Ticino

Stop ai permessi per gli agenti di sicurezza italiani, «tutto legale»

Il Dipartimento delle istituzioni fa chiarezza sul Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata: «Impossibilitati a svolgere le dovute verifiche»
© CdT/Archivio
Red. Online
22.10.2020 16:39

La prassi messa in atto dal Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata della Polizia cantonale è conforme al diritto e garantisca l’equità di trattamento. Lo comunica il Dipartimento delle istituzioni in una nota, precisando che «contrariamente a quanto sostenuto degli interpellanti (ndr. l’atto parlamentare è datato 27 settembre), la decisione (temporanea) di non rilasciare autorizzazioni ai cittadini italiani risiede nel fatto che l’autorità ticinese è impossibilitata a verificare il possesso di uno dei requisiti posti dalla legge, conformemente al diritto e alla giurisprudenza». Ciò, oltre a perseguire gli scopi di legge - prosegue la nota - assicura la parità di trattamento: si vuole evitare che un cittadino italiano possa ricevere l’autorizzazione solo perché il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata non ha accesso alle informazioni necessarie, verifiche che, invece, avvengono sui cittadini svizzeri.

La Legge sulle attività private di investigazione e sorveglianza evidenzia come le persone che desiderano lavorare in questo contesto debbano dimostrare «buona condotta». Per la verifica di tutti i requisiti necessari è fondamentale poter accedere alle banche dati di polizia, poiché le informazioni contenute nell’estratto del casellario giudiziale e/o nell’estratto dei carichi pendenti non sono sufficienti a dimostrare l’idoneità della persona.

Per gli istanti residenti in Svizzera (siano essi svizzeri o stranieri, residenti ininterrottamente da più di 5 anni) le informazioni sono già in possesso del Servizio, mentre per i cittadini italiani (siano essi residenti in Italia o residenti in Svizzera da meno di 5 anni) dall’inizio di quest’anno il Centro di cooperazione di Polizia e Doganale di Chiasso (CCPD) non fornisce più le informazioni. Questo cambiamento è legato a un’interpretazione sui limiti dell’Accordo internazionale in vigore che mette in difficoltà la Dirigenza italiana del CCPD, impedendo loro di trasmettere le informazioni richieste dal Servizio. A questo riguardo, si sottolinea che già da alcuni mesi il Dipartimento delle istituzioni e i funzionari del Servizio stanno cercando un dialogo con l’autorità italiana per cercare di risolvere la situazione nell’interesse, in primis, dei cittadini italiani.