Streaming, un aumento dopo l’altro

Il prezzo cambierà presto. La mail di Netflix con questo oggetto arriva alla fine di ottobre. «Grazie per essere tra i nostri affezionati abbonati. Il prezzo mensile si aggiornerà». Due franchi in più (ma non te lo dicono, indicano solo la nuova cifra). Di due franchi era aumentato già alla fine di maggio del 2024. Qualche giorno prima è arrivata la stessa mail da Disney+. L’oggetto? Modifiche relative al tuo piano di abbonamento. Sono meno diretti, ma il contenuto non cambia: dalla fine di novembre il prezzo è passato a 16,90 franchi (abbonamento standard). Loro forniscono anche una motivazione: «Per continuare a offrirti il meglio possibile in tema di intrattenimento». Quattro franchi in più. La stessa mail un anno prima, con un rincaro di tre franchi.
Puntuali, dunque, ecco i rincari. Anche nei servizi di streaming. La stessa sorte è toccata agli utenti iscritti alle piattaforme audio, come Spotify. E dal momento che ogni utente ha esigenze diverse e nello stesso nucleo familiare si cerca di accontentare tutti, il prelievo sulla carta di credito alla fine del mese è decisamente corposo. Iscriversi a tutti i servizi principali costa oggi quasi il 30% in più rispetto a soli quattro anni fa. Cifre alle quali solitamente si aggiunge il costo del servizio fornito dall’operatore di telecomunicazioni per la visione dei canali TV. Insomma, se vi fermate a fare un calcolo, la cifra sborsata mensilmente per l’intrattenimento è davvero importante.
Netflix ha spiegato all’agenzia AWP che occasionalmente aumenta i prezzi «perché aumenta costantemente il valore aggiunto offerto agli abbonati». Tradotto: si investe di più, realizzare i prodotti ha un costo maggiore, la concorrenza aumenta. Ma è il portafoglio del consumatore ad alleggerirsi. C’è un’unica consolazione: con la «Lex Netflix», entrata in vigore il 1. gennaio 2024, le piattaforme di streaming e le grandi emittenti straniere devono investire almeno il 4% del loro fatturato lordo annuo nella creazione cinematografica elvetica. Per il primo anno sono stati preventivati 30 milioni di franchi, da investire entro il 2027.
Una forma di discriminazione
«Noi dell’Associazione consumatrici e consumatori della Svizzera italiana (ACSI) lo diciamo sempre: è importante tenere sotto controllo i costi fissi dell’economia domestica. E questi ne fanno parte, anche se prelevati dalla carta di credito o pagati in un colpo solo una volta l’anno». A parlare è la segretaria generale, Antonella Crüzer. La quale fa notare anche la discriminazione operata dalle grandi piattaforme di streaming nei confronti dei cittadini svizzeri, ticinesi in primis, i quali hanno sì uno stipendio più alto della media europea ma inferiore al resto del Paese e costi fissi più alti, dagli affitti alla cassa malati. «Se confrontiamo i prezzi all’estero, è palese che la cresta la fanno sui consumatori confederati. Lucrano moltissimo e in modo scorretto sulla fidelizzazione: offrono un prezzo abbordabile per iscriversi, poi lo gonfiano e ogni anno ci sono incrementi. Quando una famiglia si abitua ad avere un servizio, è difficile che vi rinunci. Per esempio, chi vorrebbe dire al proprio bimbo che bisogna rinunciare da un giorno all’altro a Disney+?. Vogliono forzare le persone a entrare in certi circuiti. La fregatura è che ci inducono ad avere bisogno di loro», spiega Crüzer. «Inoltre non c’è una presa di coscienza rispetto alle minoranze culturali. Noi italofoni non abbiamo la stessa offerta di Netflix Italia, i medesimi titoli. Eppure parliamo la stessa lingua, non quella degli zurighesi. L’offerta è minore rispetto ai nostri vicini, eppure il prezzo che paghiamo è differente».
Le lacune giuridiche
L’ACSI ha recentemente premiato la tesi di Master nell’ambito dei diritti dei consumatori di Martin Stoilkov, all’Università della Svizzera italiana. Lo studente ha analizzato i sistemi utilizzati dalle grandi piattaforme online per manipolare il consumatore a livello inconscio. «Oltre a pagare un prezzo, siamo vittime di tutta una serie di sfruttamento e manipolazione. Personalizzazione della pubblicità, indirizzo verso alcuni prodotti, filtri, promozioni. È un’analisi critica delle possibilità insite nella tecnologia di poterci controllare, manipolare e indurre ad accettare prezzi che sono nettamente più alti di quello per cui paghiamo». La segretaria generale fa notare inoltre che «l’ACSI chiede da tempo una tutela adeguata del consumatore finale di fronte allo strapotere delle piattaforme di massa. Oggi manca all’interno del panorama svizzero e giuridico – anche internazionale – una tutela del consumatore da una serie di possibilità scorrette da parte delle aziende».
Il consiglio dell’ACSI è di inserire i vari abbonamenti stipulati nella pianificazione del budget familiare, perché è una spesa che non va sottovalutata e, soprattutto, deve essere riconsiderata di anno in anno. «Per frenare questi aumenti ingiustificati bisognerebbe unirsi e decidere di disdire tutti per un anno l’abbonamento, per mandare un messaggio», conclude Antonella Crüzer. «C’è chi lo fa e crea un nuovo profilo con altre credenziali, per approfittare degli sconti riservati ai nuovi membri, ma sono pochi poiché di solito non si vuole rinunciare alla tracciabilità delle preferenze registrate. Si potrebbe però pensare agli abbonamenti in condivisione, perché utilizzare più schermi ha un costo mensile maggiore, ma ancora inferiore rispetto ai singoli profili. L’individualismo non è più una strada vincente nell’economia moderna». Infine, una provocazione: «Un tempo bisognava acquistare la videocassetta o il DVD. Dovremmo tornare a metterci dei limiti e a ragionare anche sulle nostre tasche. Se ogni giorno dovessimo entrare nel negozio di Netflix, forse ci penseremmo un pochino di più prima di acquistare. Dovremmo essere più bravi a trovare alternative quali lo scambio, la condivisione, il prestito gratuito».
Quando ogni minuto di consumo conta per il guadagno

L’economia dell’attenzione. È attorno a questo concetto che ruota la tesi di Master di Martin Stoilkov, neo-laureato all’USI. La premessa è che, nell’era digitale, le grandi piattaforme (dello streaming, ma anche i social media) sono in concorrenza tra loro per riuscire ad accaparrarsi l’attenzione del consumatore e far crescere il loro guadagno: ogni minuto che passiamo «consumandole» è un minuto in più che serve alle aziende per analizzare il nostro comportamento e raggiungere un guadagno. «C’è un aspetto che troppo spesso viene sottovalutato, è la “personalizzazione dell’esperienza utente” – spiega Martin –. Ogni volta che accediamo alla piattaforma, l’algoritmo registra i movimenti, le preferenze, il tempo di fruizione. Lo addestriamo inconsciamente a personalizzare la nostra modalità di fruizione. Se, da un lato, questo meccanismo consente di risparmiare tempo perché registra le preferenze, dall’altro relega l’utente a una sorta di “bolla”. Sceglie che cosa mostrargli, poiché convinto di soddisfare le sue richieste. Così facendo, però, esclude una grande categoria di contenuti che l’algoritmo ritiene poco interessanti per la persona. Isolandola da alcune informazioni e possibilità». Anche il binge watching (o abbuffata di serie TV) sfrutta il concetto di attenzione del consumatore: non appena si conclude un episodio, parte automaticamente quello successivo. «Il consumatore non ha il tempo per decidere se andare avanti. Non ci sono interruzioni e vive passivamente il seguito. L’algoritmo, come detto, si nutre di ogni minuto di fruizione e il fine è solo uno: il guadagno».
Nella sua ricerca, Stoilkov analizza anche il concetto di FOMO (Fear Of Missing Out), ovvero la «paura di essere tagliati fuori» o «paura di perdersi qualcosa», un fenomeno psicologico caratterizzato dall'ansia di non partecipare a esperienze gratificanti vissute dagli altri. «Guardiamo una serie TV perché tutti ne parlano e non vogliamo sentirci esclusi. Guardiamo le stories degli altri su Instagram perché abbiamo solo 24 ore e poi saranno eliminate, e non possiamo perdercele. È una peculiarità dell’era digitale ed è diventata una caratteristica intrinseca del lato umano in questa epoca – conclude il laureando –. Un po’ lo abbiamo alimentato noi consumatori, un po’ siamo vittime di quello che hanno creato per noi. Se non fossimo utenti attivi, le piattaforme non avrebbero nutrimento. Non bisogna dimenticare che le aziende sfruttano il bisogno di “senso di appartenenza”. Creano un’esperienza cucita su misura sull’utente. Ma si tratta di una strategia di marketing. L’economia dell’attenzione è quello su cui le piattaforme concorrono: gran parte del tempo libero lo dedichiamo all’intrattenimento e alla fruizione di contenuti digitali, e le aziende multimediali concorrono proprio per accaparrarsi quel tempo».
