Sul burqa «un segnale chiaro»

Sì, il Ticino ha fatto da apripista sul divieto di dissimulare il proprio viso. Un tema che a lungo ha fatto discutere nel nostro Cantone e che oggi, a otto anni di distanza dal voto popolare ticinese del 2013, ha fatto breccia anche su scala nazionale. Un risultato che non sorprende il presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi. «Il fatto che solo tre Comuni in Ticino (Bedigliora, Miglieglia e Onsernone, ndr) abbiano votato contro il divieto è un segnale chiaro», rimarca Gobbi, precisando che «si tratta pure di una conferma che quanto applicato nel nostro Cantone dopo il voto popolare del 2013 non ha creato problemi». Ma non solo. Secondo il consigliere di Stato «dimostra pure che non si tratta di un voto contro qualcosa o qualcuno, bensì a favore di determinati valori e della sicurezza».


E sul fatto che in Ticino in questi ultimi anni non siano state inflitte molte multe (una sessantina) a chi non ha rispettato il divieto, il presidente del Governo spiega: «Non sono state tante proprio perché abbiamo lavorato anche sull’informazione preventiva, ad esempio collaborando con il settore alberghiero». In ogni caso, per Gobbi si tratta anche di una questione di rispetto delle regole: «Si pensi al caso degli Stati Uniti, dove vige il divieto di consumare alcool sotto i 20 anni. Quando una persona va in quel Paese sa benissimo che deve rispettare le sue regole. C’è anche questo elemento da considerare». Infine, sul tema dell’islamofobia, il presidente dell’Esecutivo cantonale evidenzia: «Non mi sembra ci sia un problema di questo tipo in Ticino. Come Cantone abbiamo pure fatto un’analisi tramite uno studio della SUPSI, dal quale emergeva che la stragrande maggioranza dei musulmani presenti da noi hanno un approccio piuttosto laico. Gli estremisti che vedono nel burqa un elemento di identificazione sono una minoranza».
L’imam Jelassi: «Una brutta aria contro di noi»
«I cittadini svizzeri hanno votato su un problema che non esiste. Nel nostro Paese, su un totale di quasi mezzo milione di musulmani, le persone che indossano il velo integrale non sono nemmeno cinquanta. Ancora una volta, le votazioni sono servite unicamente a riempire di voti le tasche di alcuni politici che usano l’Islam per manipolare il consenso».
Radouan Jelassi, imam della moschea di Viganello, non nasconde la sua delusione per l’esito dell’iniziativa popolare sulla dissimulazione del volto, diventata a tutti gli effetti un referendum sul burqa. «Di fatto – dice Jelassi – si è ripetuto quanto accaduto con il voto sui minareti. È stato un modo surrettizio per fare polemica contro l’Islam che in Svizzera non è estremista. C’è di nuovo una brutta aria contro di noi».


L’imam di Viganello parla in modo chiaro di «islamofobia: a chi dice che scopo di questa iniziativa era porre un freno a un possibile ritorno del radicalismo, rispondo che lo strumento migliore per evitare il radicalismo è il dialogo». E a sostegno della sua tesi cita la visita che Francesco sta concludendo, proprio in queste ore, in Iraq. «Il Papa ha mostrato quanto siano utili l’apertura e il dialogo verso il mondo islamico. I musulmani sono stufi di essere giudicati. La scelta del pontefice dovrebbe essere una lezione per molti politici. Peraltro, l’accoglienza tributata al Papa dimostra tante cose: la convivenza tra religioni diverse è sempre stata una caratteristica del mondo islamico, assieme alla cultura del rispetto».
Gli effetti pratici della decisione popolare sulla dissimulazione del volto, secondo Jelassi, saranno negativi unicamente per il settore turistico «La Svizzera è una delle mete preferite di chi arriva dai Paesi del Golfo, adesso il messaggio lanciato nelle urne è chiaro: non siete i benvenuti. Un messaggio del tutto negativo, che lo stesso Consiglio federale avrebbe voluto evitare tanto da aver raccomandato di votare no». Alla domanda sull’incompatibilità del burqa in un mondo in cui donne e uomini godono di uguali diritti, l’imam di Viganello ribadisce l’importanza della «libera scelta di ciascuno. La maggior parte delle scuole di giurisprudenza islamica non lo chiede, c’è soltanto una piccola minoranza che lo sostiene questo obbligo. Se poi parliamo del problema di identificare le persone che si coprono il viso, l’autorità può sempre farlo. Ecco perché si tratta di una falsa questione».