Tassa sulla salute dei frontalieri, dalla Lombardia nessun passo indietro

Nessun passo indietro. I “vecchi” frontalieri lombardi saranno chiamati presto a pagare la tassa sulla salute, introdotta alla fine del 2023 dal Parlamento italiano con una norma inserita nella Legge di bilancio ma rimasta, sin qui, inapplicata. In una riunione convocata questo pomeriggio nella sede della Regione Lombardia, l’assessore ai Rapporti con la Confederazione Elvetica Massimo Sertori ha confermato ai rappresentanti sindacali la volontà di proseguire l’iter necessario alla definizione delle regole per il prelievo della tassa. Ai sindacati è stato comunicato che è in fase di definizione il decreto attuativo, la cui stesura è delegata congiuntamente ai ministeri ministero dell’Economia e della Salute. La Lombardia, secondo quanto emerso durante la riunione, avrebbe deciso di applicare la tassa nella percentuale minima, ovvero il 3% dei salari netti.
L’incasso ipotizzato per il 2025 si aggira attorno ai 90/100 milioni di euro. Una cifra destinata a diminuire progressivamente negli anni, di pari passo con la riduzione del numero dei “vecchi” frontalieri.
La nota di CGIL CISL e UIL
In una nota diffusa oggi al termine dell’incontro, i delegati di CGIL, CISL e UIL hanno ribadito quanto detto in precedenza sull’argomento, ovvero di essere contrari all’introduzione di una tassa destinata a determinare la «doppia imposizione», ovvero a violare l’accordo internazionale stipulato con la Confederazione in materie fiscale.
Il sindacato ha richiesto alla Regione di trasformare l’imposta in un contributo volontario, cosa che determinerebbe «tanto il superamento dei dubbi di incostituzionalità, quanto la definizione di un possibile controvalore che ne incentivi l’adesione».
Confermata anche la scelta di ricorrere per via giudiziaria contro il provvedimento. Un ricorso che si annuncia comunque complicato, dato che dovrà essere adito di fronte al Tribunale ordinario in modo da sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale.
Oggi, i sindacati italiani incontrano quelli svizzeri per fare il punto della situazione e coordinare eventuali iniziative congiunte. La convocazione praticamente immediata dei consigli sindacali interregionali - gli organismi bilaterali istituiti dalle organizzazioni dei lavoratori svizzere e italiane - è il segnale chiaro di quanto sia sentita la questione.
La posizione dell’OCST
In un comunicato diffuso questa sera, l’OCST è nuovamente intervenuta per esprimere la propria «chiara contrarietà alla tassa sulla salute, per ragioni di merito e di legittimità». Secondo il sindacato cattolico ticinese, la tassa «è iniqua, perché ignora il fatto che i frontalieri già contribuiscono al sistema sanitario pubblico italiano attraverso i ristorni fiscali (pari al 40% di quanto versato alla fonte in Svizzera); è ingiustificata, perché contraddice quanto affermato dal ministero italiano della Salute nel 2016, che allora escluse la necessità di contributi supplementari; è problematica sotto il profilo legale, perché sembra in contrasto con il nuovo accordo sulla tassazione dei frontalieri, entrato in vigore nel 2023, accordo che stabilisce come unica autorità fiscale competente la Svizzera».
Anche la proposta avanzata oggi dalla Regione Lombardia durante l’incontro con CGIL, CISL e UIL di destinare il 30% del gettito alla creazione di un welfare di confine non meglio specificato «non modifica la nostra posizione di contrarietà», conclude l’OCST.
Lo scenario possibile
Sullo sfondo di tutto questo resta il fatto che proprio la Confederazione potrebbe intervenire per denunciare la violazione dell’accordo internazionale sulla doppia imposizione. Come ha scritto il Consiglio federale lo scorso febbraio rispondendo a un’interrogazione del consigliere agli Stati Fabio Regazzi (Il Centro), «se la cosiddetta tassa sanitaria dovesse essere impostata come una tassa causale, non rappresenterebbe una violazione dell’accordo sui frontalieri. La Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI) continuerà tuttavia a seguire attivamente gli sviluppi in questo ambito e interverrà nel caso in cui l’impostazione concreta della misura lo dovesse richiedere». In sostanza, la Svizzera potrebbe accettare il nuovo balzello soltanto se questo fosse una tassa di scopo, un prelievo diretto ad esempio a finanziare il comparto sanitario. Diversamente, se cioè l’imposta avesse caratteristiche universalistiche, non è improbabile che anche Berna possa chiedere formalmente all’Italia di riconsiderare la norma adombrando l’inosservanza della convenzione del 1976 così come rivista con il trattato della fine del 2020.