Tra presente complesso e futuro sempre più incerto

Il peso della geopolitica sui mercati finanziari, fra crisi e shock, dazi e giravolte di Donald Trump, azioni militari e guerra d’informazione, è stato limitato, vuoi per cinismo o per un effetto di assuefazione. Al di là di guizzi momentanei, i prezzi sono più o meno tornati presto verso valori normali e anche i cosiddetti beni rifugio hanno avuto andamenti relativamente contenuti.
Se però volgiamo lo sguardo in altre direzioni, scopriamo che il peso della geopolitica è percepito in maniera diversa. È il mondo degli imprenditori, degli operatori import-export, della logistica, degli armatori, degli assicuratori e professionisti della sicurezza, delle autorità marittime e portuali, per non citarne che alcuni.
Individuare rischi e opportunità
Tutti attori che, dall’avvio della World Trade Organization (WTO) e l’entrata della Cina sulla scena economica globale, dalla crisi finanziaria del 2008 e l’avvento del protezionismo, dalla COVID-19, l’impennata della domanda e il caos logistico che ne è seguito, le guerre varie che si sono succedute fino alle dispute che ancora riguardano Suez, Mar Rosso, Golfo, Iran, Russia, Taiwan, sanzioni, nuove normative e altro ancora, hanno conosciuto non solo un’estrema flessibilità operativa, ma oggi invocano come imprescindibile un approccio di intelligence geopolitica. Un’attività da gestire in casa, se si può, o da delegare a specialisti, per individuare rischi e opportunità del presente, ma soprattutto per prevedere scenari futuri, compresi quegli shock e worst scenario che se Wall Street tratta con sufficienza, gli operatori economici prendono invece più sul serio.
Cosa c’è oggi su di un ipotetico tabellone dedicato alla geopolitical intelligence? C’è molto, e bastano alcuni esempi a dimostrarlo.
I grandi inquinatori sono altri
Si può partire dall’Unione europea, che contribuisce all’inquinamento globale in una misura inferiore al 3% ma, sulla base di impostazioni più ideologiche che scientifiche, vara misure dirigistiche destinate a mettere fuori gioco interi settori industriali, da certi acciai al vetro, dai materiali ceramici a vari composti chimici, lasciando il mercato alla mercé dei «grandi inquinatori», Cina e India in testa.
La stessa Unione europea, alle prese con crisi istituzionali e costi energetici elevatissimi, che sta varando la diciottesima serie di sanzioni contro la Russia e la sua «flotta fantasma» dopo che le precedenti diciassette non hanno sortito i risultati sperati e il greggio russo, mescolato con quello di altre provenienze, giunge in Europa e, trasportato dalle «navi fantasma», rifornisce perfino le raffinerie USA del Golfo del Messico.
In campo marittimo l’ETS (Emission Trading System), è la tassa che colpisce le navi che toccano porti europei, ma a cui probabilmente sfuggiranno quelle compagnie che non hanno un rappresentante legale nei nostri terminali. Al di là dell’Atlantico un’altra tassa assurda colpirà le navi cinesi e comunque fabbricate in Cina, quale che sia l’armatore.
A livello generale, tutti attendono l’esito delle dispute in tema di dazi, tariffe e relative ritorsioni. I rapporti più «caldi» riguardano l’interscambio con l’Europa e certamente la Cina, diretta concorrente di Washington in campo commerciale, tecnologico e potenzialmente anche militare. Né va trascurata la rete logistica - e non solo - che la Cina sta sviluppando dal Pacifico all’Oceano Indiano, fino all’Africa e ai porti del Mediterraneo.
Se la concorrenza fra USA e Cina, con l’ascesa del Grande Sud, BRICS e altre entità, è al centro della nuova geopolitica e della geoeconomia meno globalizzata, frammentata su base politica e ideologica, un ruolo di rilievo è giocato dal Mediterraneo.
Oggi il Mare Nostrum è percorso dal 20% del traffico mondiale e il suo potenziale è di gran lunga maggiore. La crisi del Mar Rosso, la minaccia degli Houthi nello Stretto di Bab el-Mandeb, ha ridotto la rotta via Suez di almeno il 60%, (nonostante lo sconto del 15% concesso dall’Egitto sul pedaggio del canale) e molte compagnie ancora optano per la circumnavigazione dell’Africa, con tutte le conseguenze per la loro filiera, fino alle aziende clienti, in termini di costi, ritardi e possibili disservizi.
Nodi irrisolti in ogni continente
La fine della crisi medio-orientale e del Golfo apre enormi opportunità per l’economia del Sud Europa, visto che ormai i porti meridionali, con quelli liguri in testa, hanno raggiunto il livello di efficienza di quelli del Nord Europa. Inoltre, le tensioni fra Paesi baltici e Russia favoriscono ulteriormente questa opzione.
Delineando scenari geoeconomici si può anche ipotizzare un ritorno di Taiwan nell’alveo del Celeste Impero in chiave «soft», sullo stile di Hong Kong, visto che un’azione di forza non serve a Pechino e distruggerebbe risorse importanti.
Il nostro ipotetico tabellone mostra poli critici pressoché in ogni continente, inclusi angoli dimenticati e assurti improvvisamente agli onori delle cronache, come la Groenlandia, l’Artico o le nazioni dell’Africa sub-sahariana. Per molte di queste aree il fattore critico e talvolta destabilizzante è la presenza di materie prime che fanno gola a molti, spesso a troppi. Il sogno americano dell’indipendenza petrolifera attraverso lo shale oil non si è realizzato e la dipendenza dal Medio Oriente continua, mentre l’appetito per i nuovi materiali strategici e tecnologici cresce.
Se è vero che l’economia cammina su binari diversi da quelli dei mercati finanziari, è pur vero tuttavia che da certi fattori non si può prescindere, a iniziare dall’incerto destino del dollaro USA, che siede ancora sul trono del commercio delle materie prime, della finanza e del traffico globale.