Tra oregiatt, sacocialista e liberalles

Chissà quanti lo sanno, oggi, che beliarda in Val Colla vuol dire orecchia e perciò beliardatt, da quelle parti era il termine deputato ad indicare l’oregiatt, ossia il membro del partito conservatore. Un termine nato più di un secolo fa e rimasto fra i pochi a resistere anche nel gergo politico cantonale contemporaneo. Eppure c’è una vasta, affascinante e a volte spassosa storia delle parole inventate in dialetto per designare precisissime categorie della cosa pubblica. Parole che hanno attraversato i secoli e i decenni per separare gli amici dai nemici (di partito) nel corso di una lunga epoca in cui lo scontro era ridotto, di fatto, a due enormi blocchi contrapposti: liberali e conservatori, con qualche concessione alla minoranza socialista. Le cose sono di colpo cambiate con la scesa in campo della Lega dei Ticinesi, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Buona parte delle vecchie parole della politica è finita in cantina mentre la Lega, dal canto suo, ha contribuito a crearne di nuove. Ecco una breve rassegna dei lemmi politici di oggi e soprattutto di ieri.

L’attenzione degli studiosi
Lo stretto legame tra lingua (soprattutto dialetto) e politica in Ticino (sopra, nella foto Reguzzi, un’immagine del Gran Consiglio) ha attirato più volte in passato l’attenzione degli studiosi. Al di là delle raccolte di temini del Lessico dialettale della Svizzera italiana e del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, segnaliamo, tra i vari contributi sul tema, quello di Giuseppe Foletti (Note sulla vita rurale, famigliare, artigianale, economica, rapporti con la città di un tempo, edito da Fontana Print nel 1982) che tra le altre cose ci illumina sul termine berái che «non è nemmeno un ramoscello, solo un fuscello, brandello di corteccia o altro», spiegando che soprattutto «quando il clima politico era infocato qualcuno tacciava di berái i liberali, in contrapposizione a uregiatt per i conservatori. Il termine non fece però presa sulle masse». Al contrario della sua controparte, come vedremo subito.
Fra quanti hanno indagato con passione sull’argomento non si può non menzionare Ottavio Lurati che, per esempio, nel testo Dialetto e italiano regionale nella Svizzera italiana, edito dalla Banca Solari & Blum s.a. Lugano 1976, propone dei cenni significativi sul linguaggio della politica nei suoi aspetti partitici. Ricorda, per cominciare, che soprattutto nell’Ottocento vigeva una strenua opposizione tra il «partito dei riformisti» e il «partito dei quadristi». Siamo nel 1831, «anno in cui compaiono anche i soprannomi di osservatoristi e ancoristi, rispettivamente dal liberale “Osservatore del Ceresio” e dall’”Ancora”, di tendenza legittimista, che esce a Capolago. Degli anni quaranta sono i liberali e i conservatori e le loro polemiche che sfociano in una serie di nomignoli in dialetto».
In nota l’autore cita Oregiatt e, nel 1900, russìt, liberali (alta Verzasca), franch e cinquanta ghei; sciüscialitar, scherzosa alterazione per «socialisti»; socialista da cravata, socialista da poco, che sta coi borghesi (Biasca 1970); per allusione alle lunghe orecchie cocker, conservatori, aderenti al PPD (Mendrisiotto 1975)
«Nel 1853-1855 si hanno i pagnottisti e i fusionisti, mentre nel 1859 sono le lotte dei Burolini (uffici elettorali)». Lurati menziona anche i paltorelli, termine usato per designare coloro che vivevano all’estero alla fine dell’Ottocento e tornavano a votare nei propri comuni Ticino. Prendevano il nome dal paletò, che erano un capo di vestiario sconosciuto dalla nostra gente.

Riguardo la storia del nostro giornale è da segnalare il termine corrieristi, una corrente moderata del partito conservatore, guidata da Agostino Soldati (1857-1939) che nel 1891 aveva fondato il Corriere del Ticino, da cui prese il nome la corrente. La coalizione realizzata nel 1921 da Cattori e Canevascini tra conservatori e socialisti viene invece bollata spregiativamente come pateracchio dai liberali.
Nei primi decenni del Novecento, aggiunge Lurati, erano molto in uso espressioni «oggi quasi del tutto dimenticate come livragare (dall’ufficiale italiano Livraghi) ‘cancellare candidati dalla scheda’, beveraggio ‘bevande offerte agli elettori’, baslottiere o baslottaio ‘ uomo politico che agisce per interesse’ (dal dialetto baslot, ciotola in cui commercianti e bottegai tenevano il denaro)».
Veniamo ora a un piccolo, e non certo esaustivo, dizionario di termini politici in genere desueti o poco noti e gustosi di uso locale, in prevalenza dialettali. Li ricaviamo dal Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, dal Lessico dialettale della Svizzera Italiana e da altri materiali scritti messi cortesemente a nostra disposizione dal Centro di dialettologia e di etnografia.
BELIARDATT
Aderente al partito conservatore. Il termine viene da BELIARDA, orecchio, voce del gergo della Valcolla.
BRÜSAFER
Aderenti al partito liberale radicale in Collina d’Oro, oggi generalmente usato nella forma BRUCIA: quell lì l’è n brucia, quello è un liberale. Originariamente brüsafer si riferisce a un fabbro ferraio che non sa fare il suo mestiere.
CINQUANTAGHEI
Aderenti all’ala dei democratici del partito liberale (Lugano).
CLERICAL
Clericale o aderente al partito conservatore. I clericai i è cui che sta coi prived, i clericali sono ideologicamente vicini ai preti (Roveredo Grigioni).
COCKER
Il termine è usato scherzosamente per indicare gli aderenti al partito conservatore, ora popolare democratico. Il termine allude alle lunghe orecchie del cane e ricalca i più diffusi oregiatt e oregion.
CODINO
Antiliberale, avverso ai nuovi ordini politici. Verrebbe da codino, treccia di capelli finti che la moda del XVIII secolo imponeva agli uomini e che si porta dietro la nuca: realisti e reazionari mantennero a lungo questa usanza per cui il codino divenne contrassegno di una mentalità nemica delle novità. Dello stesso tenore alcune voci italiane ottocentesche per «conservatore, retrivo, clericale»: baciapile, biasciconi, barbogi, bigotti, caccialepre, collitorti e torcicollo...
CORIERISTA
Aderente all’Unione democratica ticinese, detta «partito corrierista». È l’equivalente dialettale dell’italiano CORRIERISTA, dal nome del nostro quotidiano Corriere del Ticino, fondato nel 1891 come organo del partito dell’Unione democratica ticinese e diventato poi quotidiano indipendente. Esisteva anche una locuzione sprezzante, a Grancia, diventà curierista, che però voleva dire essere affetto da dissenteria.
DA LA BISTECA
Ricco, borghese, benestante. Detto di membro del partito socialista (Biasca, Locarno).
DA LA CRAVATA
Ricco, borghese, benestante. Detto di membro del partito socialista (Bellinzona).
DUMBISTI
Termine ironico per indicare i conservatori, con riferimento all’elefantino Dumbo dalle grandi orecchie.
FRAMASSON
Framassone o aderente al partito liberale (Verscio, Cavigliano, Palagnedra). Ma anche miscredente, ateo o ipocrita, impostore (Grancia).
FRANC
Franco, moneta. Detto dell’aderente all’ala degli unificati del partito liberale (Lugano).
GESÜITA
Gesuita o aderente al partito conservatore (Giornico) o individuo subdolo, ipocrita o malvagio. Bella l’espressione gesüita in camisa (Loco).
LIBERALLES
Scherzoso: aderente al partito liberale (Roveredo Grigioni).
MANGIAGERA
Aderente al partito liberale (Riva San Vitale).
MANGIAPREVAD
Mangiapreti, anticlericale o aderente al partito liberale.
NEGROMANT
Individuo di carnagione scura, o uomo tuttofare, gran lavoratore o aderente al partito conservatore (Giornico).
OREGIA, OREGIATT, OREGIN...
Derivati dal temine orecchia che connotano i membri del partito conservatore. Quanto all’origine dell’appellativo che fa riferimento alle orecchie, Ottavio Lurati presenta l’ipotesi che si tratti di un riferimento all’acconciatura di capelli e barba dei conservatori ottocenteschi. I conservatori lasciavano crescere la barba dall’orecchio al mento. «Questi ciuffi, queste ciocche di capelli pendenti ai lati del viso potevano facilmente evocare scherzosamente due grosse, lunghe orecchie». Meno forti si avanzano le ipotesi che alludono alle orecchie grandi dell’asino, all’«orecchiare», origliare (per indicare chi ripete nozioni correnti su di una materia senza avere una conoscenza approfondita di ciò di cui si parla).
RAZZA GRAMA
Aderenti al partito liberale o al partito conservatore, a seconda del punto di vista (Riva San Vitale).
ROSS, ROSSIN
Aderente o ispirato al partito liberale o a partiti e ideologie di sinistra.
SACOCIALISTA
Scherzoso: socialista.
SCIÜSCIALITAR
Scherzoso: socialista.
SGRANFIGNASSIGNOR
Aderente al partito liberale radicale (Giornico).
TENCINÉ
Aderenti al parito liberale. Il termine verrebbe da tencia, carbone, quasi un’allusione ai Carbonari.

Le parole del leghismo
Con la nascita del Mattino nel 1990 e della Lega l’anno successivo nel linguaggio politico sono comparsi termini e espressioni presi dal dialetto. Eccone alcuni esempi.
Uella
Esclamazione che esprime sarcastico sdegno, la cui intensità dipende dal numero di punti esclamativi che la seguono.
Stanghett
Minacciosa bacchetta per mettere tutti in riga.
Ul bel vedé l’è poc distant
La resa dei conti si avvicina.
Fö di ball
Invito ad andarsene rivolto a persona non gradita. Come per «uella», la muscolosità della sollecitazione è data dal numero di punti esclamativi.
Bambela
Detto di persona ritenuta inetta. È il termine che forse più di altri ha segnato il linguaggio leghista. A introdurre questa parola nel 1991 fu l’allora caporedattore del Mattino il quale, molto contrariato dal linguaggio di un testo di Giuliano Bignasca, un sabato sera cercò al volo una soluzione per sostituire certi epiteti. Gli venne in mente il prufesur Bambela (uomo svagato ma non inetto) che era uno dei personaggi più noti delle commedie dialettali radiofoniche di Sergio Maspoli. L’idea piacque al figlio di quest’ultimo, il direttore del settimanale Flavio Maspoli, e al Nano. Così il termine «bambela» fu poi utilizzato in tutte le variazioni più spregiative nei decenni seguenti, senza più alcuna attinenza con il Bambela originario.

L’INTERVISTA A FRANCO LAZZAROTTO
«La marsina è voltabile, la faccia un po’ meno»
Franco Lazzarotto (nella foto CdT), una vita dedicata alla scuola, ma anche trascorsa mangiando «polenta e politica» in famiglia e poi in prima persona nel Partito liberale radicale sino alla carica di vicepresidente cantonale, è stato un volto noto del Cabaret della Svizzera italiana che per trent’anni ha graffiato con la sua satira sul Ticino e sui ticinesi. Ora fa il pensionato (lui preferisce definirsi «diversamente attivo»), a fine maggio lascerà pure la carica di giudice di pace del Circolo di Riviera e, sempre più spesso dal suo «eremo» sul lago d’Iseo, si gode lo spettacolo della politica da spettatore.
Allora, applaude o lancia uova marce sul palco?
«Braccia ben conserte e nessun applauso purtroppo. Né verso il politico palco che ci ha proposto in questi ultimi tempi un patetico e irritante copione di, bonalmente definito, pressapochismo né verso quello partitico mio dove in queste ultime, calde settimane troviamo puntuale applicazione del magico detto: “On n’est jamais trahi que par les siens”. E oltretutto... sa-dis che ’l sia vera! Ma nemmeno lancerei uova poiché anzitutto ce ne vorrebbero parecchie e mi spiacerebbe inoltre colpire in mezzo a tante comparse i pochi attori veri, di più schieramenti ben inteso, che fortunatamente recitano ancora un copione politico di spessore, credibile, attuabile e seguibile, non urlato, fecebookizzato, WhatsAppiente o pateticamente twitterino».
Se fosse ancora un «pipistrello» del Cabaret della Svizzera italiana quale sarebbe la personalità politica ticinese che le darebbe più ispirazione?
«Senza ombra di dubbio e anzitutto l’on. Claudio Zali. Già vedo infatti sulla scena i nostri tre attori. Uno che lo impersona e due ai lati che pongono domande. Lui, sguardo fisso nel vuoto, occhi sbarrati, tre deglutizioni al minuto, volto basicamente rosso sangue cangiante sul rosso fuoco se la domanda è poco intelligente. A fine serie delle domande, scrollatina di spalle, un quarto di sorriso e un lapidario: “Già tutto fatto, signori miei, dove eravate?”. E quale scena finale dello spettacolo proporrei: luci rigorosamente blu, l’Argo di Händel in daDo maggiore quale sottofondo, orchestrale bacchetta al maestro Cattori e al centro l’on. Beltraminelli al quale viene donato quale viatico politico un petalo De Rosa».
Siamo in un Paese di rancorosi: nei suoi trent’anni di Cabaret ci sono stati dei politici che non le hanno perdonato qualche battuta? Della serie: «A quel lì gà la farem pagà».
«I copioni del nostro autore unico Renato Agostinetti – nessuno di noi poteva sgarrare e recitare a braccio – si sono sempre distinti, pur nella loro pungente satira, per finezza e oggettività. Difficile era dire: “L’è mia iscì”. Arrabbiatissimi di contro erano quei politici che non venivano citati nello spettacolo. Della serie, datti una mossa, mio caro onorevole poiché se ti ignoro, poco hai concluso».
Un tempo la politica e i comizi si facevano sovente in fumose osterie, parlando in dialetto e bevendo vinacci che potevano dare in fretta alla testa, accendendo il sacro fuoco della bandiera di partito e la voglia di dar legnate all’odiato avversario politico. Oggi c’è più fighettismo enologico e linguistico (fatta eccezione per certi pistolotti domenicali) e quel mondo è scomparso. C’è motivo per averne nostalgia?
«Tempi, modi e mode irripetibili quanto indimenticabili, ma guai a seguire la nostalgia che sempre frena creatività e fantasia. Ma guai pure a sotterrare quella “bandiera” che, facendo rima con ideale, è la fiamma (liberale-radicale nel mio caso) che non va orgogliosamente portata unicamente ogni quattro anni sul bavero da comizio o sulla camicia griffata da aperitivo aperto, ma ogni giorno facendone sentire calore e valore – parole purtroppo oggi da frigidaire? – nelle proprie attività a favore della nostra comunità».
Voltamarsina e galoppini, tipiche figure del folclore politico, esistono sempre. Chi sono oggi e come si muovono?
«La marsina è sempre... voltabile e cromaticamente mutabile, la faccia meno. Oggi, fortunatamente, l’elettore aborrisce o molto poco ama il voto galoppinato. Sa trottar da solo e generalmente, quanto fortunatamente, ben distingue i purosangue dai bolsi».
Per le sue esperienze professionali e politiche lei conosce bene la società ticinese, della quale la classe dirigente è specchio. Da «pipistrello» pensa ci sia da essere ottimisti o pessimisti?
«Il pessimismo e il piangersi addosso mai hanno risolto problemi. Abbiamo in ogni gremio partitico – e in questi mesi ne abbiamo riprova – una gioventù ben preparata, fondamentalmente sana ed entusiasta che ha gran voglia di far bene e di servire il proprio Paese. Affiancata certo da un’indispensabile quanto arricchente presenza di valide “penne bianche”, diamo però allora subito a questo fior di gioventù il dovuto spazio. Ma concreto e non di solita facciata. Il futuro infatti lo si costruisce con frizzanti menti, non con culi di pietra».