Una corsa più forte del tumore, perché «niente ferma le donne»

Si allenano e corrono per raccontare al mondo che si può tornare a vivere più forti di prima, dopo l’esperienza di un tumore al seno, all’utero o alle ovaie. Sono le Pink Ambassador, donne che, attraverso il progetto della Fondazione Umberto Veronesi, hanno deciso di sostenere la ricerca scendendo in pista con le scarpe da ginnastica ai piedi. In Italia si contano 18 team di Pink Ambassador, per altrettanti capoluoghi di provincia: Torino, Varese, Como, Monza-Brianza, Milano, Bergamo, Trento, Verona, Venezia, Bologna, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, Bari, Catania, Palermo e Cagliari. Ed è nella squadra varesina Pink Ambassador 2021 che corre Iris Parini, ticinese trasferitasi a Gavirate dopo il matrimonio. Iris, oggi 50.enne, ha scoperto di avere un tumore al seno all’età di 36 anni. Con lei abbiamo parlato della malattia, di terapie, di prevenzione e della corsa per sostenere la ricerca.
Diventare una Pink Ambassador
Iris ha due figlie. Lavora nell’amministrazione di una piccola azienda di Chiasso e corre. «Ho aderito alle Pink Ambassador di Varese per curiosità e per mettermi un po’ in gioco. Il nostro team è composto da 11 donne e ci alleniamo in una pista di atletica con Fabio Caldiroli, un coach professionista», racconta la donna. Proprio Fabio Caldiroli, atleta che ha spesso disputato gare anche in Svizzera, è stato capace di trasmettere alle «Pink» la passione per la corsa, creando un gruppo molto compatto. Iris poi aggiunge: «Abbiamo a disposizione una psicologa e una nutrizionista, che ci ha dato input dal punto di vista alimentare: questo è un aspetto molto importante per il progetto». L’avventura della squadra varesina, composta da Iris Parini, Dalila Soprano, Federica Azzimonti, Ketti Cenci, Manuela Daverio, Tiziana Fergola, Sara Legnani, Maria Teresa Lopez, Monica Rebeschi, Antonella Sala e Katia Santinon, è iniziata il 4 maggio. E lo scorso 9 ottobre i gruppi lombardi hanno corso al parco Nord di Milano, affrontando percorsi di 10, 15 e 21 km, ovvero una mezza maratona. Iris spiega: «Non era richiesto di essere delle sportive, la maggior parte di noi partiva dal divano (ride, ndr). Io non ho mai fatto attività fisica a livello agonistico. Serviva un certificato medico che ci abilitasse all’attività sportiva agonistica. A causa delle restrizioni legate alla pandemia, sono due anni che la mezza maratona viene organizzata sotto forma di staffetta: ognuno dei 18 gruppi corre la sua mezza maratona nella zona in cui risiede, noi di Varese ci siamo uniti con gli altri gruppi della Lombardia». Non solo allenamenti per la nostra interlocutrice, ma anche un evento che conosciamo bene: la StraLugano: «Ad agosto ho provato la StraLugano: 10 km in mezzo agli altri corridori, questo è molto più incentivante rispetto ad una corsa a staffetta tra di noi. Per me è stato un traguardo intermedio per prepararmi alla mezza maratona. Ho affrontato la StraLugano nei miei tempi, però l’ho conclusa. È stata una grande soddisfazione». Ma essere una Pink Ambassador non significa solo allenarsi e gareggiare. Iris sottolinea: «Ognuna di noi ha la sua storia e la sua età. Io sono mamma di due ragazze. Essere una Pink Ambassador significa anche staccare dalla quotidianità: alle donne più giovani dico di pensare anche ad altro, non c’è solo il lavoro. Il denominatore comune tra di noi è il percorso legato alla malattia, ma riusciamo ad essere un gruppo nonostante le diversità. Conoscere le altre ragazze del gruppo è stata una grande opportunità, un effetto collaterale della malattia decisamente positivo». Ogni Pink Ambassador ha a disposizione una pagina di raccolta fondi, con l’obiettivo di raccogliere mille euro per la ricerca. Ed è possibile acquistare diversi gadget, dalle borracce ai braccialetti, sino alla maglietta indossata dalle atlete. Il messaggio sulla t-shirt è chiaro: «Niente ferma il rosa, niente ferma le donne».

La fine della chemio
«I tuoi capelli lunghi, quelli cresceranno di un colore che è un incanto. E se non cresceranno allora, sai, ti dico starai meglio senza». È una strofa della canzone La fine della chemio dei Sick Tamburo. È impossibile non canticchiarla mentre scrivo. Iris ha dovuto affrontare il tumore, le terapie e non ha paura di parlarne. «Io racconto tranquillamente la mia malattia, anche se so che per qualcuno è difficile», spiega la donna, che constata: «Il tumore è stato un’occasione per rivedere il modo con cui mi approccio alle cose. Avevo 36 anni quando l’ho scoperto, un età che non rientrava nella prevenzione, visto che non c’erano stati casi nella mia famiglia: è stato un fulmine a ciel sereno. Ho scoperto per caso questo nodulino al seno. Dopo l’ecografia di controllo è partita l’urgenza, perché il nodulino non era così piccolo come credevamo. La biopsia ne ha confermato la malignità. L’origine del tumore era ormonale, ho dovuto sottopormi ad un intervento, alla chemioterapia, la radioterapia e una terapia ormonale». Ma Iris non è rimasta sola, nonostante parte della sua famiglia fosse in Svizzera: «La chemio è molto invasiva e fa star male, ma io ho avuto il supporto delle amicizie, avendo la famiglia oltre confine, quindi distante per potermi dare un aiuto quotidiano. Per fare un esempio, dopo l’intervento non potevo guidare e avevo le bambine da recuperare all’asilo. Gli amici mi hanno dato una mano nelle questioni più pratiche, hanno reso quel periodo molto più semplice». Il tumore è sconfitto? È alle spalle? La nostra interlocutrice sottolinea: «Non ti dicono mai che sei guarita, gli esami di controllo vanno sempre fatti: prima si effettuano ogni tre mesi, poi ogni sei. Ora li faccio una volta all’anno. Chiaramente pensi che potrebbe sempre tornare».

La prevenzione: alimentazione, movimento e controlli
I tumori femminili possono togliere la possibilità di diventare mamme. Una questione complicata, che affrontiamo insieme a Iris: «È un aspetto molto difficile e faticoso da affrontare. Mi ha precluso la possibilità di avere un terzo figlio: a 35 anni ci potevo ancora pensare, ma dopo 6 anni di terapie è diventato molto complicato. È stata una grande sofferenza dover accettare la questione. Però conosco ragazze che hanno avuto questi tumori in giovane età e sono riuscite comunque ad avere figli dopo le terapie». La Pink Ambassador aggiunge: «Dipende dal tipo di malattia, ma chi non riesce ad avere figli può ancora diventare mamma, attraverso l’adozione. Ci sono diverse strade da percorre, tutto dipende da ciò che si desidera: se vuoi qualcosa veramente, alla fine riesci ad ottenerlo. Anche se può essere faticoso». Iris lancia un appello: «La prevenzione è fondamentale e deve partire sempre da noi: alimentazione, movimento e controlli. Spesso le persone non fanno gli screening per paura di scoprire la malattia. La verità è che prima si scopre, meglio è». La donna conclude con una riflessione: «Non bisogna vedere la malattia come una cosa totalmente negativa, alla fine ci dà anche delle cose positive. Suona strano e probabilmente non verrà recepito da tutti nello stesso modo, ma sono convinta di questo. Affrontare la mezza maratona è un modo per mostrare che, nonostante il tumore e le cure, si possono ancora raggiungere grandi obiettivi». Perché quando si ha voglia di correre, di sentire il vento sulla pelle, non bisogna fermarsi. Queste donne hanno lottato. Combattono. Non si fermano.