«Torniamo a vivere, siamo emozionati»

La musica a tutto volume. Le luci. Il ritmo che sembra impossessarsi di corpo e mente. La voglia di divertirsi. La spensieratezza. E stavolta, finalmente, la febbre è quella giusta. Parafrasando un film di John Badham, è quella del sabato sera. Sì, le discoteche possono riaprire. Era ora. Gestori e lavoratori del settore, commossi, ringraziano il Consiglio federale. Gli avventori, invece, sorridono: dopo un’eternità, torneranno a ballare. In sicurezza, va da sé. «Siamo molto emozionati» esordisce Sandro «Katta» Cattaneo, direttore artistico e responsabile marketing del Seven Group. «Emozionati e presi, visto che c’è un sacco di roba da riorganizzare» aggiunge il nostro interlocutore.
Mesi e mesi senza certezze. Quindi la decisione di Berna. Sensazioni?
«In effetti, per un anno e mezzo siamo rimasti a bocca asciutta o quasi. Certo, va detto e ribadito che quanto è successo a livello mondiale era ed è più grande di noi. Era giusto, insomma, prendere determinate decisioni. Detto ciò, a caldo siamo davvero molto emozionati. Anche perché riapriremo fra pochissimo, sabato. Lo faremo tanto a Lugano quanto ad Ascona, al Seventy7. Siamo subito partiti in quinta. E siamo, va da sé, contenti. Soprattutto per il discorso restrizioni: di fatto, sono sparite. In particolare se pensiamo alla riapertura timida dell’estate scorsa, che prevedeva un massimo di cento persone. A questo giro, invece, l’affluenza non avrà limiti se non quelli dettati dalla grandezza del locale. Sono curioso, siamo curiosi».
Che risposta vi aspettate?
«Il punto sarà proprio questo: capire come reagirà la gente in virtù del certificato COVID. Lo dico perché presumo che i giovanissimi, diciamo la fascia fra i 18 e i 30 anni, non avranno ancora la doppia dose di vaccino. Non tutti, almeno. E allora, sarà interessante osservare se ragazze e ragazzi avranno la pazienza di sottoporsi a un test venerdì pomeriggio per, appunto, godersi il weekend. Magari si creerà proprio un’abitudine in questo senso: tutti in farmacia per poter uscire la sera».
In questo senso, è già stato detto che il certificato COVID ha risvolti discriminatori: ai tempi, spesso si decideva all’ultimo momento di andare in discoteca. Una decisione che, sabato, solo vaccinati e guariti potrebbero prendere mentre gli altri dovrebbero prima trovare una farmacia che offre tamponi al volo a tarda sera.
«In effetti, per uscire bisognerà giocare d’anticipo. Semmai, il dubbio sarà su quale discoteca scegliere. Non se uscire o meno. Non credo nemmeno, se è per questo, che potremo metterci d’accordo con qualche farmacia e organizzare dei test all’esterno del locale. Di base, sarà necessario il certificato COVID. La cosa interessante, ribadisco, sarà vedere la reazione della gente: sabato avremo mille persone desiderose di entrare o, proprio per questi ostacoli, ne avremo poche? Io sono ottimista e dico che, dopo tanti sacrifici, prevarrà la voglia di divertimento. La voglia di tornare a vivere come prima. Pazienza se, in attesa della vaccinazione completa, servirà un tampone in più».


Nel frattempo non siete rimasti con le mani in mano. Sfruttando la possibilità di organizzare eventi all’aperto, avete stretto una partnership con il Lido. Come sta andando su quel fronte?
«Bene, molto bene. Parliamo della serata del giovedì. E anche all’aperto, per fortuna, cadranno diverse limitazioni. Dal numero di persone al tavolo al discorso tutti seduti. Finora era una festa non festa, diciamo, ma era meglio di niente».
Quanto è stato difficile, per una discoteca delle dimensioni del Seven a Lugano, rimanere chiusa così a lungo?
«La lunga chiusura ha avuto ovviamente un impatto. A livello aziendale è stato un duro colpo. E un colpo basso. Tanti locali notturni, in Ticino, Svizzera e nel mondo, hanno dovuto chiudere i battenti perché non sono riusciti, anzi non potevano sopportare così a lungo le misure restrittive e le chiusure. Noi, grazie al lavoro ridotto che ha sgravato il personale dai costi e, ancora, grazie al fatto di essere parte di un gruppo con diversi bar, locali e ristoranti all’attivo, siamo riusciti a rimanere a galla. La mia solidarietà va a chi, magari, è proprietario di un solo locale e ha sofferto più di noi. Non è stata una passeggiata per il Seven, certo, ma avevamo un livello di sopportazione diverso, mettiamola così. Speriamo, a questo punto, che questa riapertura sia definitiva. Che non capiti più di dover tornare indietro. Me lo auguro. Per noi e per tutti gli altri».
È stato difficile vedere altri settori riaprire e, appunto, essere costretti a mordere il freno?
«Le nostre discoteche fanno parte di un gruppo piuttosto ampio. Io, occupandomi di marketing, ho avuto parecchio lavoro negli ultimi due-tre mesi. Gradualmente sono tornati alla vita bar e ristoranti. E proprio per questo mi immagino chi, al contrario, ha un solo locale. Una sola discoteca. D’altronde, se il nostro settore riaprirà così tardi è perché è proprio nei club che i contatti sono più stretti. Inutile negare l’evidenza: di fronte a un virus simile, le decisioni prese dalle autorità erano comprensibili».


Lei è anche un DJ. Quindi tornerà in pista. Che effetto fa?
«Nella vita, diciamo per fortuna, faccio anche altro. La testa, ecco, era occupata. Tanti miei colleghi hanno organizzato eventi online. Ma ai miei occhi fare il DJ via web non funziona. Zero, proprio. Il DJ mette musica, fa divertire le persone, crea contatti e sinergie. Se provi a trasferire tutto ciò in una dimensione virtuale, beh, crolla tutto. È un dare e avere. Non ho mai organizzato nulla online, dicevo, ma ho sostenuto chi ha deciso di farlo. Tuttavia, la gente non può vivere la musica in quella maniera. Puoi ascoltare, certo, ma manca tutta quella componente di socializzazione. Manca il discorso dello stare assieme. Di sicuro, sulle prime sarò un po’ arrugginito. C’è un pizzico di timore: e se facessi qualche brutta figura?».
Domanda sciocca: che musica ascolteremo?
«Il mercato musicale legato ai club si è un po’ fermato a causa delle chiusure. L’evoluzione delle produzioni, senza voler entrare in discorsi troppo tecnici, va di pari passo con l’impatto sul pubblico. Esce qualcosa di forte, viene suonato in discoteca e piace, passa alle radio. Da un anno e mezzo non c’è controllo su cosa esce o, meglio, su cosa può piacere alle persone. È una rinascita, in tutto e per tutto. La storia ci ha insegnato che, quando si butta a terra qualcosa, c’è sempre la possibilità di ricostruire. E di tirar fuori roba ancora più bella».
Da sabato torneranno anche i soliti clienti «molesti». Quelli che «mi metti Maracaibo?». È pronto?
«Capitava spesso. C’erano quelli che, all’improvviso, mi chiedevano il reggaeoton. Ci ho riflettuto più volte durante gli ultimi mesi. Mi sono detto: e pensare che, per noi DJ, questi ai tempi erano problemi. Io, in ogni caso, di fronte a certe richieste rispondo sempre allo stesso modo: dopo (ride, ndr)».