Luganese

Stiamo attenti ai nostri fiumi: le acque sono sempre più calde

La temperatura del riale Scairolo è aumentata di 4 gradi in pochi decenni e se non si interviene continuerà a salire – Entro fine secolo potrebbero raggiungere i 20 gradi – Il professor Lepori: «Le cause sono il riscaldamento globale e l’urbanizzazione dei bacini»
Dove scorre oggi il riale Scairolo. © CdT/Gabriele Putzu
Stefano Lippmann
24.02.2022 06:00

Più di quattro gradi centigradi il riale Scairolo, oltre due gradi il Laveggio. Due gradi e mezzo il Cassarate, tre il Vedeggio. E anche la Magliasina, il Bolletta (Porto Ceresio) e il Cuccio (Porlezza) seguono lo stesso trend. I corsi d’acqua che s’immettono nel Ceresio sono sotto stress. E i numeri appena citati ne sono la conferma. Quanto riportato è infatti l’aumento delle temperature medie registrate nei tributari del lago di Lugano tra il 1976 e il 2012 secondo un’analisi della SUPSI.

Tendenza da invertire
Il riale Scairolo ne è l’esempio più lampante: in quattro decenni la temperatura media del corso d’acqua è aumentata da circa 10 gradi centigradi a oltre 14. E le previsioni future, a meno di veloci inversioni di tendenza, stimano che nei tratti terminali dei tributari del lago, entro fine secolo, si potrebbe arrivare attorno ai 20 gradi o più. Temperatura che metterebbe in seria difficoltà, ad esempio, la trota di ruscello. E oltre ai corsi d’acqua c’è il Ceresio che potrebbe subire anch’esso importanti variazioni.

Dati preziosi
Per una migliore radiografia della situazione abbiamo interpellato il professore in ecologia Fabio Lepori, che lavora all’Istituto scienze della Terra e dall’anno scorso coordina alla SUPSI il neonato settore di limnologia, dedicato allo sviluppo di ricerche e attività di servizio nel campo dell’ecologia delle acque. Il settore svolge un monitoraggio del bacino del lago di Lugano su mandato del Dipartimento del Territorio.

Diventerà sempre più importante ridurre i fattori di riscaldamento locali

Inizialmente gli studi – la raccolta dei dati è cominciata nei primi anni ‘80 – «erano stati concepiti soprattutto per seguire l’evoluzione della qualità delle acque. Ma queste serie di dati si stanno rivelando anche molto utili per indagare sugli effetti dei cambiamenti climatici – ci spiega il professore –. E quello che abbiamo osservato, cioè il riscaldamento delle acque, emerge chiaramente sia a livello locale, sia a livello regionale e globale con tendenze molto coerenti tra loro».

L’urbanizzazione...
«Se guardiamo la tendenza del riscaldamento dei tributari del lago di Lugano nel tempo, vediamo che sia le temperature medie sia la velocità di riscaldamento si correlano molto bene con il grado di urbanizzazione del bacino» analizza Lepori. In parole povere, dunque, «i corsi d’acqua più urbanizzati sono quelli mediamente più caldi e sono anche quelli che si sono riscaldati più velocemente negli ultimi decenni». Il riale Scairolo, avvolto dallo sviluppo urbano, ne è un esempio lampante.

... e le isole di calore
Le cause sono complesse e molte sono legate agli interventi dell’uomo. Su questi corsi d’acqua grava una duplice pressione: quella del riscaldamento globale, concernente tutti i corsi d’acqua, e quella più locale dell’urbanizzazione. «Innanzitutto i corsi d’acqua più urbanizzati possono aver perso la copertura arborea che li ombreggia. Penso ad esempio ad alcuni tratti dello Scairolo o del Laveggio. Inoltre possono ricevere anche degli apporti di acque calde, come quelle provenienti dagli impianti di depurazione o quelle usate in sistemi di raffreddamento». E poi, fa presente Lepori, «ci sono le acque di ruscellamento superficiale urbano», detto anche «runoff urbano».

Quest’ultima, racconta il nostro interlocutore, «è una tematica molto sentita e importante nel campo dell’ecologia dei corsi d’acqua». Per meglio comprendere il problema bisogna innanzitutto pensare che «la pioggia che cade in un bacino naturale si infiltra nel terreno e va a ricaricare le falde».

In un bacino urbanizzato, invece, «l’acqua cade su superfici costruite impermeabili di asfalto o cemento che sono spesso calde». Acqua che, dunque, «rimane in superficie, si scalda e poi finisce direttamente nel corso d’acqua, contribuendo al suo riscaldamento». Infine, spiega il professor Lepori, «bisogna considerare il fenomeno nel contesto della creazione delle isole di calore. In un bacino fortemente costruito, le superfici di asfalto e cemento, soprattutto se sono scure, tendono ad assorbire il calore, il quale viene lentamente rilasciato e può, in definitiva, influenzare le acque».

Trota in pericolo
C’è da preoccuparsi? «La cosa che mi colpisce – risponde Lepori – è la rapidità con la quale sta avanzando il riscaldamento. La temperatura estiva media dei tributari potrebbe passare dai 14-15 gradi del decennio 1976-86 a 20-21 grandi entro la fine del nostro secolo».

Questo avrà «sicuramente delle conseguenze per le comunità di piante e animali che vivono in questi ambienti». Un esempio è quello della trota di ruscello, una specie adattata alle acque fredde. «La trota richiede corsi d’acqua in cui le temperature non superino d’estate i 20 gradi», altrimenti subentrerebbe una fase di «stress fisiologico» e, sopra i circa 25 gradi, la temperatura potrebbe essere «potenzialmente letale». Ciò potrebbe verificarsi tenendo conto anche degli «eventi estremi», sempre più frequenti.

Insomma, un’ondata di calore, unita a periodi di siccità, potrebbe portare a delle morie di pesci, «soprattutto nei tratti terminali di questi corsi d’acqua».

Costruire in maniera diversa e creare dei corridoi per la fauna

Qualcosa, per cercare di tutelare i nostri corsi d’acqua, si può fare. A livello locale. Accorgimenti «semplici», che potrebbero comunque dare sollievo ai torrenti. «Nell’attesa che si risolva il problema globale, diventerà sempre più importante ridurre i fattori di riscaldamento locali». Già, ma come?

Un intervento che si potrebbe attuare in tempi tutto sommato brevi consisterebbe nel «ricostruire la copertura ripariale arborea dove è andata persa», evidenzia Lepori. Inoltre – ed è un discorso che riguarda principalmente altri corsi d’acqua ticinesi – «si dovrebbero mantenere dei deflussi minimi adeguati, soprattutto nel periodo estivo».

C’è inoltre la questione del runoff urbano di cui abbiamo parlato sopra: «È un problema che va gestito meglio, per evitare che ci siano appunto apporti di acque calde, oltre che potenzialmente inquinate». Anche a livello pianificatorio si potrebbe garantire maggiore tutela ai fiumi, cercando di diminuire la possibilità che si vadano a formare delle isole di calore.

Si potrebbero ad esempio realizzare «dei giardini urbani e delle ‘fasce tampone’ lungo i fiumi per migliorare la gestione delle acque meteoriche». E poi – rileva il professore in ecologia – un altro fattore importante per evitare le isole di calore sarebbe dato dalla possibilità di costruire diversamente: «Cercando dei materiali diversi, evitando colori scuri e aggiungendo vegetazione».

La connettività
Non va dimenticato, infine, il discorso della connettività. «Va aumentata il più possibile – dice il professore – all’interno delle reti idiografiche».

Questo per permettere perlomeno agli animali più mobili, come i pesci, «di accedere a dei rifugi adeguati durante le situazioni più critiche». Questi potrebbero essere «delle pozze più profonde nei tributari più freschi, oppure dei tratti a monte, dove le condizioni rimarranno probabilmente idonee anche in futuro».

Questo, non di meno, «permetterà alle popolazioni di animali che richiedono acque fredde di muoversi e trovare scampo quando arrivano delle ondate di calore».