Processo

Tragica fatalità o morte evitabile?

Alla sbarra in tre per la morte di un operaio edile avvenuta nel 2021 nel cantiere dell'ex Hotel du Lac di Paradiso – Le accuse sono di omicidio colposo e violazione delle regole dell'arte edilizia
©Gabriele Putzu
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
24.09.2025 06:00

Una tragica fatalità o una morte evitabile? Ruota attorno a questa domanda il processo che vede alla sbarra tre persone - un operaio edile di 50 anni, un tecnico di cantiere di 58 anni e un capo cantiere di 55 anni, tutti di nazionalità italiana - accusate di omicidio colposo e violazione delle regole dell’arte edilizia per la morte di un loro collega operaio edile di 54 anni - anch’egli italiano - avvenuta l’8 gennaio 2021 nel cantiere dell’Hotel du Lac a Paradiso. Cantiere gestito da un’azienda del ramo del Luganese.

Di fronte alla Corte delle assise correzionali presieduta dal giudice Paolo Bordoli i tre uomini si sono difesi motivando ognuno il proprio comportamento corretto, che non ha comunque impedito il decesso del collega, morto nel vano ascensore del piano terra schiacciato dal materiale da cantiere gettato dal sesto piano dell’edificio in ristrutturazione. «Quando ho sentito (dalla vittima, ndr) «butta», l’ho fatto. Tutti mi hanno detto che questa era la procedura», si è difeso il 50.enne che ha effettivamente gettato in basso le ante di legno e vetro sgomberate dal sesto piano. Una volta arrivate al pianterreno le ante sono finite però finito addosso alla vittima, uccidendola. «Ho percepito come un’ombra sporgendomi - ha continuato il 50.enne, difeso dall’avvocato Niccolò Giovanettina - ma non saprei dire di chi era o da cosa era dovuta. Ho gridato «ocio» prima di gettare le ante e non ho mai visto parapetti alle porte degli ascensori ai piani».

Dopo l’autore materiale del lancio hanno preso la parola il capo cantiere e il tecnico di cantiere. «Sono dispiaciuto per quello che è successo - ha detto il primo, difeso dall’avvocato Andrea Gamba - ma non ho responsabilità penali. Ho spiegato personalmente a tutti come si doveva procedere per il lancio del materiale e ho anche verificato che procedura fosse eseguita correttamente». E sulla comunicazione a voce attraverso sei piani dell’edificio ha sottolineato: «Era corretta, le radioline non servivano, si sentiva bene comunque. Anche una barriera di protezione non serviva, se non quando necessario».

Sulla stessa lunghezza si è espresso il tecnico di cantiere rappresentato dal difensore, avvocato Goran Mazzucchelli. «Ho fatto tutto in maniera corretta. La procedura di lancio l’ho preparata io, anche se non l’ho mai verificata sul posto e non ero presente neppure quando è stata fatta la prova della voce». Il 58.enne ha anche respinto l’idea di chiudere le porte dell’ascensore durante i lanci di materiale. «Oltre a non vedere quanto materiale ci sarebbe stato, una volta aperta, la porta avrebbe portato con sé tutto il materiale».

Cosa dunque non ha funzionato? Per l’accusa sostenuta dal procuratore generale sostituito Moreno Capella, che farà la requisitoria domani al pari delle difese, sembra invece tutto chiaro.

I tre imputati sono da condannare per omicidio colposo e violazione delle regole dell’arte edilizia. Tutto questo perché in correità tra loro si sono resi colpevoli, in base ai rispettivi ruoli, di tutta una serie di omissioni. Dal non aver designato precisamente quali operai erano addetti ai lanci e allo svuotamento del vano dell’ascensore al non averi istruito e formato in modo corretto, completo e adeguato la manovalanza, dal non aver sorvegliato in modo costante e sistematico la procedura di lancio al non aver predisposto una zona di sicurezza attorno all’entrata dell’ascensore. I tre imputati, secondo Capella, sono altresì colpevoli per non aver predisposto i debiti accorgimenti tecnici per la comunicazione e per non aver controllato e verificato l’attuazione e il rispetto delle misure di sicurezza.

In questo articolo: