Processo

Un talento nella chimica, ma usato per creare droghe

Condannato a 32 mesi un «drug designer» del Luganese – Era accusato di aver prodotto in casa, offerto e venduto diverse sostanze stupefacenti – Secondo la Corte delle assise criminali c’era il chiaro intento di smerciare fentanyl nel deep web – Per arrivare in aula, però, ci sono voluti ben sei anni
Nico Nonella
21.07.2022 20:13

No, non è certo Walther White, ma la sua colpa è indubbiamente grave. «Non era un delirio ma una logica ben precisa di un trafficante che ha voluto trarre profitto dalle sue azioni. Ha investito tutte le sue energie nel traffico di stupefacenti e ha messo a rischio la salute dei consumatori finali». Con queste parole, il presidente della Corte delle assise criminali, Mauro Ermani, ha condannato un 31.enne del luganese a una pena detentiva di 32 mesi, sei dei quali da espiare e i rimanenti sospesi per tre anni, per infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti. Inasprita dunque la richiesta dell’accusa di 28 mesi, mentre la difesa si era battuta per due anni con la condizionale.

Delirio o strategia?

Il 31.enne a processo ieri, tornato da tempo a piede libero – l’inchiesta ha richiesto diverso tempo, ma ci torneremo in seguito – era accusato di aver fabbricato in casa, dal 2009 al 2016, diversi tipi di sostanze stupefacenti tra cui metilone, GHB, 4-FA, 2FA, ed etilone – che sono state poi offerte, vendute e consumate con altre persone. Tra il 2010 e il 2012 lo smercio era avvenuto su un sito internet gestito da un cittadino tedesco, finito poi in manette. A quel punto, l’imputato aveva continuato «in proprio». E tra la fine del 2015 e il luglio del 2016, il 31.enne aveva importato dalla Cina, via posta, almeno 46,5 grammi di fentanyl, un oppiaceo sintetico molto più potente della morfina. Ed era stato proprio un sequestro in dogana di questo stupefacente, nel 2016, a far partire l’inchiesta penale sfociata nel suo arresto e a quattro mesi di carcere preventivo.

Per l’accusa, rappresentata dalla pp Pamela Pedretti, l’acquisto era finalizzato a una futura vendita sul deep web insieme ad altre designer drug (sostanze stupefacenti alle quali vengono alterate alcune molecole in modo da raggirare le norme sulle sostanze illegali e per evitare la classificazione come droga). E il piano era stato messo nero su bianco sulla sua agenda. Una vera e propria «strategy» – così aveva scritto l’imputato nelle sue note – che prevedeva l’acquisto di fentanyl prima che la Cina potesse, questo il suo timore, bandirlo. Ed è proprio su quest’ultimo punto che la difesa, rappresentata dall’avvocato Marco Cocchi, ha contestato la tesi dell’accusa. Il fentanyl? Una scorta a vita messa da parte in un momento di delirio. Il progetto di smercio online? Uno dei tanti ipotizzati dall’imputato ma, in realtà, non c’è mai stata una reale intenzione di trafficare stupefacenti. Infatti, ha ricordato il legale, il 31.enne li ha offerti o venduti solo a una cerchia ristretta di amici, ossia una decina di persone. «Manteneva il controllo sui prodotti. Conscio della pericolosità del fentanyl, non lo ha mai ceduto a nessuno».

Per la Corte, invece, l’intento dell’imputato era proprio quello di avviare uno smercio di farmaci online, una colpa ritenuta grave dalla Corte, seppur in parte controbilanciata dalla collaborazione durante l’inchiesta e dalla violazione del principio di celerità da parte dell’autorità. Di qui, appunto la condanna a 32 mesi di carcere, sei dei quali da espiare. Dedotto il carcere preventivo, il 31.enne dovrà scontarne due e potrà chiedere il regime di semiprigionia oppure i lavori di pubblica utilità. 

«Una vicenda inusuale»

«È una vicenda inusuale e atipica», ha chiosato l’avvocato nella sua arringa. «Nel 2016 nessun ispettore antiodroga aveva mai avuto a che fare con la maggior parte delle sostanze citate nell’inchiesta». Quel che è certo è che a comparire alla sbarra c’era una persona estremamente ferrata in campo chimico-farmacologico – attualmente è studente laureando proprio in questo ambito – e, come ricostruito in mattinata dal giudice, il fascino per la chimica era radicato in lui già prima del liceo. Negli anni successivi avevano iniziato a incuriosirlo i legami tra i farmaci e il corpo umano e il tutto è sfociato nell’autosperimentazione e – in seguito anche a un periodo personale molto difficile – a un vero e proprio abuso. E, beninteso, a un agire illecito. L’ultimo capitolo è concluso oggi, ma come rilevato in aula, quella appena raccontata resta  giudiziaria durata troppo tempo, come del resto ammesso anche dalla stessa procuratrice pubblica. Sei anni per arrivare a processo, in effetti, sono davvero tanti. Ma ora – ha annotato il giudice – l’imputato ha finalmente preso in mano la sua vita.