Sulla morte dell’operaio edile la sentenza sarà a novembre

Bisognerà attendere fino a novembre per sapere se la morte di un operaio edile italiano di 54 anni avvenuta l’8 gennaio 2021 nel cantiere dell’Hotel du Lac a Paradiso è stata una tragica fatalità o è stata provocata da una serie di negligenze da parte di tre lavoratori dell’edilizia e colleghi della vittima alla sbarra per omicidio colposo e violazione delle regole dell’arte edilizia. Ad annunciare la sentenza in novembre è stato dopo due giorni di processo il presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano, Paolo Bordoli. Che si è appunto preso tutto il tempo necessario per capire se l’anta di legno e vetro caduta in testa alla vittima attraverso il vano ascensore durante i lavori di sgombero dell’ex Hotel du Lac sia da ascrivere a pura casualità o invece sia stata la diretta conseguenza di un cantiere gestito male.
Per il procuratore generale sostituto Moreno Capella, che oggi ha tenuto la requisitoria, prima di lasciare la parola alle difese dei tre imputati - un operaio edile di 50 anni, un tecnico di cantiere di 58 anni e un capo cantiere di 55 anni, tutti di nazionalità italiana - non ci sono dubbi. Tutti e tre imputati hanno sbagliato. Anche se tutti contestano ogni responsabilità, tanto che le loro difese ieri hanno chiesto tre proscioglimenti. Di parere opposto, appunto, Capella che per l’operaio che ha gettato l’anta nel vano ascensore ha chiesto 8 mesi sospesi per due anni, per il capo cantiere 8 mesi sospesi per due anni e per il tecnico di cantiere 10 mesi sospesi per due anni.
Il primo non avrebbe chiesto alla vittima una conferma prima di effettuare il lancio fatale e non lo avrebbe eseguito immediatamente. Il capo cantiere sarebbe venuto meno alle sue responsabilità e non poteva non essere conscio della pericolosità dei lanci. Mentre il tecnico che «era la persona responsabile della sicurezza» ha «dimostrato disinteressamento» e «non ha proposto alternative» a un sistema in cui «era facile che qualcosa potesse andare storto». Il piano delle misure di sicurezza nel cantiere, ha aggiunto Capella, «era gravemente carente dal profilo della pianificazione, illecito dal profilo del diritto e lacunoso nella sua concretizzazione». La morte dell’operaio edile, secondo il magistrato, si sarebbe dunque potuta evitare, se il cantiere fosse stato approntato in modo differente. Come? Usando un sistema di comunicazione differente e non «grezzo e primitivo» come quello a voce, prevedendo dei parapetti prima della porta dell’ascensore dalla quale è stato gettato il materiale, mettendo in piedi maggiori dispositivi di protezione e sorvegliando meglio la zona in cui il materiale cadeva, ossia al pianterreno, 18 metri più in basso.
Parole che non hanno fatto evidentemente breccia nelle difese. Anche se l’avvocato dell’autore materiale del lancio mortale, Niccolò Giovanettina nella sua arringa si è trovato alcune volte d’accordo con il procuratore. «Non è giusto portare in aula un operaio quando è un’azienda ad aver mancato gravemente la sicurezza sul lavoro - ha detto -. Quel cantiere non era all’altezza. Chiunque poteva perdere la vita là dentro. Il mio assistito era solo l’ultimo anello di una catena. Si è attenuto a un comportamento che nessuno, peraltro, gli aveva spiegato». Di parere opposto l’avvocato del capo cantiere, Andrea Gamba. «È stata una tragica fatalità. Perché bisogna trovare per forza un colpevole?», ha domandato, prima di continuare. «Non sono stati i parapetti mancanti a far mettere alla vittima la testa nel vano ascensore. È stata la vittima ad agire in maniera colpevole perché ha fatto esattamente il contrario di quello che doveva fare». A sottolineare la mancanza di un nesso di causalità tra quanto messo in piedi nel cantiere e il decesso è stato anche l’avvocato del tecnico edile, Goran Mazzucchelli. «Il mio cliente non era il capo cantiere ombra. Non spettava a lui controllare e sorvegliare le regole di sicurezza, che comunque era garantita. Il suo compito era quello di istruire e formare il capo cantiere, cosa che ha fatto». Inoltre, ha aggiunto, «la morte dell’operaio è stata imprevedibile. Ancora oggi non sappiamo come mai sia entrato con la testa nel vano ascensore dopo aver chiesto di lanciargli il materiale di sgombero».
Quella mattina dell’8 gennaio 2021 nessuno doveva essere lì. Perché dopo 3mila lanci di materiale il lavoro di sgombero pareva finito. Pareva. Perché erano rimaste ancora alcune ante in una suite di cui nessuno sapeva nulla. Ante che al terzo lancio si sono purtroppo trasformate in strumenti fatali.