Edilizia

Tira aria di disdetta dal contratto cantonale

Gli impresari costruttori ticinesi stanno valutando l’ipotesi di abbandonare il CCL cantonale per affidarsi al Contratto nazionale mantello - Dubbi sulla lotta alla concorrenza sleale sul territorio - Braccio di ferro con i sindacati, UNIA presenta ricorso al Tribunale federale
© CdT/Gabriele Putzu
Valentina Coda
18.09.2020 19:20

Gli impresari costruttori ticinesi stanno valutando la possibilità di abbandonare il Contratto collettivo di lavoro cantonale (CCL) per affidarsi in tutto e per tutto al Contratto nazionale mantello (CNM). Il motivo di questa mossa? A fronte di una delicata situazione, accentuata dalla pandemia che ha costretto ad uno stop forzato di quattro settimane il settore dell’edilizia, «non sussistono più i presupposti per intavolare discussioni con i sindacati». Questo è stato il piatto principale servito durante la 103.esima Assemblea generale della Società svizzera impresari costruttori, sezione Ticino (SSIC-TI), i cui punti essenziali, come la conferma per il quadriennio 2020-2024 dell’attuale Ufficio presidenziale con a capo il presidente cantonale Mauro Galli, sono stati illustrati alla stampa. Ma andiamo con ordine.

Trattativa fallita

L’emergenza sanitaria ha giocoforza costretto la SSIC a interrogarsi sugli avvenimenti degli ultimi sei mesi e sulle prospettive per un futuro segnato dall’incertezza. Dopo aver individuato le misure necessarie per alleviare il danno economico che avrebbe investito le imprese di costruzione, come l’indennità di lavoro ridotto e i crediti garantiti dalla Confederazione, e per accelerare la messa in cantiere subito dopo la ripresa delle attività, la SSIC ha suggerito agli Enti pubblici di far capo all’incarico diretto o alle procedure ad invito, misure di recupero che avrebbero attutito la concorrenza dettata dalla corsa sfrenata delle aziende per tentare di recuperare le cifre d’affari.

Un’operazione, questa, che a detta del presidente cantonale Mauro Galli e del direttore della SSIC Nicola Bagnovini è costellata da ostacoli, come «le restrizioni a livello di calendario di lavoro alle quali siamo confrontati con il Contratto cantonale di lavoro». Da qui la volontà di intavolare trattative con i sindacati subito dopo la chiusura forzata dei cantieri per tentare di portare a casa deroghe speciali per fronteggiare la situazione straordinaria. Da una parte troviamo la SSIC, che chiede la possibilità di rielaborare il calendario di lavoro aziendale aggiungendo al massimo 40 ore nel secondo semestre di quest’anno, svincolando i ponti e chiedendo agli operai di lavorare uno o due sabati senza il supplemento salariale del 25%. Dall’altra i sindacati OCST e UNIA, che con fermezza rivendicano il compenso straordinario per gli operai che lavorano durano il weekend. L’avvallo del Collegio arbitrale dell’edilizia e il genio civile , interpellato dalla SSIC, è andato di traverso a UNIA. Il risultato? Guerra aperta: i sindacati rispondono picche su tutta la linea alle richieste della SSIC e UNIA presenta ricorso al Tribunale federale.

Grattacapi non di poco conto

Il Contratto di lavoro cantonale per l’edilizia conta oltre 60 anni di attività. È entrato infatti in vigore per la prima volta il 1. aprile del 1956 e la versione attuale avrà scadenza il 31 dicembre 2022. L’abbandono definitivo del CCL, mettendosi unicamente nelle mani del Contratto nazionale mantello, comporta sì vantaggi, ma anche numerosi grattacapi. Primo fra tutti – e forse il più importante – è il controllo sul territorio per la lotta alla concorrenza sleale.

Ricordiamo che nel 2019 l’Associazione interprofessionale di controllo (AIC) aveva effettuato oltre 220 controlli nell’88% delle ditte notificate, che hanno permesso di scoprire 648 infrazioni delle misure di accompagnamento alla libera circolazione e portato all’emissione di 280 multe da parte dell’ispettorato del lavoro.

Una decisione di non ritorno

Secondo Galli e Bagnovini, «l’attuale CCL presenta più svantaggi che vantaggi per le imprese». Il passaggio alla soluzione nazionale, quindi a un unico regime contrattuale e di gestione dei controlli, «comporterebbe maggiore flessibilità e avrebbe permesso di mettere in campo le deroghe speciali richieste dalla SSIC». Ma per la lotta alla concorrenza sleale, questo fatto sarebbe sopportabile? La domanda è stata girata agli associati attraverso un sondaggio - ritenuto rappresentativo in quanto vi hanno partecipato sia imprese grandi che medio piccole - svolto prima dell’Assemblea generale, entrando concretamente nel merito dell’eventualità di abbandonare il partenariato sociale a livello ticinese e illustrando i pro e i contro di questa decisione.

La risposta è stata più che positiva: «Oltre i due terzi degli associati che ha partecipato al sondaggio si è detto disposto a valutare seriamente l’abbandono del contratto cantonale», rilevano Galli e Bagnovini. Il verdetto è previsto per il 2021. Ma è una decisione di non ritorno.

La replica dei sindacati

«La SSIC ha il dente avvelenato per il mancato accordo delle misure post-Covid», replica il sindacalista OCST Paolo Locatelli a seguito della notizia del possibile abbandono del CCL da parte degli impresari costruttori ticinesi. «Le loro richieste erano troppo esagerate e non ci hanno permesso di trovare un punto d’incontro», conclude. Dal canto suo, il sindacalista UNIA Dario Cadenazzi rileva che « si tratta di un clamoroso autogoal, di una minaccia non troppo velata e un gesto con conseguenze politiche». E aggiunge: «Il Contratto collettivo di lavoro cantonale contiene delle peculiarità proprio per rispondere alle esigenze ticinesi».