L'incontro

Un quarto di secolo con don Feliciani: «È volato, perché Chiasso è Chiasso»

In primavera si congederà dalla comunità dopo aver guidato la Parrocchia per 25 anni – Un periodo vissuto intensamente e durante il quale non ha mai avuto paura di esprimere le proprie opinioni, tra temi caldi e politica: «Fare il prete qui è diverso, non potevo non parlare»
©CdT/Chiara Zocchetti
Lidia Travaini
26.11.2025 06:00

«Chiasso è Chiasso». Cosa vuol dire? Chiediamo immediatamente. «Chiasso mi ha costretta a buttare fuori quello che avevo dentro». A iniziare così la chiacchierata insieme a noi è don Gianfranco Feliciani, che si appresta a lasciare la guida della Parrocchia della cittadina di confine dopo 25 anni. Un percorso iniziato nel 2001 (e che terminerà nella primavera del 2026) che ha condiviso in tutto e per tutto con la comunità: «Si dice che il pastore guidi il suo gregge, ma è vero anche il contrario, ciò che a volte è il gregge che indica al pastore dove andare».

Quando inizia a parlarci del quarto di secolo come sacerdote della cittadina a emergere è subito la particolarità della missione chiassese e quanto abbia amato questo viaggio. «È volato», non nasconde, spiegando che essendo originario di Rancate «tornare nel Mendrisiotto e a Chiasso è stato un po’ come tornare a casa». Fare il prete qui «è diverso e io qui sono cambiato: mi dicevano che quando ero a Tesserete non ero così. Ma qui, trovandoti proprio alla frontiera, con il problema dei migranti, dei rifugiati, e anche con quella contrapposizione che c’era da parte di una certa politica, io mi sono detto subito "Qui devo parlare"».

E di parlare don Feliciani non ha mai avuto paura, così come di esprimere posizioni su temi delicati. Lo ha fatto anche dal pulpito, «avvicinando» religione e politica come pochi altri nel suo ruolo. Essere alla guida di una comunità come quella di Chiasso, lo ha fatto sentire in dovere di parlare di quei temi che Chiasso vive quotidianamente. «Quella chiassese è una comunità molto giovane, in movimento e con un ricambio importante di persone. Qui sono rappresentate una settantina di nazionalità e c’è una presenza di musulmani molto forte rispetto ad altri paesi. Quindi è diverso: quelle questioni che in qualche modo emergono ovunque perché adesso il mondo è globalizzato, qui emergono però in maniera molto viva». Un fatto che, da pastore di una comunità, lo ha fatto sentire in dovere di schierarsi, e di farlo anche dal pulpito della chiesa, sottolinea.

Canapa, migranti e spirito momò

«Subito i primi giorni che ero qui – spiega don Feliciani – è esploso il problema dei canapai». Siamo nei primi anni duemila e il Mendrisiotto vede fiorire un numero spropositato di canapai che vendevano marijuana grazie al trucco, se così vogliamo chiamarlo, dei sacchetti profumati. «Ce n’erano 22 e io che insegnavo alle commerciali vedevo che alcuni allievi dormivano in classe. I giovani dormivano anche seduti sugli scalini della chiesa. Come fai a non dire niente? Allora mi sono detto che bisognava fare qualcosa e ho parlato con il sindaco, il direttore delle commerciali e altri». Quel qualcosa prese la forma di una petizione, di cui il parroco chiassese fu uno dei promotori. «Ho lanciato la cosa dal pulpito della chiesa», ricorda il nostro interlocutore parlandoci delle 7.000 firme raccolte in pochi giorni e del viaggio a Berna per recapitarle.

Dalla «lotta» contro la canapa, ai battibecchi con parte del mondo politico. Sullo sfondo un altro tema con cui Chiasso e don Feliciani si sono confrontati spesso e volentieri: i migranti. «La Lega era una presenza forte qui e in quegli anni abbiamo dibattuto e litigato parecchio. Ma non era una guerra: questo è lo spirito momò che porta a dirsi le cose in faccia, magari litigare attorno a un tavolo, però stando insieme. Infatti – non nega – con alcuni esponenti della Lega sono nate bellissime amicizie e questo non succede altrove, è una caratteristica del Mendrisiotto». Come non ricordare l’episodio dei due chierichetti di origini africane? La loro presenza in chiesa a Chiasso nel 2018 aveva provocato critiche (o forse dovremmo chiamarle frecciate) a don Feliciani sulle colonne del Mattino. Il quale aveva prontamente replicato, anche dal pulpito. «Li vedevo che entravano in chiesa per sentire cosa dicevo e io ero anche contento. E poi uscivano, ma io li vedevo», ricorda con un sorriso.

«Se vai tu, che sia don Andrea»

Archiviamo gli aneddoti politici per volgere lo sguardo al futuro. Un futuro che vedrà don Gianfranco Feliciani cedere il «timone chiassese» a don Andrea Molteni. «Il mio successore naturale, siamo arrivati qui insieme e abbiamo condiviso questo cammino». Che ora don Molteni porterà avanti. «Ho detto in anticipo apposta che presto sarebbe arrivato il giorno della mia partenza, per preparare la successione con la comunità perché in questo spirito di Chiesa sempre più comunitario, anche se l’ultima parola è del vescovo, le prime parole spettano al popolo di Dio. E per tutti è stato: "Se vai tu, che rimanga l’Andrea"». Nello stesso spirito comunitario, l’«avvicendamento» avverrà lo stesso momento. «Di solito ci sono due feste, una per chi va e l’altra per chi arriva. Noi abbiamo deciso che ce ne sarà una sola, perché siamo qui insieme: io saluterò e lui entrerà». Per l’occasione don Feliciani farà anche un regalo a chi ha condiviso il cammino lungo un quarto di secolo con lui: «Darò a tutti in dono il mio nuovo libro. L’ho scritto io ma dentro c’è la storia di tutti, un po’ tutto quello che ho imparato e vissuto a Chiasso insieme alla gente. Sarà il mio ricordo».

Ma cosa ricorderà don Feliciani di Chiasso? Non tanto un momento, ma un sentimento: il rapporto che si è creato con la comunità, ci spiega. Oltre il credo religioso. Un rapporto sincero, «un messaggio d’amore», che si manifesta ad esempio nella mensa dei poveri, organizzata settimanalmente, ma anche e soprattutto nei gesti solidali della gente. «"Dimmi di cos’hai bisogno che ti aiuto", mi hanno detto spesso. Quanta gente che non ho mai visto in chiesa che ti aiuta, ti sostiene e ti incoraggia! Cosa mi ha lasciato il segno? Direi proprio le cose più piccole». E dove andrà questa primavera don Feliciani? «Tornerò nel mio paesino, a Rancate, a fare il pensionato e farò un po’ il jolly, il tappabuchi per i preti che hanno bisogno». Anche se più defilato, don Feliciani continuerà quindi ad essere a disposizione della comunità, prendendosene cura «non come prima, ma senza sparire. Girerò tutto il Mendrisiotto, senza essere invadente».

Simpatia istintiva grazie a don Willy

Don Feliciani ci congeda da noi con una sorta di confessione: «Io qui mi sono accorto di vivere un po’ di rendita». Si riferisce a chi prima di lui, ha ricoperto la sua funzione e lasciato un segno indelebile: «I preti che arrivano a Chiasso sono subito presi in simpatia perché si ricordano di don Willy (Albisetti, ndr), lui ha segnato un’epoca e la gente ha un rispetto istintivo per i sacerdoti chiassesi». E ancora: «La gente ricorda don Willy perché era buono, magari non si ricorda quello che ha fatto durante la sua vita, ma si ricorda che voleva bene: che aveva tempo per tutti, che andava trovare i malati, che non negava mai una carezza. Sono queste le cose che cambiano il mondo».

In questo articolo: