Una tradizione per tre: la festa sul San Giorgio

Per la popolazione di Riva San Vitale è la terza domenica di maggio, per gli abitanti di Meride e Brusino è il lunedì di Pentecoste. La meta è la stessa per tutti: la vetta del monte San Giorgio. Per le tre comunità quella di recarsi al San Giorgio per la messa – ma in realtà per una giornata di festa – è una tradizione secolare. Difficile dire a quando risale.
La montagna è «condivisa», ma di solito la festa no, si svolge in due momenti diversi, prima salgono i rivensi, qualche giorno dopo i parrocchiani di Meride e Brusino. Che la giornata di festa sia la stessa per tutti è più unico che raro. Quest’anno però è successo, o meglio doveva succedere, il lunedì di Pentecoste. Colpa, o merito, del calendario che poneva a stretto contatto le due giornate. Ma una settimana fa il meteo non ha collaborato, allora si è fatto un secondo tentativo ieri. Anche questo non è tuttavia andato a buon fine per le bizze del meteo: gli organizzatori, i tre Consigli parrocchiali, hanno deciso di rinunciare ancora.
Due annullamenti
Noi però in vetta ci siamo saliti lo stesso. Perché l’annullamento della festa «ufficiale» non sempre dissuade gli affezionati a questa ricorrenza. È capitato non di rado che malgrado un meteo non dei migliori (o malgrado le restrizioni del coronavirus) in vetta si creasse una sorta di ritrovo spontaneo. Destino vuole però, che a questo giro non sia successo. Il popolo del San Giorgio salito per la ricorrenza si è limitato a una manciata di persone noi compresi, due delle quali non sapevano dell’annullamento. Tant’è, noi vogliamo approfittarne comunque per raccontarvi di questa tradizione, anche perché per chi scrive la terza domenica di maggio è tuttora un punto fisso del calendario annuale.
La salita e gli aneddoti
Per salire in vetta c’è chi parte a piedi da casa, quindi da Riva, Meride o Brusino, o chi, sempre a piedi, sceglie la via più breve dal Crocifisso. Ma c’è anche chi opta per l’elicottero, organizzato ogni anno sia per la salita in mattinata, sia per la discesa nel pomeriggio. L’occasione non è molto pubblicizzata, ma è sentitissima. Chi fa parte di queste comunità lo sa. Prima del giorno stabilito, della via da scegliere per salire si parla per giorni. C’è chi parte prestissimo, chi si incammina già la sera prima per dormire (probabilmente poco) sotto le stelle (o nel rifugio attaccato all’oratorio, o nel cosiddetto rudere). In vetta si può acquistare qualcosa da bere o da magiare, ma di solito tutti portano il proprio pranzo nel sacco, per poi condividerlo quasi sempre con la comunità. Perché al San Giorgio ci si ritrova senza nemmeno mettersi d’accordo. Spesso i «posti» sono fissi: la zona in cui prende posto una famiglia o un gruppo di amici è sempre la stessa e si tramanda di generazione in generazione. «Qui si mettevano già i bis nonni, è il nostro posto», l’ho sentito molte volte nella mia vita.
Il programma della giornata è spontaneo quasi quanto la «gastronomia». Unico punto fisso: la messa delle 11: per quel momento bisogna essere «su». Non tutti però vanno a messa, quella è anche l’ora dell’aperitivo e per molti il momento è immancabile. A proposito di aperitivo, ci siamo fatti raccontare qualche aneddoto, risalendo ai racconti dei nonni dei nostri nonni. Come regalo per la festa, all’inizio del secolo scorso c’era chi donava una grossa damigiana di vino rosso alla comunità di Riva, da portare in vetta e condividere. A quel tempo però l’elicottero non c’era e il vino si portava in spalla, con uno speciale zaino che sosteneva la botte. La salita veniva affrontata con una grande speranza: che il vino finisse e non bisognasse fare il percorso a ritroso con la botte mezza vuota (e il liquido a destabilizzare il portatore per tutto il sentiero).
Negli anni il lato religioso della festa è stato probabilmente un po’ perso. C’è infatti chi ci ha raccontato che fino a qualche decennio fa a svegliare i rivensi e dare inizio alla festa erano le campane, all’alba. La salita a piedi iniziava in processione, fino alla zona di San Croce, poi la sfilata si disperdeva e ognuno affrontava il resto della salita con il proprio passo.
Il Beato Manfredo
A proposito di origine religiosa della tradizione, da sottolineare c’è che sul San Giorgio ci si reca per ricordare il beato Manfredo Settala, che in vetta trascorse, da eremita, parte della sua vita. Morì proprio al San Giorgio, il 27 gennaio 1217. Diverse parrocchie si contesero il luogo della sepoltura, che poi venne affidato al fato, o meglio a due buoi che trascinarono la salma giù dal monte, fino a Riva dove ancora oggi sono custoditi i resti, sotto l’altare della chiesa parrocchiale. Il Beato è onorato anche dalle Parrocchie di Brusino e Meride, nel 2017 in occasione degli 800 anni dalla morte nelle tre località sono stati organizzati momenti commemorativi, culminati con il trasporto delle spoglie.
Condividete con noi i vostri aneddoti
Quando è stata l’ultima volta che le tre comunità hanno festeggiato insieme in vetta? A quando risale l’usanza? Se lo sapete, o se avete altri aneddoti o ricordi legati a questa tradizione che volete condividere con noi, scriveteci a [email protected].