Un gancio al volto, una vittima che oggi si trova in stato vegetativo

Un gancio destro, di quelli che si vedono sui ring. Di quelli che, solitamente, si sferrano solamente su un ring. Il 17 novembre del 2024, questo colpo, è invece stato ripreso dalla videosorveglianza della Città di Lugano: dalla telecamera che riprendeva via Orfanotrofio, a pochi passi dal Blu Martini, esercizio pubblico balzato più volte agli onori della cronaca per episodi di grave violenza. A sferrare quel colpo, quella notte, il 26.enne italiano che oggi è comparso davanti alla Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta. Un gancio andato a segno al volto della vittima, poi caduta a terra, che da quel giorno si trova in uno «stato vegetativo persistente». Il 26.enne alla sbarra – difeso dall’avvocato Tommaso Manicone – deve rispondere dell’accusa di tentato omicidio intenzionale (per dolo eventuale) nonché contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti. Lui che, di fatto, ha praticato boxe per almeno una decina d’anni. Per l’accusa, sostenuta dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri, non vi sono dubbi: il 26.enne è «lo spaccone di periferia che si ritiene migliore degli altri, sopra gli altri».
Già, perché quella notte l’imputato sarebbe intervenuto per fare da paciere, da mediatore, all’entrata dell’esercizio pubblico. In seguito sarebbe nata una discussione e poi si sarebbe passati alle mani. Attimi, evidentemente, concitati. Successivamente, secondo quanto immortalato nelle immagini delle telecamere, il tentativo di fuga della vittima. «Per lei, fare da mediatore o paciere significa dare un pugno a una persona che stava scappando?» ha chiesto all’imputato il giudice Pagnamenta. «No», la risposta. E poi ancora: «Chi fa pugilato da 10 anni sa o dovrebbe sapere dove sta dando i pugni, anche sotto pressione». Di più: «Lo sa benissimo quanto siano forti i suoi pugni, sa che possono fare male». Parole quest’ultime, che sono state ribadite anche dal procuratore pubblico durante la requisitoria: «Che si venga a sostenere che un pugile colpisca a caso e ‘sfortunatamente’ al volto è a limite del ridicolo». Per Ruggeri, inoltre, «il braccio di un pugile è un’arma bianca». Ha agito «per futili motivi, per dimostrarsi più forte degli altri». Ruggeri ha chiesto una pena di 13 anni oltre all’espulsione dal territorio elvetico per 10.
«Minacciato? Non è credibile»
«Siamo arrivati a un nonnulla dalla morte» e oggi, su un letto d’ospedale, c’è «un ragazzo che riesce unicamente a respirare». Ha suscitato emozione l’intervento dell’avvocato Giuseppe Gianella, patrocinatore della vittima – 22.enne residente in provincia di Varese –, dei suoi genitori e della sorella (questi ultimi presenti in aula). Gianella, allineandosi all’accusa, ha chiesto che l’imputato sia condannato per tentato omicidio (per dolo eventuale). Patrocinatore di un ragazzo – ha detto in aula – «condannato su di un letto d’ospedale, con gli occhi aperti e lo sguardo nel vuoto».
Gianella, durante il suo intervento, ha pure parlato dell’imputato, del comportamento tenuto quella sera: «Un negoziatore? Un pacificatore? Un arrogante con mania di protagonismo, un maschio alfa?» si è interrogato il legale. «L’imputato – ha commentato anticipando la tesi difensiva – non è credibile quando dice di aver subito delle minacce. La storia della minaccia è una favoletta».
In realtà, ha sottolineato, «ha avuto una reazione d’orgoglio, non di paura, perché ha ricevuto un pugno sul labbro. Voleva dargli una lezione, voleva fargli capire chi fosse il capo». Secondo l’avvocato ha colpito «per fare male, con un intento puramente vendicativo». Infine, una parola anche nei confronti dei genitori del 22.enne: «Hanno una forza sbalorditiva, mai dettata da un sentimento di vendetta».
«Non è un mostro»
La difesa, sostenuta dall’avvocato Tommaso Manicone, ha dal canto suo contestato l’ipotesi di reato, chiedendo che il 26.enne sia condannato per lesioni colpose gravi (e invocato il caso di rigore per quel che concerne l’espulsione). E il massimo della pena, in questo caso, sono trentasei mesi di carcere (oltre alla revoca della sospensione per una precedente condanna, pronunciata poche settimane prima dei fatti in oggetto).
Lo ha fatto citando precedenti condanne per casi ritenuti simili a quello approdato oggi in aula. Lo ha fatto anche perché il 26.enne – ha detto – «non è un mostro. Non ha caricato il pugno. Si è assunto la responsabilità del gesto, ma non voleva colpire al volto». Subito dopo il gesto «ha prestato soccorso» e il giorno dopo «si è presentato spontaneamente in polizia». E quella notte? «Non ha agito in modo ragionevole, ma sotto influsso di alcol e droga» e inoltre, ha sottolineato, «ha reagito dopo essere stato colpito con un pugno a un labbro». In concreto, dunque, «ha agito in maniera impulsiva. Un eccesso di legittima difesa perché si è sentito minacciato da tre persone (la vittima e i due amici che erano con lui, ndr.)».
Al termine dell’arringa la parola è passata al 26.enne il quale si è scusato con i familiari della vittima per tutto il dolore causato. Scuse precedentemente fatte anche attraverso due lettere, inviate dal carcere. Domattina mattina si riunirà la Camera di consiglio, la sentenza sarà pronunciata dal giudice Amos Pagnamenta nel pomeriggio.