Un pugno che ti cambia la vita

L’intenzione era quella di passare un fine settimana tra amici a Lugano. Il risultato è stato tra i peggiori: uno in carcerazione preventiva e l’altro in coma all’ospedale Civico. In questa condizione ci rimarrà per una trentina di giorni, e verrà sottoposto anche a una decina di interventi chirurgici, come accennato dall’avvocato dell’accusatore privato, Olivier Ferrari, prima di elencare i gravi danni permanenti riportati dal suo assistito dopo aver ricevuto, proprio dal suo amico, un pugno alla parte sinistra del collo, aver perso conoscenza e aver sbattuto violentemente la testa sull’asfalto in via Stauffacher. In verità, al suolo ci finirà una seconda volta, sbattendo ancora il capo a terra e peggiorando di fatto una condizione divenuta poi irreversibile. Davanti alla Corte delle assise correzionali presieduta dalla giudice Monica Sartori-Lombardi è comparso un 34.enne cittadino italiano per rispondere dei reati di lesioni gravi, commessi per dolo eventuale, e lesioni colpose gravi per i fatti accaduti il 21 agosto del 2020 (la lettura della sentenza è attesa per lunedì pomeriggio).
«Negligenza, non intenzionalità»
Il suo amico, la vittima, vive in un corpo che non risponde più come prima. Secondo il referto del medico legale, ha sviluppato un’epilessia post traumatica, un deficit neurologico permanente, difficoltà di deambulazione, disturbi cognitivi, rallentamenti nell’articolazione verbale, insonnia persistente e una grave riduzione delle capacità lavorative. Oppure, come detto dal procuratore pubblico Alvaro Camponovo che ha chiesto per il 34.enne una pena di 24 mesi sospesi e l’espulsione dalla Svizzera per 5 anni, «ci troviamo di fronte a una vita rovinata. L’imputato era a conoscenza dello stato di ubriachezza della vittima e sapeva le conseguenze del suo gesto, commesso per un motivo futile». Ovvero un battibecco nato dalla volontà della vittima di recarsi al Casinò, mentre l’imputato avrebbe preferito rimanere fuori, conscio del fatto che, essendo ubriachi tutti e due, nessuno li avrebbe lasciati entrare. In quel momento il 34.enne (patrocinato dall’avvocato Eero De Polo), esasperato dal comportamento dell’amico, gli tira un pugno. La vittima perde conoscenza, cade a terra e sbatte la testa. L’imputato, al posto di chiamare i soccorsi, tenta di rialzare l’amico, che cade nuovamente a terra e sbatte ancora la testa. Per De Polo, quanto accaduto rappresenta una situazione di «negligenza, non di intenzionalità». Inoltre, la qualifica giuridica dei fatti non sarebbe corretta per l’avvocato, in quanto «il pugno non è la causa della lesione grave, bensì la caduta a terra e l’impatto del capo al suolo». Motivo per cui ha chiesto il proscioglimento del suo assistito dai capi d’imputazione. Ma al di là delle importanti conseguenze fisiche, all’imputato è stata rimproverata la «completa mancanza di assunzione di responsabilità» in quanto non ha mai chiesto scusa alla vittima per quanto accaduto. «Avrei voluto farlo di persona, ma non ci siamo mai più visti. Sono dispiaciuto per quello che è successo», ha detto il 34.enne, che un paio di mesi dopo i fatti ha ricevuto un messaggio dalla vittima in cui gli augurava buon compleanno.