Tony Blair lancia la sua crociata contro la Brexit

Nella speranza che la Gran Bretagna possa ripensarci, con un appello pubblico invita coloro che la pensano come lui a "sollevarsi"
Ats
17.02.2017 10:44

LONDRA - Il luogo prescelto, la City di Londra, non è esattamente un luogo 'popolare'. Ma è al popolo britannico che Tony Blair dice di rivolgersi tornando in qualche modo in campo per lanciare la sua crociata a "sollevarsi" contro la Brexit: nella convinzione (o l'illusione, a seconda dei punti di vista) che il Regno Unito possa ancora ripensarci.

La tanto annunciata resurrezione si consuma nel battesimo di una movimento d'opinione da parte dell'ex primo ministro laburista. Con un manifesto improntato a echi da barricata: Blair usa ripetutamente il verbo "to rise up" (sollevarsi, insorgere); giura di "rispettare" il voto anti-Ue del referendum del 23 giugno, ma di fatto sogna di rovesciarlo perché, sentenzia, la gente ha deciso "senza conoscere i termini reali" della questione.

Poi sprona chi la pensa come lui con la parola d'ordine di giornata: "Solleviamoci per ciò in cui crediamo", martella, accusando il governo Tory di aver sposato non solo la linea della "hard Brexit" ma di "una Brexit a qualunque costo".

Toni bellicosi che l'attuale inquilina di Downing Street, Theresa May, snobba. "Il governo - fa dire a un portavoce prima di ricevere il francese Bernard Cazeneuve - resta assolutamente impegnato a portare avanti" il divorzio da Bruxelles. E ad avviare i negoziati senz'indugi entro fine marzo. Come promesso.

Blair, tuttavia, tira diritto. "La nostra sfida da ora in poi sarà denunciare incessantemente i costi" dell'addio al club dei 28, insiste. Strizzando l'occhio ai sentimenti e ai malumori della pancia del Regno - terreno di caccia preferito dei cosiddetti 'populisti' - precisa di essere pronto a discutere anche lui di limitazioni all'immigrazione. Negando però che l'uscita dall'Unione possa di per sé garantirle.

Il suo non si presenta come un partito politico. La scarsa popolarità di cui gode oggi colui che fu il timoniere del 'New Labour' appare incompatibile con velleità elettorali. Piuttosto si tratta di un'iniziativa che spera di condizionare in senso meno anti-europeo il dibattito pubblico.

Per esempio facendo leva sulla Camera dei Lord (che s'appresta a discutere la legge approvata a schiacciante maggioranza dai Comuni per dare il via libera all'esecutivo a notificare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona e avviare così l'iter formale di recesso dall'Ue); o ancora prendendo di mira la leadership d'opposizione di Jeremy Corbyn - la cui svolta a sinistra Blair guarda (ricambiato) come fumo negli occhi - e scommettendo sulla sconfitta di "un Labour debilitato" in un paio d'elezioni suppletive imminenti.

Il problema blairiano è che gli eventuali contraccolpi veri della Brexit si vedranno però a medio-lungo termine. Quando sarà tardi per quel ripensamento che egli auspica, evocando - chissà - un secondo referendum all'esito dei negoziati con Bruxelles.

Del resto, di secondo referendum Theresa May non vuol neppure sentire parlare. La volontà popolare è stata già sancita a giugno e "sarà rispettata", taglia corto Downing Street.

Mentre dal fronte conservatore riparte il tiro al piccione su Blair, ex premier, ma anche consulente internazionale d'affari spregiudicato e strapagato: il suo proclama alla City - ribatte Iain Duncan Smith, ex ministro euroscettico - è un esempio di "arroganza totalmente antidemocratica". "E' l'uomo che voleva l'euro - lo seppellisce Boris Johnson da Bonn - e che ci ha portato alla catastrofica guerra in Iraq: lui parla ai ricchi, il popolo britannico spenga la tv".