Ticino

Un anno di piccole attenzioni: «Diamo fiducia alle case anziani»

Il responsabile per la regione Ticino e Vallese di Tertianum Stefan Brunner fa il punto sulle difficoltà che hanno vissuto e stanno vivendo gli ospiti e i collaboratori delle strutture: «Nonostante gli allentamenti sulle visite la guardia rimane alta: le attività sono riprese ma in piccoli gruppi»
Le visite nelle case anziani sono riprese il primo marzo. © CDT/chiara zocchetti
Francesco Pellegrinelli
24.03.2021 06:00

Nella sala da pranzo della Residenza al Lido di Locarno i tavoli sono ancora distanziati. Ognuno con il suo spazio di sicurezza vitale. Un’immagine che abbiamo imparato a riconoscere e a leggere nel suo significato più profondo.

«Prima in questo salone mangiavano 80 persone. Oggi la presenza viene limitata secondo le disposizioni del medico cantonale». A parlare è il responsabile della regione Ticino e Vallese del gruppo Tertianum Stefan Brunner. Con lui vogliamo fare il punto sul momento presente. Come vivono gli ospiti delle strutture Tertianum? Quali sono state le difficoltà maggiori vissute durante questo anno di pandemia?

Le prime mosse

«È stato un anno complicato, confida Brunner. Lo è stato per tutti. Per gli ospiti. E per il personale curante. Che in ogni momento - con grande dedizione e professionalità - ha dovuto prestare la massima cura e attenzione per garantire la salute degli anziani. Un anno fa, quando si ebbe notizia del primo contagio in Ticino, come gruppo abbiamo giocato d’anticipo, introducendo per primi l’obbligo della mascherina chirurgica per i nostri collaboratori e controllando la temperatura all’entrata. Queste attenzioni ci hanno permesso di superare indenni la prima ondata. Nessuna delle sette strutture Tertianum presenti in Ticino (il primo maggio aprirà l’ottava a Cornaredo) ha registrato un solo contagio. Per noi è stato un motivo di vanto e di orgoglio. Poi, a settembre, dopo l’illusione di un’estate senza contagi, la dura realtà ha bussato anche alle nostra porta». In alcune case di cura il virus è entrato. Brunner non nasconde che durante il periodo estivo c’è stato un certo rilassamento: «Come tutta la società civile pensavamo che il peggio fosse passato. E invece, come uno tsunami, la pandemia ci ha presentato il conto qualche mese dopo. In quel momento abbiamo corretto immediatamente la rotta, reintroducendo quelle misure di sicurezza e di igiene che avevano fatto la differenza durante la prima ondata. A queste disposizioni, poi, si è aggiunto anche il divieto delle visite esterne imposto a livello cantonale. Questo è stato il vero colpo duro. E lo è stato per tutti».

«Uno shock»

Un capitolo tanto cruciale quanto drammatico che inevitabilmente occorre rievocare per comprendere l’anno pandemico dal punto di vista delle case di riposo: «Per molti ospiti è stato uno shock, pesante e difficile da metabolizzare. E non tutti hanno voluto capire. A quell’età il contatto fisico è fondamentale. La visita di un famigliare può cambiare la giornata. Può sollevare il morale, offrendo uno squarcio di speranza e vitalità. Le videochiamate, per quanto utili, non possono sostituire la presenza di un caro. La solitudine si è fatta avanti e in molti casi abbiamo visto gli anziani lasciarsi andare e rassegnarsi».

Dubbi e resistenze

Non tutti però si sono voluti arrendere alle disposizioni cantonali. «C’è stato anche chi ha manifestato apertamente la volontà di assumersi il rischio di un contagio, pur di rivedere un proprio famigliare», prosegue Brunner. «In questi casi abbiamo spiegato che si trattava di una direttiva cantonale a cui tutti dovevano attenersi». Più complicato ancora, per contro, è stato far passare il messaggio con gli inquilini degli appartamenti protetti, un’altra tipologia di ospiti presenti nei centri Tertianum. In Ticino oggi sono circa 300 gli anziani che hanno scelto questa soluzione affidandosi al gruppo. «Queste persone anziane hanno il loro appartamento indipendente, all’interno di una residenza o di un centro abitativo Tertianum. Intervenire con limitazioni su questa categoria è stato chiaramente più difficile (per non dire impossibile) non essendoci una vera direttiva cantonale. Abbiamo quindi dovuto sensibilizzare sui rischi, chiedendo loro collaborazione e responsabilità affinché la sicurezza di tutti fosse garantita all’interno dei centri e delle residenze. Alla fine il messaggio è passato, ma non è stato evidente».

Piccoli passi

Oggi nelle case anziani le visite nelle camere sono nuovamente consentite, così come le uscite temporanee e le attività socializzanti: «L’attenzione rimane comunque alta», chiosa Brunner: «Abbiamo reintrodotto alcune attività ma queste vengono svolte in piccoli gruppi e senza che le persone possano avere contatti». La presenza del virus nelle sue forme mutate continua a costituire un punto interrogativo che i vertici del gruppo non possono sottovalutare, avverte Brunner, soddisfatto tuttavia per l’alto grado di adesione alla campagna di vaccinazione da parte di ospiti e collaboratori: «Tra gli anziani c’è stata un’adesione di quasi il 90%, mentre tra i collaboratori la percentuale si aggira attorno all’80%. Una buona copertura che ci permette di guardare al futuro con fiducia, prosegue Brunner, che osserva come il numero dei contagi nelle strutture Tertianum sia praticamente azzerato da diverse settimane». Di principio Brunner si dice favorevole anche alla nuova implementazione di test rapidi per un maggiore monitoraggio delle strutture, sia tra i collaboratori che non si sono vaccinati, sia per gli ospiti che non hanno ancora potuto accedere al farmaco. Anche se, in ultima analisi si tratta di soluzioni intermedie: «L’unica vera risposta per girare pagina una volta per tutte, al momento, sono i vaccini, che ahimè tardano ad arrivare».

Un nuovo sguardo

Come detto, comunque, le premesse per guardare al futuro con fiducia ci sono. Servirebbe tuttavia un cambio di mentalità da parte della società sulle case anziani, chiosa Brunner. «Dobbiamo ridare fiducia a queste istituzioni, rendendoci conto della dedizione e del lavoro che viene fatto per il bene degli anziani. Ho l’impressione che l’immagine delle case di cura sia stata danneggiata da alcune vicende. Dobbiamo però essere in grado di distinguere la pecora nera da chi lavora con dedizione e professionalità».

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