Commercio dei giochi

Temu, Shein e gli altri: «I siti cinesi? Uno tsunami»

Prodotti copiati, contraffatti e pericolosi: il grido d’allarme del presidente dell’Associazione svizzera dei giocattoli – «C’è grande frustrazione di fronte alla mancata considerazione di Berna: preferiscono ascoltare i rappresentanti di Pechino che l’economia svizzera»
©Chiara Zocchetti
Paolo Galli
06.12.2025 06:00

Un breve aneddoto, molto banale. Negli scorsi giorni, pensando ai regali di Natale, ho «googlato» il nome di un gioco da tavolo potenzialmente interessante per mia figlia: «Rebel Princess», sviluppato da una piccola azienda spagnola. I prezzi, al netto delle spese di spedizione, variavano tra i 15,90 franchi di Ex Libris e i 18,70 di Galaxus, fino ai 29,37 dell’Amazon tedesco. Tra le offerte, anche quella della piattaforma cinese Shein: 5,78 franchi. Una differenza schiacciante. Ma non solo: per quel prezzo, il potenziale cliente si ritroverebbe un «4x1», con l’aggiunta di altri tre giochi da tavolo, ovvero l’ottimo «Hanabi» (Spiel des Jahres del 2013), «Dodelido» (raccomandato dalla giuria dello SdJ 2017) e «Dodelido Extreme». Come è possibile?

Tutte le copie

Lo abbiamo chiesto a Hans-Christian von der Crone, presidente dell’Associazione svizzera dei giocattoli, che rappresenta il settore, riunendo produttori, importatori e grossisti. «È molto semplice, sarà stata una copia. I proprietari di quei marchi non venderanno mai direttamente su Shein. Noi, in Svizzera, abbiamo appena trattato il caso di Cuboro in una tavola rotonda con la SECO, in ottobre. Abbiamo spiegato bene come funziona il tutto. Le piattaforme cinesi vendono copie molto simili e i clienti possono pensare che siano vere, che siano davvero Cuboro. Ma non c’è nulla di Swiss Made, e non c’è nulla della qualità della ditta svizzera, che trova il legno direttamente nei boschi della regione». Molti sarebbero i casi di copyright non rispettati, secondo von der Crone. «Si trova tutto perché questi siti copiano tutto. A volte usando addirittura i nomi originali». Ci chiediamo che cosa possa fare un produttore o un distributore di giocattoli di fronte a una simile situazione. «Noi, come Associazione, la stiamo combattendo. I singoli possono rivolgersi all’amministrazione federale o al Governo cinese, ma è molto difficile essere ascoltati e presi sul serio. Fermare la produzione e la distribuzione di copie di prodotti originali è quasi impossibile. O meglio, una cosa si potrebbe fare: possiamo chiudere questi siti. Noi stiamo lottando da anni, ma i risultati non ci sono ancora».

Categoria «inascoltata»

Von der Crone parla più volte di frustrazione. È una situazione difficilmente sostenibile. E il settore dei giocattoli è un esempio, ma il caso e la frustrazione sono comuni anche ad altri ambiti. «È davvero molto difficile. Perché bisogna avere sempre prodotti di qualità, con prezzi giusti, margini corretti, ma anche questo non è garanzia di successo. Come rappresentanti del settore, infatti, ci spendiamo in maniera diretta e dura su più fronti. È molto complicato, anche perché l’impressione è che il nostro Governo creda più ai rappresentanti di queste piattaforme cinesi in Svizzera - i quali continuano a confermare di muoversi secondo le regole - che non ai rappresentanti dell’economia nazionale e a migliaia e migliaia di imprese, settori, associazioni». Tornando al caso di Cuboro, e simili, è difficile per i piccoli produttori fare breccia nell’agenda politica dei deputati a Berna. «Non si riesce a fare nulla. È davvero frustrante», conferma il presidente. «Nulla. Neppure di fronte alle prove di tanti prodotti non conformi, addirittura pericolosi».

La pericolosità dei prodotti

Negli scorsi giorni, la stessa associazione ha ripreso il risultato di un test effettuato dall’associazione tedesca dei consumatori Stiftung Warentest: di 162 prodotti di Temu e Shein analizzati (tra cui 54 giocattoli), 110 non soddisfacevano gli standard europei. E un quarto di essi è risultato potenzialmente pericoloso. «Ciò che preoccupa è che, mentre le aziende svizzere devono rispettare leggi severe, queste piattaforme possono sistematicamente aggirare le norme sulla sicurezza e sulla responsabilità, poiché la Confederazione svizzera conferisce loro lo status di “importatori privati” e scarica la responsabilità sui singoli consumatori». Von der Crone fa sentire la voce del settore. «Ma quando lo facciamo, poi qualcuno ci accusa persino di lamentarci per guadagnare di più». Un paradosso.

Il modello francese

«Le autorità non riescono a controllare il mercato». In Europa, la Francia ha provato a mettere un freno al dilagare delle piattaforme cinesi, in particolare dopo aver smascherato il commercio di bambole sessuali e giocattoli a forma di armi destinati ai minori, ma questo modello di reazione non è uniforme. «Se come privato distributore svizzero compro un prodotto in Cina, devo controllare tutto, devo certificare ogni cosa. Ma il singolo cliente, attraverso queste piattaforme, può comprare indisturbato ciò che vuole, senza la minima certificazione». Un problema che riguarda tutta l’Europa. Non gli Stati Uniti, viste le azioni intraprese da Donald Trump per limitare i vantaggi commerciali delle aziende come Shein e Temu. Una su tutte: rimuovere l’esenzione «de minimis». Von der Crone chiude: «La Svizzera teme di perdere i buoni rapporti con la Cina, evidentemente. È uno dei mercati più importanti. Ma qui c’è un’economia che rischia di subire oltre misura questa situazione, e ci sono i singoli clienti che rischiano la propria salute comprando prodotti pericolosi».

La storia di Grisù a Mendrisio

A Mendrisio, il negozio di giochi da tavolo Grisù ha aperto appena un anno fa. Ha aperto, strategicamente, di fronte all’università, in un quartiere quindi frequentato da molti giovani e giovani adulti. Roberto Stefanini è tra i fondatori, i quali, pur consci delle storture del mercato, hanno comunque deciso di provarci. E i primi 12-13 mesi di attività - anche se Stefanini non si sbilancia - sono stati positivi, persino oltre le aspettative. Riflette: «Il problema che viviamo sui giochi da tavolo, vale per tutti i settori. Per noi, poi, è una concorrenza solo relativa. È vero, ci sono potenziali clienti che approfittano di quelle offerte, ma poi spesso si ritrovano con prodotti più scadenti», quando non contraffatti. «E poi, al contrario, c’è chi cerca la qualità e la garanzia di un negoziante di prossimità, con tutto quel che comporta di positivo, e che sceglie di acquistare il gioco originale, decidendo di pagare quel che è giusto all’autore di quel gioco». Stefanini ci racconta di clienti che sono passati dal suo negozio lamentandosi di aver acquistato online quelle che si sono poi rivelate brutte copie dei prodotti originali. Insomma, si possono prendere rischiose fregature. «Noi siamo partiti con l’idea di voler tenere prezzi corretti, quindi in linea con il mercato ufficiale. Abbiamo quindi deciso di giocare così questa grande sfida, perché aprire un negozio fisico, in generale, è proprio questo: una sfida. Perché dobbiamo vedercela con l’ecommerce, compreso quello cinese, ma anche con la grande distribuzione. Il nostro approccio, oltre che fisico, è fatto di supporto, di senso di comunità, visto che abbiamo una sala in cui si può direttamente giocare, di incontro. Questo è l’elemento che abbiamo contrapposto all’esperienza fredda dell’ecommerce, che offriamo anche noi stessi». Insomma, è un discorso di passione. «E sui prezzi, di onestà. Poi è ovvio che il prodotto contraffatto, non originale, potrà attirare qualche potenziale cliente, ma rispetto a quelle dinamiche non possiamo fare nulla». Stefanini riflette ancora, dopo aver servito una cliente che voleva un buono da regalare per Natale: «Cioè, se tutti quelli che fanno commercio pensassero a Shein o a Temu, be’ nessuno aprirebbe più nulla. Per fortuna c’è ancora una clientela che sa distinguere un prodotto dall’altro. E la clientela di un negozio di giochi da tavolo è spesso informata sui prodotti che acquista, conosce il lavoro che ci sta dietro e sa quale sia un prezzo corretto. Noi stessi cerchiamo di veicolare un altro tipo di rapporto, non quello dell’affare speculativo, ma della vicinanza».
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