Spesa in Italia? “Non date la colpa ai consumatori”

LUGANO - Lugano mia, ma quanto mi costi? Le spese fisse sono in aumento (affitti e casse malati innanzitutto) e sempre più persone, in particolare della classe media, devono fare i salti mortali per far quadrare i conti. Cambiano così consumi e abitudini e il futuro, dal punto di vista economico, resta nebuloso. In questa complicata situazione, come possiamo orientarci nelle nostre scelte quotidiane? E che ruolo può giocare la politica? Lo abbiamo chiesto a Laura Bottani-Villa di Besso, da diversi anni responsabile de La Borsa della spesa, periodico dell'Associazione Consumatrici e Consumatori della Svizzera italiana, sposata e mamma di due ragazzi. La sua intervista è la quinta della serie «Idee per la città» e segue quelle a Walter Marzini (28 gennaio), Andrea Bellomo (5 febbraio), Giorgio Zürcher (10 febbraio) e Roberto Mazzantini (17 febbraio).
Dopo aver letto l'intervista dite la vostra nel sondaggio in fondo e fateci sapere come la pensate scrivendo a [email protected] (max 1.000 caratteri spazi inclusi). Le vostre impressioni verranno pubblicate sul sito.
Signora Bottani-Villa, cosa può dire sulle famiglie che per fare quadrare i conti fanno la spesa oltre confine?
«Si mette spesso l'accento sulla spesa alimentare, che però alla fine rappresenta mediamente il 10% delle uscite mensili di una famiglia. Negli ultimi 20 anni questa percentuale è diminuita, mentre è cresciuto il peso di affitti, telefonia e casse malati: costi altissimi a cui purtroppo non si può sfuggire e che rischiano di strangolare le economie domestiche, limitando in modo importante il loro margine di manovra. Margine che spinge a giocare sulle vacanze o ancora di più sulla spesa quotidiana, appunto, che si va a fare oltrefrontiera e che sembra essere il solo settore in cui poter risparmiare».
Quali sono i margini di manovra della politica locale e della grande distribuzione per tutelare l'economia ticinese e nel contempo il portafoglio del cittadino?
«È sempre difficile per la politica intervenire nei confronti di aziende private. Penso però a tutti quei negozi di quartiere che hanno chiuso i battenti a causa della grande distribuzione: la politica comunale e quella cantonale hanno favorito la nascita dei grandi centri commerciali a discapito dei piccoli negozi, svuotando i quartieri. Oggi quella stessa politica potrebbe rendere più invitante l'offerta locale: a Brè per esempio è stato fatto lo sforzo di mantenere il negozio del paese, ma è importante che anche la gente faccia la sua parte. I centri commerciali hanno smantellato una grande rete sociale, i quartieri – ma anche il centro – sono diventati dei dormitori e restano abbandonati a se stessi, trasformati in spazi vuoti: chi ha voglia di uscire il sabato e andare a spasso o a fare la spesa a Viganello o a Besso, che oltretutto che è diventato il prolungamento dell'autostrada e non ha più un punto di incontro per la popolazione?».
In che misura è giusto spendere di più a Lugano e in Ticino per un senso civico o di «solidarietà ticinese»?
«È vero che siamo consumatori, ma siamo anche cittadini che pagano tasse e servizi e dobbiamo prendere in considerazione l'esistenza di un'economia locale che va in qualche modo difesa. Questo concetto, tuttavia, si scontra inevitabilmente con il problema delle difficoltà economiche, soprattutto per i cedi medio e medio basso. Alla fine si chiedono sacrifici all'anello più debole della catena è questo non è giusto, come non è giusto criminalizzare chi va a Ponte Tresa per acquistare del prosciutto. Oltretutto, chi ci garantisce che imprenditori o politici, che a parole difendono la necessità di sostenere l'economia locale, si comportino realmente così? Il problema è che siamo un'isola di prezzi alti e spesso ingiustificati. Di conseguenza, per spingere il consumatore-cittadino a spendere di più in casa propria bisognerebbe abbassare i prezzi laddove possibile (pensiamo ai prodotti importati) e nel contempo attuare una politica a sostegno del piccolo commercio. Ad esempio favorendo affitti più bassi».
La nascita, lo sviluppo e il successo crescente di organizzazioni come il Tavolino Magico hanno fatto emergere in modo marcato la presenza di uno strato di povertà nella nostra società: ha avuto contatti con situazioni del genere? Secondo lei, la politica cittadina e più in generale cantonale sostengono abbastanza queste persone?
«Fa male scoprire che anche nella ricca Svizzera emergono fasce di popolazione che non riescono ad arrivare a fine mese. Organizzazioni come il Tavolino Magico, se da un lato sono senz'altro lodevoli, dall'altro quasi sorprende che esistano. Rispondono però a un bisogno e dunque ciò vuol dire che nella nostra società non si fa abbastanza o che bisognerebbe fare di più per aiutare i deboli. Mi risulta che a rivolgersi al Tavolino Magico non sono solo i poveri in senso stretto, ma anche parecchie persone che vogliono risparmiare sul pranzo o la cena per avere più risorse da destinare ad altre necessità impellenti. Dal nostro osservatorio di associazione di consumatori e pazienti, parallelamente, constatiamo che molta gente si rivolge a noi per capire come riuscire a risparmiare: l'ente pubblico non offre servizi di consulenza in materia e ha delegato questa funzione ad alcune associazioni tra cui l'ACSI. Guardiamo le casse malati: l'unico margine di manovra è cambiare ogni anno compagnia o aderire a modelli alternativi, ma chi sa esattamente come scegliere? Oppure, quanti non sanno come uscire dall'indebitamento causato dal facile accesso al credito al consumo? Insomma, ci sono varie organizzazioni che operano nel campo della solidarietà sociale, ma forse la politica dovrebbe fare un passo di più per rendere il cittadino un po' più autonomo, in tutti i sensi, senza necessariamente metterlo sotto tutela».
Supermercato a parte, i prezzi di Lugano sono sopportabili per il cittadino medio? In quali settori ci sono margini di miglioramento?
«Per il cittadino del ceto medio-basso i costi da affrontare sono pesanti e non consentono – penso in particolare ai giovani – di vivere in centro. Svago e ristorazione restano piuttosto cari, con prezzi spesso eccessivi e ingiustificati. C'è sempre una sorta di cartellizzazione in Svizzera tra i grandi commercianti e non c'è quella varietà di offerta che invece si trova oltre frontiera e che consente di scegliere il prodotto più adeguato per tutta la famiglia. Da noi c'è purtroppo la tendenza a fare i primi della classe, ma bisognerebbe avere il coraggio di guardare cosa succede fuori dai nostri confini e proporre qualcosa di nuovo, in sintonia con i bisogni della comunità. Per restare ai commerci, non c'è bisogno solo di grandi firme ma di valorizzare magari la creatività di giovani che cercano spazi per i loro lavori. A Berlino, per esempio, ho visto piccoli atelier di abbigliamento e artigianato gestiti da giovani».
A proposito di giovani, le strutture e gli spazi di aggregazione per loro, fuori dalla scuola, sono sufficienti?
«Per alcuni anni sono stata presidente dell'Associazione genitori del comprensorio di Besso, che ho contribuito a fondare a metà degli anni '90. In questo ambito ci siamo occupati di spazi e di vivibilità della città e del quartiere per gli utenti più piccoli e in generale per quelli più deboli. Siamo arrivati subito alla conclusione che nel nostro rione un bimbo non può più uscire di casa da solo in tutta sicurezza per fare una piccola commissione o per andare a giocare con i coetanei. E questo è inaccettabile. Gli spazi a disposizione sono destinati alle auto e al traffico e questo è uno dei primi problemi evidenti. Mi risulta che anche a Molino Nuovo, il quartiere più popoloso di Lugano, gli spazi per il gioco siano limitatissimi e di conseguenza super affollati. È vero che in città l'offerta per divertimenti proposta da singole organizzazioni è ampia e a prezzi modesti (pensiamo al football, alla ginnastica ecc.) però è sempre a pagamento».
Per quanto invece riguarda la scuola, si è parlato molto di mense e servizi extrascolastici per aiutare i genitori a conciliare le necessità famigliari e quelle di lavoro: quali soluzioni si possono proporre con collaborazioni tra genitori, istituti e Città?
«Mi torna in mente ancora una volta l'Associazione genitori di Besso. Anche lì avevamo cominciato a chiedere la mensa per gli alunni delle elementari per tutte le sedi cittadine. Ci sono voluti 13 anni per realizzare questo servizio, sebbene non tutti gli allievi possano ancora usufruirne. Non è solo di una questione di soldi, ma di andare incontro ai problemi di tempo e alle nuove esigenze delle famiglie che, per diversi motivi, hanno bisogno di lasciare il bimbo anche in tenera età, in totale sicurezza, in una struttura scolastica. La città vive di nuove forze e bisogna andare incontro alle famiglie, oggi molto eterogenee, per cercare di alleggerirne il carico finanziario, offrendo servizi di qualità e facilmente accessibili e, ripeto, soprattutto a prezzi accettabili. Anche questo può rendere più invitante e vivibile Lugano».