Volumi

Testimonianze dal passato riecheggiano in Verzasca

La comunità montana del ’700 rivive con la pubblicazione «Il Libro de Medari di Lavertezzo», che verrà presentata il 29 maggio a Riazzino – Ricostruita una pagina di storia grazie a un raro registro dei terreni per la raccolta del fieno
Le cenge del versante sud del Piz Eus erano nel 1740 tra i 120 medari della comunità di Lavertezzo. (Foto Flavio Zappa)
Nadia Lischer
27.05.2019 06:00

VERZASCA – A un occhio inesperto potrebbe apparire come un mero documento amministrativo, una lunga lista di appezzamenti per la raccolta del «fieno di bosco», affiancata da un altrettanto lungo elenco di nominativi. A uno sguardo più approfondito però, il registro del 1740 per la locazione dei medari (quei terreni, appunto, dove si falciava il fieno) rinvenuto dal Patriziato di Lavertezzo nei suoi archivi offre una rara testimonianza di quelle che erano la vita e le attività della comunità montana verzaschese di quasi tre secoli orsono. «Contiene una ricchezza inimmaginabile di informazioni interessanti sul territorio e sulle famiglie di Lavertezzo», rileva lo storico Flavio Zappa, titolare dello studio Orizzonti Alpini, che ha trascritto e analizzato il documento. Analisi sfociata in un volume, «Il Libro de Medari di Lavertezzo», che verrà presentato al pubblico mercoledì 29 maggio alle 18 al Centro scolastico di Riazzino. I dati contenuti nella trentina di pagine che compongono l’antico registro sono stati intrecciati con gli studi esistenti sulla raccolta del fieno selvatico, con una serie di approfondimenti sul contesto storico e sociale dell’epoca e con le interviste agli ultimi «mediröö», fissando nella memoria collettiva una pagina importante del passato. «Il registro riporta una descrizione particolareggiata del territorio – illustra Zappa –, un gran numero di toponimi e un centinaio di nomi di persone e famiglie che nel 1740 avevano ottenuto all’incanto la concessione per quindici anni dei quasi 120 medari di proprietà della comunità di Lavertezzo». I cosiddetti «medee» dove si falciava il fieno selvatico venivano affittati al miglior offerente: «I prezzi indicati nel quaderno vanno da 1 a 50 lire, ma non viene specificato se si trattasse di costi annuali o complessivi per tutto il periodo di locazione. A titolo di paragone però, basti pensare che l’abbattimento di un’aquila a quei tempi veniva ricompensato con 3 lire e 4 soldi o che nel 1735 la realizzazione di due acquasantiere in marmo per la chiesa era costata 135 lire oppure che nel 1726 la comunità di Lavertezzo aveva versato 819 lire di imposte al baliaggio». La raccolta del fieno per il foraggio degli animali, va detto, non veniva fatta sui terreni comodi di fondovalle (utilizzati per coltivare ortaggi e cereali) e nemmeno sui pascoli (destinati, in particolare, alle mucche), ma sulle cenge rocciose ad alta quota, nelle zone più impervie ed esposte, che gli animali grossi non riuscivano a raggiungere. «Mi sono recato personalmente su alcuni degli appezzamenti indicati nel ‘Libro de Medari’ e c’è da avere paura», ci confida lo storico e ricercatore ticinese, specificando che buona parte di essi oggi sono ricoperti da bosco. Quella dei «mediröö» era in effetti una delle attività più pericolose: «Dalle ricerche è emerso che gli incidenti erano molti – continua il nostro interlocutore –, la maggior parte cadute fatali». Spesso, infatti, spingendo gli ammassi di fieno giù dai pendii i contadini venivano trascinati dagli stessi a valle. Nel ’700 le vittime erano in prevalenza gli uomini, mentre un secolo più tardi – quello, lo ricordiamo, del grande esodo ticinese – gli incidenti avevano per protagoniste soprattutto le donne.

Il quadro demografico
Analizzato l’antico registro – scritto a più mani in un dialetto italianizzato «per dare enfasi e importanza al documento» (alla lingua utilizzata è dedicato ne «Il Libro de Medari di Lavertezzo» un contributo di Giovanna Ceccarelli, collaboratrice scientifica del Centro di dialettologia e di etnografia) – Flavio Zappa ha quindi ricostruito, grazie a una serie di ricerche negli archivi e avvalendosi della letteratura a disposizione, il contesto storico dell’epoca. «Nella seconda parte del volume – ci illustra – ho cercato di indagare alcuni aspetti della demografia e del quadro sociale: nel 1740 a Lavertezzo abitavano circa 800 anime in nuclei familiari composti in media da 6 persone. La speranza di vita degli uomini e delle donne era rispettivamente di 42 e 44 anni». A questo proposito «quasi il 30% delle donne moriva tra i 20 e i 30 anni, presumibilmente per complicazioni legate alle gravidanze e ai parti; mentre la fascia d’età più a rischio per gli uomini a causa di incidenti e malattie era quella tra i 30 e i 40 anni».

Vicende di uomini e donne
Incrociando le varie informazioni e fonti d’archivio, Zappa è riuscito a ricostruire anche alcune «storie di uomini e donne»: brevi ritratti che arricchiscono la seconda parte de «Il Libro de Medari di Lavertezzo». Tra questi vi sono quelli di persone delle quali ancora oggi abbiamo delle testimonianze materiali: «Alcuni ‘mediröö’ commissionarono degli affreschi o delle cappelle che sono ancora visibili e visitabili», evidenzia l’autore. «Ci hanno lasciato dei segni concreti della loro esistenza – aggiunge – che rappresentano un filo diretto tra loro e noi oggi». A questo proposito, la terza e ultima parte del volume – patrocinato dal Patriziato di Lavertezzo e corredato da una sessantina di fotografie e immagini d’archivio – riporta una decina di interviste a persone ancora in vita che hanno vissuto la montagna verzaschese nel periodo che precede il tracollo dell’economia agropastorale di montagna. Testimonianze che offrono una visione a 360 gradi della vita contadina fino a poco dopo la Seconda guerra mondiale.