Tra allenamenti e zone rosse: il dilemma del calciatore frontaliere

Se si trattasse di una partita di calcio non ci sarebbero dubbi: si invocherebbe l’intervento del VAR. Proprio sul rettangolo di gioco (e nei parcheggi dei centri sportivi, soprattutto del Sottoceneri) si è infatti alzato un polverone che a oggi non ha ancora una soluzione chiara. Gli italiani, vista la pandemia in corso, possono allenarsi nelle squadre ticinesi? Una domanda alla quale, allo stato attuale, è difficile dare una risposta chiara. Tutto nasce dalla segnalazione di una mamma del Mendrisiotto che lunedì sera ha accompagnato il proprio figlio (per la categoria Allievi lo sport è praticabile senza particolari limitazioni) in un centro sportivo. La signora ha constatato, negli stalli, una folta presenza di auto con targa italiana. In sostanza, quindi, molti giocatori presenti al campo provenivano dalla Lombardia. Regione inserita nella zona rossa dalle autorità italiane (quindi con l’obbligo, per i residenti, di spostamenti limitati) ma che, per le autorità svizzere, non figura nell’elenco di quelle a rischio. Dal primo marzo, grazie ai primi allentamenti della Confederazione, le società degli sport di squadra hanno potuto riprendere – gli adulti parzialmente – gli allenamenti. Per i sodalizi con tesserati italiani si è dunque posto l’interrogativo: questi ultimi possono partecipare alle sedute o no? In tal senso, le soluzioni adottate sono state molteplici, complici anche le singole interpretazioni. Alcuni club non hanno posto particolari restrizioni ai propri giocatori provenienti dall’Italia. Altri, invece, hanno permesso ai frontalieri - ovvero coloro che erano già sul territorio elvetico per lavorare - di partecipare agli allenamenti, . C’è chi, infine, si è limitato alla sola presenza di svizzeri e chi ha deciso di posticipare la ripresa in attesa di ulteriori delucidazioni.
Il sì (o no) della Prefettura
C’è chi, infine, si è rivolto alla Prefettura di Como per avere ulteriori ragguagli. Torna, ancora una volta, la domanda: un italiano residente in Italia può andare in Svizzera ad allenarsi? Il 12 marzo, la Prefettura lariana ha spiegato che gli allenamenti e le gare sportive «sono consentiti se comprovati da una dichiarazione rilasciata dalla società sportiva, senza dover effettuare quarantene o tamponi per ogni spostamento». Con una precisazione: «In base alla normativa vigente in Italia e in particolare alla suddivisione delle zone in colori diversi, l’attività può essere svolta se prevista in Svizzera». A voler ben guardare, dunque, nessun impedimento. Non fosse che, sempre dalla Prefettura di Como, lunedì è giunta un’ulteriore notazione: «Si tiene a precisare che non è possibile svolgere gli allenamenti in Svizzera se il campionato di calcio è sospeso». Affermazione, quest’ultima, che ha prestato il fianco a ulteriori incertezze. Il campionato è di fatto sospeso, ma vi sono tutte le intenzioni di farlo ricominciare e molte società si sono riattivate proprio per questo motivo.
«Rispettate le normative»
Se dal lato italiano si è espressa la Prefettura di Como, al di qua della frontiera abbiamo chiesto un parere al presidente della Federazione ticinese di calcio (FTC) Fulvio Biancardi. «È una questione più politica e di sicurezza pubblica, che sportiva» commenta innanzitutto. Biancardi ha comunque una chiave di lettura: «Il problema è lombardo». Le persone residenti in Italia «si possono spostare, e di conseguenza venire in Svizzera, unicamente per comprovate ragioni di necessità o lavoro. Quindi – evidenzia – nulla a che vedere con l’entrare su suolo elvetico a fare sport».
In aggiunta, riferendosi allo scritto della Prefettura, si domanda «di quale autorità disponga. Dal mio punto di vista giuridico non ne ha». Di più: «Dico solo che non è corretto quello che stanno facendo». Per Biancardi, che parla a titolo personale, «i frontalieri non potrebbero venire ad allenarsi per rispettare le normative emanate nella vicina Penisola. Perché l’allenamento non è una comprovata necessità e non è nemmeno un motivo di lavoro». Il responsabile tecnico della FTC, Livio Bordoli, solleva, dal canto suo, un altro aspetto: «Se dovessero riprendere i campionati sappiamo che alcune squadre a ridosso del confine si troverebbero in difficoltà». Questo a causa dell’alto numero di giocatori italiani presenti nelle rose di alcune società. Da qui parte dunque una riflessione più «local», invocando un certo equilibrio: «In futuro – spiega, precisando di non essere contro l’avere in rosa calciatori stranieri – bisognerà pensare a non prendere giocatori solo d’oltreconfine. Una buona parte dovrebbe essere ticinese. Se tre quarti o la totalità della rosa è composta da giocatori italiani, mi chiedo che senso abbia avere una squadra in Svizzera».
Responsabilità individuale
Da un lato del campo, quindi, società e Federazione ticinese di calcio. Dall’altro i calciatori frontalieri e le regole imposte dallo Stato in cui risiedono.
Nel mezzo, e non soltanto metaforicamente, la dogana. Abbiamo quindi chiesto delucidazioni al Corpo delle Guardie di Confine il quale specifica: «le persone che entrano in Svizzera da Stati o regioni senza rischio elevato di contagio devono registrare i propri dati di contatto elettronicamente o su carta solo se l’entrata avviene in treno, autobus, nave o aereo».
Senza dimenticare che «l’ordinanza sulle misure di lotta contro il coronavirus nel traffico internazionale di passeggeri si basa sulla responsabilità individuale dei viaggiatori».