Mendrisio

Tira un calcio in testa a un bimbo, non è tentato omicidio

Condannato per tentate lesioni gravi un paziente dell’OSC che nel parco di Casvegno ha prima buttato a terra la vittima di 10 anni e poi gli ha sferrato un colpo (anche) alla tempia – Per la Corte sapeva della pericolosità del gesto, ma non aveva intenzione di ucciderlo
È successo lo scorso 7 marzo: era una domenica. © CdT/Chiara Zocchetti
Valentina Coda
08.09.2025 17:10

Quello di cui vi parliamo è un caso che se avesse preso una piega diversa avrebbe potuto costituire l’inizio di un incubo per ogni genitore. Il contesto è quello di una famiglia che sta trascorrendo una normale domenica, quella dello scorso 7 marzo, al parco insieme ai figli. Ci troviamo nel quartiere di Casvegno all’interno dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC). La vittima, che al momento dei fatti aveva 10 anni, sta giocando a rincorrersi su un monopattino insieme al fratello più piccolo. I genitori, da lontano, controllano la situazione, che precipita appena il bimbo incrocia l’imputato, un 29.enne cittadino olandese nonché paziente dell’OSC. Lo ferma, lo afferra per i polsi, lo fa cadere a terra e gli tira un calcio prima alla gamba e poi alla tempia (per informazione, il bambino sta bene). Poco distante si trova un infermiere della clinica, che vedendo la scena interviene e fa scappare l’imputato, finito in manette poco dopo.

Lo stesso che è comparso davanti alla Corte delle assise correzionali ed è stato condannato a 7 mesi sospesi per 3 anni per tentate lesioni gravi ed espulso dalla Svizzera per 5 anni. Il procuratore pubblico Alvaro Camponovo aveva di contro ipotizzato, come capo d’imputazione principale, il tentato omicidio intenzionale per dolo eventuale o, in subordine, le tentate lesioni gravi, con una richiesta di pena di 18 mesi sospesi e l’espulsione dalla Svizzera. Il motivo che ha portato il giudice Paolo Bordoli ad escludere l’ipotesi più grave è da ricondurre alle considerazioni del medico legale. O meglio, all’intensità del calcio sferrato, alla grave scemata imputabilità dell’uomo al momento dei fatti (soffre di problemi psichici e si era fumato uno spinello) e alla consistenza delle ciabatte indossate per colpire il giovane.

Di intensità del colpo e ciabatte indossate

Dopo una fase dibattimentale un po’ macchinosa dovuta a qualche problema con l’interprete di lingua inglese, nel motivare la sentenza il presidente della Corte si è reso conto che non è un esercizio semplice – per chi non è del mestiere – comprendere come mai si è deciso di non sposare l’ipotesi più grave, trattandosi di un calcio in testa. «In questo caso l’intensità del calcio e le ciabatte indossate (nel referto il perito scrive che «parte dell’energia del colpo è stata ammortizzata dalla consistenza morbida e dalla superficie arrotondata delle ciabatte», ndr) – ha spiegato Bordoli – sono elementi oggettivi da cui si può concludere l’assenza della potenza letale del gesto». Di più, «un conto è accettare il rischio che per un gesto ci sia un esito letale, un altro invece è accettare che ci sia una lesione grave o anche una messa in pericolo, ma senza assumersi la responsabilità dell’esito letale». Tradotto: colpendo il giovane, che era inerme e rannicchiato per terra, l’imputato sapeva della pericolosità del gesto, ma non aveva intenzione di ucciderlo. Anche la patrocinatrice dell’imputato, l’avvocato Demetra Giovanettina, ha sottolineato che «la dinamica fornita dalla vittima – che è quella più attendibile – non ci conduce nella direzione del caso peggiore, ovvero che l’imputato si è assunto la responsabilità di uccidere la vittima con quel calcio. Siamo quindi molto lontani dall’intensità richiesta dal tentato omicidio». Per questi motivi aveva chiesto una pena interamente sospesa. Giovanettina ha anche spiegato che il suo assistito è «senza fissa dimora (quindi senza documenti)» e con una «vita segnata da problemi psichici. Poco prima dei fatti si trovava in Olanda e i medici stavano portando avanti le pratiche per un ricovero coatto, ma è scappato ed è arrivato prima in Svizzera francese e poi in Ticino».

«Perché era libero?»

Su quest’ultimo punto, ovvero i diversi spostamenti dell’uomo all’interno del territorio elvetico, si è soffermato Andrea Cantaluppi, l’avvocato della famiglia della vittima che si è costituita accusatrice privata. «Com’è possibile che una persona con un rischio di recidiva medio-alto, precedenti per furti e aggressioni e problemi psichiatrici, si sia mosso liberamente nel nostro territorio? È inammissibile che una famiglia si rechi al parco e un bambino venga aggredito in questo modo. Lo Stato ha fallito nel suo dovere di difendere i cittadini». L’imputato, infatti, dopo essere scappato dall’Olanda è arrivato a Neuchâtel, in seguito viene respinto al confine con la Germania, viene ritrovato a Bellinzona e mandato all’OSC a Mendrisio. Scappa nuovamente, si reca a Basilea e viene nuovamente respinto al confine con la Germania. Infine, torna a Mendrisio.

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