Tra fischietto e pistola: una vita in due uniformi

Una vita e due divise, verrebbe da dire. Entrambe, però, con uno scopo ben definito. Con la prima, in estrema sintesi, si potrebbe dire che uno degli obiettivi principali sia quello di far rispettare la legge. Indossata la seconda, invece, bisogna far sì che ci si attenga alle regole... del gioco. È la storia – e l’attuale vita – di Flavio Ambrosetti che si divide, appunto, tra l’uniforme di agente di polizia e quella di arbitro (linesman) di hockey. Flavio, 32.enne, è agente da 6 anni. Ora al lavoro alla Polizia Malcantone Est. Ma una volta riposta la pistola prende in mano il fischietto e gira le piste di ghiaccio della National league, la serie A o NLA (senza dimenticare due presenze nella Champion’s Hockey League e la partecipazione ai giochi olimpici universitari nel 2015 in Spagna). Insomma, l’hockey «vero».
Dall’inline al ghiaccio
La carriera sportiva quale direttore di gioco, se vogliamo, è nata un po’ per caso. Ex giocatore – portiere – ha fatto tutta la trafila nell’HC Lugano. Carriera interrottasi a causa «di un incidente della circolazione». Ecco, allora, le prime partite arbitrate nei campi dell’inline skater, poi «nel 2006 l’inizio come arbitro amatore in quarta lega». Di promozione in promozione arriva il 14 gennaio 2011: «la mia prima partita arbitrata in serie B, era Basilea-Sierre». Due anni più tardi, a ottobre 2013, il salto nell’élite e la prima chiamata per Bienne–Kloten.
La gavetta e i due derby
Pochi giorni più tardi, il 29 ottobre, «arriva il mio primo derby alla Valascia, vinto dall’Ambrì ma che viene ricordato soprattutto per i quattro goal annullati». Già, i derby. Ce ne sarà un altro nella carriera di Flavio (nel dicembre di due anni fa sempre alla Valascia), ancora vinto dai padroni di casa. Il tempo di una riflessione, nata direttamente dal ghiaccio: «Dal mio vissuto in quei derby posso dire che a livello di tifo i biancoblu hanno qualcosa in più a livello svizzero». Nel 2015 – dopo aver fatto carriera militare e aver lavorato in una ditta di articoli pubblicitari a Melide – arriva la «chiamata» della polizia. O meglio: la volontà di intraprendere la scuola per diventare agente. Pattini e fischietto appesi al proverbiale chiodo. Una volta completata la scuola, ecco il «comeback»:
«Un paio di stagioni di «gavetta» in serie b e poi nuovamente nella massima divisione svizzera». Oltre ad Ambrosetti, il «team» ticinese di arbitri è composto da un altro linesman di National League e da tre arbitri in Swiss League, la divisione cadetta.
Non chiamatelo «lavoro»
Per poter condurre questa «doppia vita» in divisa, non mancano i sacrifici. «Generalmente, lavoro permettendo, faccio due partite a settimana». E come si conciliano lavoro e arbitraggio? «Grazie anche all’aiuto del mio superiore – e in passato gli altri datori di lavoro –, il giorno che devo arbitrare una partita, normalmente il mio servizio in polizia comincia alle 6 o alle 7 del mattino. Attorno alle 14 stacco, prendo l’auto e parto alla volta delle piste di ghiaccio svizzere. Dopo il match rientro a casa». Ben si comprende quale sia l’impegno. E, il «refree» non lo nasconde, lo si fa piuttosto per passione: «Percepiamo un rimborso più le spese per la trasferta. Onestamente, però, lo si fa per passione». Anche perché, ci fa notare, «percorri dai 15 ai 20mila chilometri a stagione».
Due divise
Da un lato, come detto, c’è la divisa blu delle forze dell’ordine, dall’altro quella a strisce bianche e nere dell’arbitro. Ci sono analogie tra le due uniformi? D’altronde, verrebbe da dire, come poliziotto si ha un ruolo autoritario e bisogna far rispettare la legge. Come arbitro c’è comunque una forma di autorità e si devono fare rispettare le regole (del gioco). «Sicuramente, si assomigliano. Ma sono totalmente diverse – ci confida –. A livello di polizia è a tutti gli effetti un lavoro, rappresenti le istituzioni. Quando affronti un intervento o si verifica un potenziale problema, generalmente hai il collega, i superiori, diverse opzioni e tempo per reagire. Nell’hockey stai arbitrando, ti capita di avere meno di un secondo per decidere, tanto per fare un esempio, sia fuorigioco o meno».
Altro esempio: «come arbitro nell’hockey sei molto rispettato. Nel lavoro hai sì a che fare con persone che ti rispettano, come pure con persone di tutt’altra tipologia. In quel caso, va da sé, è fondamentale essere sempre professionali».
Importanti, evidentemente, i rapporti – in un campo o nell’altro – con la controparte. «Finita la partita tanti giocatori vengono a darti la mano, di fanno i complimenti o ti chiedono delucidazioni su eventuali decisioni. C’è uno scambio positivo. In polizia se devi fare una contravvenzione, la persona multata raramente verrà a dirti hai fatto un buon lavoro».
Il pericolo è dietro l’angolo
Come arbitro, le potenziali situazioni di pericolo, oggettivamente, sono poche. Puoi venire «travolto» da un giocatore o essere colpito da un disco. Da poliziotto, per la natura stessa della professione, episodi delicati possono succedere. «Come quella volta – ci racconta –, quando c’è stato un intervento nei confronti alcuni ladri d’auto che giorni prima avevano rubato un veicolo». Una volta intercettati dai colleghi si è presto capito che «erano in fuga verso il nostro posto di blocco». Ben presto si sono visti i fari dell’auto: «Hanno forzato il nostro blocco a circa 100 chilometri orari». In quel momento – ammette – «la percezione della paura c’è stato». La corsa dei malviventi, ad ogni modo, non è durata molto: «Hanno terminato la loro corsa su una rotonda». Attimi davvero concitati terminati, evidentemente, con l’arresto.
Un’altra sensazione che il nostro interlocutore ricorda nitidamente è quando diedero la caccia a dei ladri che si erano specializzati in furti nelle abitazioni dell’Alto Malcantone. «Eravamo nei boschi a cercarli, ma soprattutto – rammenta – non sapevamo se fossero o meno armati».