Tasse e «nuovi» frontalieri, la stangata è servita

Finito il tempo delle simulazioni, sui tavoli degli uffici dei patronati sindacali delle province italiane di confine (le strutture che fanno assistenza fiscale ai lavoratori, ndr) sono atterrate, in questi giorni, le dichiarazioni dei redditi reali. E per i «nuovi» frontalieri il conto è stata una terrificante frustata. Quasi uno shock, anche a causa dell’obbligo di versare immediatamente l’anticipo del 2026.
Un solo esempio fa capire di che cosa stiamo parlando. Una lavoratrice «nuova» frontaliera con un salario annuo lordo di 48 mila franchi ha pagato 2.500 franchi di imposta alla fonte in Ticino, ma dovrà sborsare quasi 13 mila euro in Italia. Poco meno di 6.500 euro per il 2025 e altrettanti per l’anno successivo. Un salasso che nessuno, ovviamente, aveva messo in conto.
Nonostante le detrazioni e la franchigia di 10 mila euro (nel caso descritto, le imposte si pagano, infatti, su un reddito base di 38 mila euro), il saldo è da brivido. Oltre un terzo di quanto ricevuto finirà nelle tasche dell’erario.
Un gigantesco regalo
Alla prova dei fatti, la riforma introdotta dopo l’accordo sulla doppia imposizione si è rivelato un gigantesco omaggio al Fisco della Penisola. Che incassa senza colpo ferire una quantità di tasse inattesa.
Va infatti considerato che salari più alti di quello preso in considerazione come esempio, in virtù delle aliquote sui redditi delle persone fisiche (IRPEF), verseranno cifre ancora maggiori: fino a 28 mila euro di guadagno si paga infatti il 23% di tasse; da 28.001 a 50 mila euro si versa il 35%; ma oltre 50 mila euro, si sale al 43%.
È del tutto chiaro che se il Ticino ha ragione di guardare alla riforma in modo positivo, avendo la certezza - nel medio periodo - di incrementare le proprie entrate fiscali e di non dover più pagare i ristorni, l’Italia non può che brindare. Per gli incassi, in primo luogo. Ma anche e soprattutto per la possibilità di accedere ai dati dei salari dei frontalieri, finora rimasti coperti.
«Che potesse trattarsi di un salasso lo sapevamo tutti - dice al Corriere del Ticino Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale dei frontalieri per la CGIL - noi non siamo mai stati favorevoli alla cancellazione dell’accordo del 1974, ma di fronte a una volontà politica chiara ed evidente abbiamo lavorato per ridurre più possibile il danno, ottenendo in particolare l’innalzamento della franchigia da 7.500 a 10 mila euro, l’accesso ad alcune detrazioni e l’esclusione dei “vecchi” frontalieri dalla riforma».
Il carico fiscale che grava oggi sui nuovi assunti, dice ancora Augurusa, «è sicuramente più alto ma non elimina il vantaggio competitivo del Ticino. La cui attrattività resta elevata: oltrefrontiera si guadagna sempre molto più che in Italia. Certo, la revisione dell’intesa sulla doppia imposizione è stata, per la Penisola, un grande regalo».
Vertice a Milano
Intanto, l’impossibilità, almeno momentanea, di conoscere gli importi degli stipendi dei «vecchi» frontalieri - di chi era, cioè, contrattualizzato in Svizzera prima della metà del luglio 2023 - sta creando non pochi grattacapi al governo della Regione Lombardia in vista dell’applicazione della cosiddetta «tassa della salute».
Il prossimo 22 luglio, a Milano, i sindacati sono stati convocati a Palazzo Lombardia per discutere proprio la questione del balzello introdotto con la Finanziaria 2024 dal Parlamento di Roma, ma rimasto sinora inapplicato.
«Sentiremo quali sono le valutazioni della Regione - dice ancora Augurusa - personalmente, credo che si siano resi conto del fatto che il meccanismo previsto dalla norma non è in grado di funzionare».
Quantomeno, fa capire il sindacalista italiano, non senza i dati sui salari che la Svizzera non sembra intenzionata, per il momento, a dare all’Agenzia delle Entrate.
Il Piemonte, com’è noto, ha già detto che non applicherà la tassa. In Lombardia, dove l’importo in gioco è decisamente maggiore (si parla, nei primi anni, di decine di milioni di euro), tutto è invece ancora in gioco. I sindacati chiedono che il provvedimento sia ritirato o, in alternativa, che sia reso volontario. «Senza un’intesa - conferma Augurusa - faremo ricorso in Corte Costituzionale. Ci auguriamo pure che la Svizzera, di fronte a una violazione dell’accordo internazionale, dica finalmente qualcosa, e non si limiti a delegare ai docenti e agli istituti universitari l’espressione del proprio parere contrario».