopro un simile ruolo, magari tra 6 mesi potrò dire qualcosa di più preciso. In realtà, spero di poter avere un rapporto ravvicinato con le studentesse e gli studenti dell’USI. Quando ho fatto io l’Università, a Bologna, non ho mai incrociato il “magnifico” rettore. Mi auguro che gli studenti vedano invece me spesso e vengano a parlarmi, instaurino con me un vero rapporto di comunicazione. Soprattutto, mi piacerebbe che partecipassero alla vita dell’Università in maniera strutturata e significativamente importante».

La scheda

Economista, ha insegnato  a lungo negli USA

Gli studi

Luisa Lambertini è nata nel 1963 a Bologna, città dove ha studiato economia e si dove si è laureata con lode nel 1987. Dopo un master all’Università di Warwick, in Inghilterra (1989), ha ottenuto il dottorato di ricerca a Berkeley in California (1995) con una tesi su Teoria e prove sull’accumulo di grandi debiti pubblici discussa con Maurice Moses Obstfeld.

La carriera accademica

Dal 1995 è stata Assistant Professor del Dipartimento di Economia dell’Università della California of Los Angeles (UCLA), quindi professoressa associata prima nel Dipartimento di Economia del Boston College (dal 2003 al 2005), poi nel Dipartimento di Economia del Claremont McKenna College, in California. Dal 2007 è stata titolare della cattedra di Finanza internazionale al Politecnico di Losanna (EPFL) dove è diventata professoressa ordinaria nel 2009.

La vita privata

Sposata con Demetri Psaltis, già preside della facoltà di Ingegneria dell’EPFL, ha una figlia, Alexandra. Dal 1977 al 1987 ha fatto parte della Nazionale Italiana di Pallamano.

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