Vent'anni di Sgaffy, «ma c'è ancora tanto da colorare»

Il tempo ci sfugge, scrissero anni e anni fa i Baustelle. Ma il segno del tempo rimane. Prendete gli Sgaffy. Nati (quasi) per caso nel 2003 ad Arbedo, sono diventati un’istituzione. E uno stile di vita. Il segno del tempo, per loro, è rappresentato da una data, un orario e un luogo: mercoledì 22 novembre, ore 20, Studio 2 a Besso. Lo showcase RSI, già. «Finalmente tocca a noi» racconta divertito, ma con un pizzico d’orgoglio, Fabri. Una delle voci della band. «Questa cosa di fare uno showcase ce l’avevo qui da una vita, era un mio sogno. Non posso che ringraziare, a nome di tutti, la RSI per l’opportunità. Opportunità che sfrutteremo altresì per far uscire un piccolo regalo: un inedito molto, molto carino».
L’evento, fra l’altro, è al completo. A dimostrazione che di Sgaffy, la gente, è ghiotta. Ne vuole sempre. Ancora e ancora. Chi l’avrebbe detto, vent’anni fa, nel 2003? «Io, di sicuro, no» prosegue Fabri. «Noi Sgaffy siamo nati quasi per caso, nel 2003 appunto, unendo due band – diciamo così – vere e proprie. Vere e proprie perché ci mettevamo sotto a fare pezzi nostri, impiegandoci magari mesi». La gente, però, voleva altro. Voleva delle cover, anche scanzonate. Rivisitate in chiave punk rock. Tipo Le tagliatelle di nonna Pina. «Intuimmo questa cosa, sì. Organizzammo un concerto di prova. Tutti assieme. Ci divertimmo, tutti si divertirono. Voilà, ecco come tutto ebbe inizio».
Fra il serio e il faceto
La cosa buffa, ricorda Fabri, è che inizialmente gli Sgaffy erano un divertissement rispetto alle due band «serie». «Ci eravamo detti: d’accordo, teniamo ancora le altre due band e, ogni tanto, facciamo qualche concerto assieme. Per divertirci. Alla fine, sono rimasti solo gli Sgaffy. E devo dire che il percorso, il nostro percorso, è stato fighissimo. Proprio perché è stato tutto così naturale».
Come naturale, dopo un po’, è stato il fatto di tornare a proporre brani propri. «Noi Sgaffy, in effetti, siamo nati come cover band di una cover band. Una cosa più unica che rara. Ricordo che, a suo tempo, scovammo questo gruppo americano che, proprio come noi, decise di raccogliere alcune esperienze precedenti e ripartire come party band. A un certo punto, però, dopo aver fatto un sacco di canzoni di altri ci siamo detti: oh, raga, va bene, ma adesso che cosa possiamo inventarci? Non sapevamo più quali pezzi reinventare in versione punk rock. E allora, beh, ci siamo decisi a proporre brani nostri. Coelho, in questo senso, fu una botta. Una rivelazione. Non ci aspettavamo certo potesse piacere a tutti. E invece… Negli anni, negli ultimi anni, abbiamo alternato brani-parodia a canzoni più serie».
L’amore e gli screzi
Nel frattempo, a Olimpio, personaggio inventato dagli Sgaffy, è stato dedicato un omonimo libro scritto da Alan Del Don, Federico Casellini e Pierluca Ferracin, uscito nel 2020. «Mettiamola così, siamo diventati un progetto a 360 gradi» spiega Fabri.
Un progetto, nel suo piccolo, fatto anche di fama e notorietà. Senza scomodare i Beatles, è stato difficile gestire il successo? In questi vent’anni, insomma, sono mai emerse tensioni fra i componenti del gruppo? E quanto è stato ed è complicato gestire una carriera musicale dovendo, anche, lavorare? Ancora Fabri: «Di certo non ci siamo montati la testa, io stesso mi sono preso una piccola pausa dal mio turno di lavoro per fare questa intervista. Noi Sgaffy, innanzitutto, siamo degli amici. Una famiglia. Ci conosciamo da quando siamo ragazzini ed è una cosa che depone a nostro favore, dal momento che ci vogliamo un mondo di bene. Poi, va da sé, come in ogni famiglia anche noi litighiamo. È normale. Siamo sei persone l’una diversa dall’altra ma a unirci è proprio la musica, questo benedetto punk rock e tutto ciò che gli ruota attorno. Di screzi ce ne sono stati e ce ne sono, però alla fine ci vogliamo bene come detto. E conta solo quello».


Vent’anni, ma poi?
Vent’anni, dicevamo. Un sacco di tempo, porca miseria. «Ma nessuno, devo dire, ci ha mai chiesto che cosa faremo da grandi» continua il nostro interlocutore. «È una domanda che, semmai, ci siamo fatti internamente. Fra di noi. Della serie: fino a dove vogliamo arrivare? Noi abbiamo appena acquistato i biglietti per andare a vedere i NOFX. Un gruppo che a noi piace tantissimo e che ascoltiamo da una vita. Hanno tagliato il traguardo dei quarant’anni di carriera e quest’estate, prima di sciogliersi, verranno in Europa un’ultima volta. Evidentemente, hanno deciso che era meglio così. Noi abbiamo appena compiuto vent’anni e mi auguro di poterne fare altri venti così. Esattamente così. Non posso dire se ce la faremo. Posso dire, però, che finché la cosa funziona, finché avremo piacere a stare assieme e finché tutto questo ci verrà naturale, allora andremo avanti».
Il rapporto con il pubblico
Gli Sgaffy, in fondo, sono come certe serie tv. Quelle che durano un sacco di stagioni e ti accompagnano per tanto, tantissimo tempo. Scandendo gli avvenimenti della tua vita. Per molti fan, Fabri e gli altri sono una colonna portante. Un riferimento. Che effetto fa? «È bello, molto bello. Per carità, non siamo nessuno. Davvero nessuno. Non è che giriamo con le guardie del corpo come le rockstar. Io lavoro, ripeto, tutti noi lavoriamo. Siamo persone qualunque, ci trovate a fare la spesa il sabato mattina. Ma in Ticino la gente ci segue, grazie a Dio ci segue. E ne siamo felicissimi. Ci sono tanti affezionati che ci vengono a vedere dappertutto. E questa cosa mi scalda il cuore, perché mi rivedo ragazzino, quando andavo ai concerti e speravo di scambiare quattro chiacchiere con la band a fine serata. Infatti, noi ci fermiamo sempre a parlare con il nostro pubblico. Senza, non potremmo fare concerti. Dobbiamo tutto al pubblico. Quanto al fatto di essere un riferimento, in effetti è successo più di una volta che qualcuno ci avvicinasse ricordandoci un pezzo o un vecchio evento. E raccontandoci degli aneddoti suoi, personali. Meraviglioso».


Che cosa resta da fare?
A Fabri, concludendo, chiediamo che cosa resta, dopo vent’anni. E, ancora, che cosa resta da fare. «È una bella domanda. Io spero che resti la naturalezza. La voglia di dare amore alla gente. Come Sgaffy non guardiamo tanto avanti. Ci piace stare nel presente. E un po’ nel passato, con quel pizzico di nostalgia che non guasta. Amo il vintage e amo i ricordi, che cosa devo dirvi? Però, ecco, allo stesso tempo c’è ancora tanto da colorare. E noi abbiamo un sacco di pennarelli, di colori da usare. Siamo sicuri che possiamo regalare delle belle sfumature alla gente. Perché la musica è importante. E salva molte persone. Anche nel nostro piccolo è successo».