Tutti i giorni con la valigia in mano, per staccare la spina c’è la Valcolla

Il ritrovo con il presidente dell’UDC e consigliere agli Stati Marco Chiesa è a Pregassona, nella sede della fiduciaria dal nome che evoca un po’ «Prima i nostri», ovvero la «Ticiconsult», fondata tre anni orsono con l’amico e collega Piero Marchesi. Ma è una toccata e fuga, prima di salire in auto mi mostra l’agenda, fitta-fitta di appuntamenti incastonati l’un l’altro, perché le elezioni federali per il numero uno del primo partito nazionale, non sono una passeggiata. Ci mettiamo in macchina e via in direzione Sonvico e Cimadera, per poi camminare fino alla capanna del Pairolo. A Sonvico prendiamo un caffè ospiti dello zio Paride, ex sessantottino rinconvertito per sua confessione, che commenta: «Eccolo il nostro Marco, 20 anni fa è partito da qui ed ora…». Lui sorride e aggiunge: «Qui ci sono le mie radici, quelle delle famiglie Chiesa e Bassi, fin su alla Valcolla mi sento a casa. I ricordi sono molti e sono quelli che mi legano fortemente a questo territorio». Lasciamo l’auto, fa caldo, ci incamminiamo e il tratto di bosco dà sollievo. Il primo tema di discussione è la politica di milizia, argomento che Chiesa ha a cuore, seppur cosciente che l’impegno politico sia in continuo aumento: «Sostengo con convinzione il sistema di milizia, non abbiamo bisogno di élites politiche distaccate dalla quotidianità dei cittadini». Ma il discorso sulla famiglia non è terminato, «perché i ricordi si accavallano in un turbinio di emozioni di infanzia vissuta in maniera profonda: è quello che si chiama focolare. Gli impegni politici mi tengono per tantissimi giorni e notti lontano dal Ticino, ma il mio Cantone e queste zone sono ciò che chiamo casa».
L’impegno che toglie e che dà
Osservo i Denti della Vecchia dal basso, imponenti nella nostra realtà montana e Chiesa guarda con rispetto quelle punte rocciose: «Su quelle montagne è deceduto in un incidente mio nonno. Mia mamma aveva solo 3 anni ed era l’ultima di 5 tra fratelli e sorelle. Non deve essere stato facile andare avanti». Camminiamo tranquillamente e discutiamo senza un copione predefinito, spesso sono io che, preso da qualche curiosità, lo incalzo. Per modo di dire, perché Chiesa è ormai un volpone della politica, abituato alla pressione dei media svizzeri, ospite di Arena e a confronto con altri presidenti. Diciamo che si è fatto le ossa nel dare risposte ai media. Quindi cambio strategia e lo lascio raccontare, dando qualche spunto, nell’intento di cogliere un po’ di più il suo io: «Sono stati quattro anni molto impegnativi ma la motivazione non è mai venuta meno». Chiesa morde il freno e siamo in tema di elezioni perché per lui la pressione è ben più che quella di un candidato. Su di lui pesano le sorti del primo partito svizzero. Se vincerà sarà merito di tutti, se perderà solo colpa sua: «Lo so bene, è il destino dei presidenti, queste sono le regole del gioco. Mi assumo la responsabilità delle mie scelte, lo stesso vale per il Consiglio degli Stati. Affronto queste sfide politiche, come nella vita privata, con convinzione. D’altronde chi chiede la fiducia deve avere in primo luogo fiducia in sé stesso». Gli facciamo notare che con lui e Marina Carobbio, al Consiglio degli Stati il voto del Ticino si è spesso annullato dato che in diversi casi non hanno votato all’unisono: «Vi è chi ha nostalgia dei vecchi tempi quando il Ticino a Berna votava compatto contro il volere dei ticinesi. Mi riferisco, ad esempio, all’iniziativa contro un’immigrazione di massa, alla libera circolazione delle persone e all’applicazione dell’espulsione dei criminali stranieri. Su queste tematiche fondamentali il Ticino agli Stati era certo compatto ma, purtroppo, distante dai ticinesi». Il confronto tra il sottoscritto e il politico è vivace, nel rispetto dei ruoli e delle parti ed è giusto che alle mie sferzate lui risponda e viceversa: «Vede, l’USAM, ha analizzato centinaia di votazioni. Sono molto soddisfatto di essere risultato il parlamentare in Svizzera più vicino alle esigenze delle piccole e medie imprese. I piccoli e medi imprenditori sono la colonna vertebrale del sistema economico svizzero: creano posti di lavoro, formano le nuove generazioni, pagano gli stipendi a fine mese e permettono a moltissimi cittadini di andare avanti». Come vive la presidenza e quali sono le prossime sfide? «Gli anni di presidenza mi hanno dato e tolto molto. È un onore che il primo partito svizzero abbia scelto un ticinese. Se fossi rieletto mi aspetterebbero due anni intensi quale presidente della Commissione della politica estera. Forse, lo dico con un sorriso, in quel caso potrei controbilanciare la politica del consigliere federale Cassis che subito dopo le elezioni avvierà i nuovi negoziati con l’UE. Non voglio che la nostra democrazia diretta venga indebolita come neppure che la Svizzera riprenda automaticamente il diritto europeo o si sottometta a dei giudici stranieri».
«I figli non ci appartengono»
Lontano dal Ticino significa lontano dagli affetti. È complicato? «Sono molto legato alla mia famiglia e a costo di ritagliarmi qualche ora con loro, faccio parecchie ore di viaggio. Sono grato a Monja, siamo legati da decenni. Quando ci siamo conosciuti lei aveva 15 anni e io poco più. Lei manda avanti le cose pur lavorando, e ha accettato che assumessi la presidenza dell’UDC nel 2020. Con i miei Mathias (classe 2008) e Micol (classe 2010) il contatto è costante malgrado la distanza. Poi i figli crescono in fretta e, talvolta, mi trovo confrontato a dei cambiamenti che mi un po’ mi sorprendono. Ma è giusto così, voglio che i miei figli facciano le loro esperienze con la consapevolezza che io ci sono per loro. I figli non ci appartengono, possiamo solo accompagnarli». Chiesa sta affrontando il secondo mandato biennale come presidente dell’UDC, ce ne sarà un terzo? «E come posso risponderle? Troppi fattori determineranno quanto mi chiede. Di certo con il passare degli anni la voglia di agganciarsi ai propri affetti e al proprio territorio cresce. Ma ne riparliamo più avanti».
«Non fare ciò che fa tuo padre»
Guardare avanti per noi significa una sola cosa. Raggiungere la capanna del Pairolo. Non manca poi così tanto e il pensiero va a papà e mamma: «Si sono separati quando ero bambino. Durante la mia infanzia ho avuto molti più contatti con la parte materna della mia famiglia, crescendo, fortunatamente, ho riallacciato tutti i rapporti familiari. I primi anni con mia madre Graziella li ho trascorsi a Molino Nuovo, poi a Villa Luganese. Lei lavorava presso la Banca Raiffeisen di Sonvico ed era segretaria comunale di Cimadera, io ero sovente con mia nonna». Chiesa parla a ruota libera anche degli studi: «Dopo le medie ho frequentato il Liceo, poi la facoltà di Scienze economiche e sociali a Friborgo, dove ho conseguito la licenza in economia d’impresa. Ho lavorato a Losanna e Zurigo, ed in seguito all’UBS. Era l’era in cui imperversava Giulio Tremonti, colui che paragonava la Svizzera alla “caverna di Ali Babà”. Al settore finanziario devo molto ma ero interessato anche alla società e alla socialità. Ho ottenuto un Master in economia sanitaria mentre lavoravo al San Giovanni di Bellinzona e uno in risorse umane, infine ho diretto l’Opera Mater Christi di Grono, che da vecchio ricovero è diventato un moderno centro intergenerazionale. Quell’esperienza, a cui devo molto, è terminata dopo una quindicina d’anni, ma ricordo che nella prima fase del Covid ero ancora direttore, un periodo che non dimenticherò mai». E di papà che ci dice? «Dire papà significa parlare di calcio. Papà Antonio ha vinto la Coppa svizzera con il Lugano e molti tendevano a fare paragoni. È tutto molto semplice, lui aveva talento, io no. Ho pure rinunciato alla patente di caccia. È una regola di vita: non fare ciò che fa tuo padre, perché lui comunque lo farebbe sempre meglio di te». Siamo al Pairolo, il sole è cocente e il tempo tiranno. Ma una birra prima della discesa ci sta eccome.


Tra solitudine e sangue freddo
Si riparte perché poco sotto ci attende la zia Rosa Maria sul monte poco sopra Cimadera. Chiesa è sicuramente un politico che ha dovuto imparare a gestire la pressione «perché ogni mattina ti svegli e dalla rassegna stampa che ricevi non sai mai cosa attenderti. Essenziale è mantenere il sangue freddo. Cosa che ogni tanto non è per nulla facile». Talvolta il ruolo del presidente viene mitizzato: grandi apparati, tanti collaboratori e strateghi. Ma possiamo dire che un presidente può anche essere un uomo tremendamente solo? «Si la solitudine fa parte della mia vita, è una situazione con la quale ti devi confrontare ogni giorno, perché se da una parte puoi contare su molta gente, quando ti esponi pubblicamente sei tu e solo tu. Non ci sono suggeritori e ogni risposta mette in gioco te stesso e il partito, dunque comporta una grande responsabilità».
La zia e l’oasi di serenità
Siamo dalla zia che ci accoglie un po’ ai vecchi tempi: genuina, affabile, e senza falsi cerimoniali. Chiesa con lei si esprime in dialetto, e si fuma una sigaretta (elettronica): «È la prima da quando siamo partiti. Ho ripreso dopo sei anni, accidenti». Entriamo nel monte, una vera oasi di serenità, spartana ma dotata di tutte le comodità, per vedere quanto c’è sopra il camino: raffigurato c’è lo stemma della famiglia Chiesa: «Siamo una normale famiglia ticinese, fiera delle nostre origini». Arriva un buon salamino, poi il risotto ai funghi gustoso e una crostata di frutta, la metà rimasta è per i figli di Chiesa «che certamente apprezzeranno stasera».
Quel prestito per gli studi
È tempo di riprendere l’auto e tornare nell’afa. Ma c’è ancora una curiosità. La politica rende ricchi? Chiesa mi osserva e sorride. «Lo chiede a uno che ha rinunciato a diverse opportunità per restare libero. Con mia moglie abbiamo lavorato sodo. Conduciamo una vita normale, senza eccessi. La politica non mi ha reso ricco materialmente, e d’altronde non era neppure nelle mie ambizioni, mi ha però arricchito dentro come persona. Non sono mai stato abituato a trovare tutto pronto, i miei studi li ho finanziati anche con un prestito che poi ho restituito. Ed è giusto così. Ho imparato poi a sedermi coi vertici della politica e dell’economia nazionale, ma nessuna delle due mi ha cambiato».