Domande e risposte

Terza dose di vaccino? «Per ora non serve»

Il dibattito è sempre più acceso e Israele ha già deciso di procedere - L’OMS ammonisce: «Una prova di avidità» - L’esperto Alessandro Diana: «Gli studi indicano che la protezione del vaccino è garantita anche con la variante, ma potrebbe servire agli immunodepressi»
© AP/Eranga Jayawardena
Martina Salvini
15.07.2021 06:00

Nonostante i dubbi siano molti, Israele ha deciso di somministrare la terza dose di vaccino alle persone fragili. Ma ne abbiamo davvero bisogno? Cerchiamo di fare chiarezza.

1. Perché si parla già di una terza dose di vaccino?

Perché Pfizer-BioNTech ha manifestato l’intenzione di richiedere alla Food and Drug Administration (FDA) e all’Agenzia europea del Farmaco (EMA) la possibilità di sperimentare una terza dose sviluppata in modo specifico contro la variante Delta, visto che è destinata a diventare predominante in tutto il mondo. L’azienda farmaceutica ha spiegato che esistono «dati incoraggianti» sulla dose supplementare del vaccino, che aumenterebbe il livello di anticorpi da cinque a dieci volte se somministrata sei mesi dopo la seconda dose.

2. Qual è stata la prima reazione di FDA e EMA?

Le autorità sanitarie statunitensi hanno chiarito che gli americani che hanno già ricevuto due dosi non devono sottoporsi a una terza somministrazione, nonostante il diffondersi delle nuove varianti. Stessa posizione dell’EMA, secondo la quale al momento «è troppo presto per confermare se e quando sarà necessaria una dose di richiamo, perché non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne di immunizzazione e dagli studi in corso per capire quanto durerà la protezione dai vaccini». I due enti regolatori hanno dunque frenato sul richiamo. «Questo non vuol dire che le cose non possano cambiare. Prima o poi potremmo aver bisogno di un “booster” per tutti o per alcuni gruppi selezionati, come gli anziani o le persone con patologie preesistenti», ha commentato Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale per la ricerca sulle malattie infettive degli Stati Uniti.

3. Mentre FDA e EMA tendono a frenare, ci sono Paesi che hanno già deciso di somministrare la terza dose. Quali?

Sì, Israele ha annunciato un terzo richiamo con il preparato di Pfizer. Il via libera è arrivato lunedì dal ministro della Salute, dopo la continua crescita dei contagi a causa della variante Delta. Lo Stato ebraico è il primo Paese al mondo a offrire un ulteriore richiamo. Il farmaco è però destinato, almeno per ora, alle persone immunodepresse. L’obiettivo - hanno dichiarato le autorità - è impedire che siano contagiati e che sviluppino forme gravi della malattia.

4. In quali casi potrebbe servire la terza dose?

«La somministrazione di una terza dose è indicata solo laddove vi siano avvisaglie che l’immunità garantita dai preparati cali. Finora, però, possiamo contare su dati solidi che indicano che le persone immunizzate mantengono una protezione molto alta, anche con la variante Delta», ci spiega Alessandro Diana, pediatra, vaccinologo e docente alla facoltà di medicina dell’Università di Ginevra. Il tema invece si pone per le persone immunodepresse: «Per loro un ulteriore richiamo potrebbe essere indicato. E, probabilmente, l’Ufficio federale della sanità pubblica in autunno raccomanderà il richiamo per questa categoria se i segnali indicheranno che la risposta immunitaria è diminuita».

5. Potrebbe essere necessaria anche per gli anziani?

È la prima categoria che la Svizzera ha deciso di proteggere con la campagna vaccinale. «Gli anziani rappresentano la fascia di popolazione che, proprio perché più fragile, potrebbe sovraccaricare il sistema ospedaliero», dice Diana. «Con l’invecchiamento, infatti, anche il sistema immunitario diventa più fragile, e anche questa categoria potrebbe avere bisogno di una terza somministrazione. Finora, però, la protezione rimane elevata e quindi un terzo richiamo non sembra giustificato». Almeno per ora. «La mia impressione è che disponiamo di un po’ di tempo: la protezione fornita dal vaccino potrebbe durare ancora un anno. E questi mesi di attesa potrebbero essere sfruttati per immunizzare le fasce a rischio degli altri Paesi, cedendo le dosi che ora non stiamo utilizzando». Già, perché se è vero che i nostri anziani al momento non hanno bisogno di ricevere una terza dose, secondo Diana sarebbe utile che i pazienti fragili dei Paesi più poveri potessero almeno accedere alla prima somministrazione.

6. La Confederazione ha già preso posizione sulla questione?

Alain Berset, presentando i tre scenari per l’autunno, ha in effetti citato la possibilità di somministrare una terza dose. L’ha inserita all’interno del secondo scenario, ovvero quello ritenuto più probabile. Nel caso in cui dovessero manifestarsi le condizioni previste - con la comparsa di varianti più infettive e con una nuova forte pressione sul sistema sanitario -, il consigliere federale ha spiegato che potranno «rendersi necessarie vaccinazioni di richiamo».

7. Cosa ne pensa l’Organizzazione mondiale della sanità?

Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus si è scagliato contro i Paesi ricchi che già pensano all’iniezione di una terza dose, mentre gran parte del mondo è ancora in attesa del primo vaccino. «Se la solidarietà non funziona, c’è solo una parola per spiegare il prolungarsi dell’agonia di questo mondo ancora in ostaggio del virus: è avidità», ha tuonato. Le consegne dei vaccini, secondo il direttore dell’OMS, sono «inique e irregolari»: «Alcuni Paesi stanno ordinando milioni di dosi di richiamo mentre altri non sono stati in grado di immunizzare i loro operatori sanitari e le parti più vulnerabili della loro popolazione».

8. È solo una questione etica o di pura politica sanitaria?

Secondo gli esperti, ai Paesi ricchi converrebbe essere altruisti con i Paesi del terzo e quarto mondo. Non soltanto per questioni etiche, ma per esigenze sanitarie. Senza una rete di solidarietà che garantisca i vaccini alle popolazioni più povere, infatti, rischiamo di non riuscire a lasciarci alle spalle la pandemia. «In Occidente - evidenzia Diana - abbiamo vaccinato oltre l’80% delle persone vulnerabili. Nei Paesi meno ricchi, invece, siamo attorno all’1-2%. Il divario è enorme. E quando vedo che in Svizzera abbiamo molte dosi inutilizzate, penso che sarebbe opportuno adottare una visione globale e capire che le dosi che al momento sono in giacenza nei nostri frigoriferi potrebbero essere utili altrove». «Non si tratta di essere altruisti - precisa - ma piuttosto di essere pratici. Le varianti si sviluppano quando il virus si replica. Se in Occidente la copertura vaccinale della popolazione è elevata ma nei Paesi più poveri le infezioni continuano a salire, cresce il rischio che si sviluppino nuove varianti. Varianti che potrebbero presto arrivare anche da noi». Insomma, secondo Diana «la guerra contro il coronavirus non può essere vinta da soli, pensando solo a proteggere la nostra popolazione. Serve invece allargare il raggio d’azione a tutto il mondo».

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