Un’altra triste storia di violenza, botte e droga

Se verrà o meno espulso, spetterà all’autorità amministrativa deciderlo. Per quella penale, il 33.enne afghano comparso alla sbarra con l’accusa si tentato omicidio, lesioni gravi e infrazione alla legge federale sugli stupefacenti non merita di restare in Svizzera. Poco importa se la Corte delle assise criminali lo ha riconosciuto colpevole «solo» di lesioni gravi, rissa e lesioni semplici: la gravità dei fatti commessi, la scarsa integrazione e l’ancora più scarsa possibilità di trovare un lavoro indicano che sì, c’è un interesse pubblico nell’allontanarlo. Considerato che, secondo la Confederazione, l’Afghanistan è un Paese a rischio, è probabile che l’allontanamento non venga eseguito, perlomeno non a medio termine.
L’occhio della telecamera
Ma questa, come detto, è una questione amministrativa. Tornando alla vicenda penale, ieri alla sbarra è approdata l’ennesima, triste storia di violenza, botte e droga. Lui è un trentenne afghano (ma ci sono dubbi sulla sua reale data di nascita), ex poliziotto in patria il cui fratello era stato ucciso dai talebani. Per questo, ha raccontato assistito da un’interprete, nel 2014 l’imputato era fuggito dal suo Paese nel 2018. Prima in Siria, dove aveva combattuto dietro la falsa promessa di un permesso di soggiorno, poi, nel 2015, in Svizzera.
A portarlo a processo, sono due episodi violenti andati in scena il 9 aprile e il 22 luglio scorsi. Per il primo, la procuratrice pubblica Valentina Tuoni ha ipotizzato l’accusa più grave, quella di tentato omicidio (in alternativa, lesioni gravi). Dopo una serata in una discoteca di via al Forte, l’uomo aveva preso parte a una rissa – il reato è stato aggiunto dalla Corte al momento della lettura della sentenza, ndr – con altre persone, le quali avevano litigato con un suo conoscente. L’imputato era intervenuto e almeno inizialmente aveva tentato di fare da paciere, poi la situazione era degenerata, con calci e pugni immortalati dalla videosorveglianza. Ad avere la peggio era stato uno dei partecipanti, finito a terra e colpito più volte. Al pronto soccorso, dove si era recato nove ore dopo, gli era stato riscontrato uno pneumotorace. Per l’accusa, causato dalle percosse dell’imputato, per la difesa, rappresentata dall’avvocato Cristina Faccini, non è invece possibile stabilire con certezza chi ha sferrato i colpi più violenti.
Il secondo episodio era invece andato in scena al Parco Ciani. In quel caso, l’imputato aveva colpito con pugni e testate al volto un uomo con in mano un coltello, causandogli una lieve frattura a una costola. Anche qui le tesi divergono. Per la Procura, vi è stato un accanimento nei confronti della vittima; per la difesa, il 33.enne è passato ai fatti dopo aver più volte chiesto all’uomo che brandiva il coltello di smettere di giocarci.
Dopo le ammissioni in sede d’inchiesta, il 33.enne ha negato in aula di aver alienato svariati quantitativi di cocaina e benzodiazepine a quattro persone, due delle quali nel frattempo decedute. «L’imputato è soggetto di diverse inchieste insieme ad altri due personaggi, che alla fine lo hanno denunciato. Uno però è morto e l’altro si è disinteressato, ma ci sono messaggi nel suo telefono e testimonianze di almeno cinque persone che lo inchiodano», ha argomentato la procuratrice.
«Incurante delle conseguenze»
Evidenziando «l’egoismo e la vigliaccheria» dell’imputato, la magistrata ha chiesto una pena detentiva di 4 anni e sei mesi, oltre all’espulsione obbligatoria per dieci anni. «Ha sbagliato ma non ha mai voluto uccidere nessuno, ha invece ribattuto Faccini, che nella sua arringa si è battuta per il proscioglimento dalle accuse di tentato omicidio e infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti e, dunque, per una pena di 18 mesi di carcere.
Per la Corte, presieduta dal giudice Siro Quadri, questa «è una vicenda molto triste». Tuttavia, «pur comprendendo il suo vissuto, questi fatti non possono essere banalizzati. L’imputato ha agito incurante delle conseguenze e non si è mai assunto le proprie responsabilità» ed è quindi stato riconosciuto colpevole di lesioni gravi per il primo episodio (non è stato possibile stabilire chi ha sferrato i colpi più violenti, né che il 33.enne aveva l’intento di uccidere, o perlomeno lo aveva messo in conto), lesioni semplici per il secondo oltre che di infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti e condannato a due anni e mezzo di carcere, interamente da espiare visto l’alto rischio di recidiva evidenziato dalla perizia psichiatrica, oltre all’obbligo di seguire un trattamento ambulatoriale.