Stipendi, si allarga il solco tra il Ticino e gli altri cantoni

Il solco tra il Ticino e il resto della Svizzera, perlomeno dal profilo dei salari, si fa sempre più profondo. Stando allo studio pubblicato dall’Ufficio cantonale di statistica (USTAT), in effetti, nel 2020 la mediana salariale del settore privato in Ticino era di 5.203 franchi, mentre nel resto del Paese (Ticino escluso) era di 6.414 franchi. Uno scarto, in soldoni, di oltre 1.200 franchi (il 23,3%). Osservando l’evoluzione degli ultimi dieci anni, poi, si nota come la mediana del Ticino sia aumentata appena del 3,7% (quindi di 188 franchi) mentre altrove del 7,3% (439 franchi). «Oltre a essere situata a un livello inferiore, quindi, la mediana ticinese si sta allontanando da quella del resto del Paese», evidenzia l’USTAT. Nel 2010, infatti, la distanza salariale tra noi e gli altri era più bassa, attorno al 19%.

Quali ragioni?
Ma, al di là delle cifre, lo studio cerca di sondare le ragioni dietro questo dislivello salariale. Ed è qui, dice Maurizio Bigotta, che si è occupato dell’analisi insieme alla collega dell’USTAT Vincenza Giancone, che sta la sorpresa: «La novità emersa è che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la composizione del mercato del lavoro, nonostante venga spesso evocata come un fattore determinante, spiega una minima parte del gap salariale tra noi e il resto della Svizzera». Detto altrimenti: «Anche a parità di profili (in termini di sesso, età, formazione, statuto, posizione professionale, tipologia di contratto, tempo di lavoro e sezione economica) le differenze con gli altri cantoni rimangono rilevanti».
Insomma, gran parte del divario salariale rimane immotivato. E quindi? «Quindi significa che entrano in gioco altri fattori, non misurabili nell’ambito della ‘‘Rilevazione sulla struttura dei salari’’, la fonte statistica sulla quale si fonda questa analisi. In primis, possiamo ipotizzare il costo della vita, inferiore in Ticino, che potrebbe portare a livelli inferiori degli stipendi. Oppure, la presenza importante di manodopera frontaliera, che in Ticino rappresenta oltre un terzo degli occupati. Di fatto, il mercato del lavoro attuale si è sviluppato nei decenni anche grazie alla possibilità di avere accesso a un’importante riserva di lavoratori stranieri a costo più basso rispetto ai residenti. E questo, secondo la teoria economica, porterebbe anche a livelli salariali più bassi».
Nello studio si ribadisce che in Ticino i residenti occupano le posizioni lavorative meglio retribuite. Nel resto della Svizzera, al contrario, visto che i lavoratori con permesso G sono proporzionalmente molti meno, i residenti occupano le diverse fasce della scala salariale. Ciò significa che, se anche negli altri cantoni vi fosse la stessa struttura del Ticino, ossia con i residenti che occupano più frequentemente le posizioni meglio retribuite, lo scarto di stipendio tra il nostro cantone e il resto del Paese potrebbe essere superiore.
Formazione e settori
Lo studio passa anche in rassegna altri parametri. Per quanto riguarda il livello di formazione, ad esempio, emerge che, a parità di condizioni, «i salariati con una formazione terziaria attivi nel resto della Svizzera percepiscono salari superiori di un terzo rispetto a quelli degli attivi in Ticino». Per contro, lo scarto si riduce un po’ per chi ha conseguito una formazione primaria (scuola dell’obbligo) e secondaria (licei e apprendistato), ma anche tra i giovani tra i 15 e i 24 anni. Come mai? «È plausibile - risponde Bigotta - che tra i giovani alle prime esperienze professionali i profili – soprattutto in termini di responsabilità – siano più omogenei -, indipendentemente dalla regione in cui si trova».
E le differenze non mancano anche per i diversi settori economici. In questo caso, lo scarto maggiore di stipendi tra Ticino e resto del Paese si registra per le attività manifatturiere e nel campo della comunicazione. In entrambi i casi, fuori dal Ticino lo stipendio è superiore quasi del 50%. Al contrario, la differenza si assottiglia nel ramo delle costruzioni (attorno all’8,6%) e della sanità (8,3%). Perché? «Da un lato, è probabile che questi risultati siano della presenza di contratti collettivi che fissano dei livelli salariali a livello nazionale, ma anche – in parte – di una penuria di manodopera (una carenza di profili, ad esempio nel campo sanitario, ndr.) che va quindi ricercata al di fuori del mercato del lavoro locale portando a livelli salariali più elevati e omogenei».