Como me gusta la Serie A

Triste storia viola, e così il Como di colpo «l'è una grande»

Non di solo gossip si nutre il Bar Milton - Fa discutere la crisi della Fiorentina, ultima nonostante i grossi investimenti di Commisso
© EPA/Claudio Giovannini
04.11.2025 12:34

Pare che la Robertina abbia avuto un flirt con un giocatore del Como, in passato. È questa la novità di giornata, al Bar Milton. Lo ha confidato il Gigi – in realtà si chiamerebbe Dan, ma tutti lo chiamano Gigi perché da quando ha aperto il bar millanta un’amicizia di gioventù con il Meroni – al Panzeta. E confidare qualcosa al Panzeta è il modo migliore per generare una notizia, per lanciare un passaparola. Il problema, sempre che di problema si possa parlare, è che ci sono pochi indizi su questo flirt. E poi all’epoca non c’erano i social, e neppure internet. E comunque chi se lo filava il Como, per i gossip? Adesso avrebbe pure un senso, ma allora... Parliamo dei primi anni Duemila. È tutto ciò che sappiamo. Il Gigi d'altronde ha avvertito il Panzeta: «Non parlarne mai alla Robertina, mi raccomando».

«Facile dirlo, voi che siete una grande. Ma pedala, va', lariano!». L'Antognoni di Olgiate irrompe nel bar che ancora non ha finito di sbraitare nei confronti di un passante. «Chi era?», gli chiediamo in coro, affacciandoci alla porta, cercando di intravedere chi fosse quel malcapitato in bicicletta. E lui: «Ma un bischero. Un dirigente del Como. Nemmeno lo conosco per nome, ma leggendo le tue storielle sul bar - dice rivolto a me - pensa di conoscermi. E mi ha fatto i complimenti per la Fiorentina. Non c'ho visto più. Ora che il Como l'è una grande, o questo mica mi piglia in giro? Ma si pole? No che un si pole!». Quando si arrabbia, il suo intercalare torna quello della sua vita precedente, da toscano in Toscana.

Con la vittoria del Genoa in casa del Sassuolo, la Fiorentina è davvero ultima, con quattro punti soltanto in dieci giornate. Non credo sia mai successo. E allora, per una volta, a tutti sembra importare qualcosa della Fiorentina e del suo destino. La tesi del Fusi, sempre analitico, anche quando non si tratta specificatamente del Como, al punto che - ai tempi - lo chiamavamo «il Bacconi di Novazzano», è che a questa squadra, ma soprattutto a questa società, manchi un'identità. E quindi, stringi stringi, che la colpa sia di Rocco Commisso, il presidente italo-americano. «Ditemi voi come si fa a lasciare tutto nelle mani di Pradè?!», fa rivolto a noi, aspettandosi una nostra risposta, sicuro che abbiamo qualcosa da ribattere, qualcosa da dire anche sulla Fiorentina e sulla sua dirigenza. A noi che si parla sì, ma al bar, mica alla Bobo TV.

Il Panzeta abbozza un commento qualunquista: «Eppure i soldi li ha spesi. Come fai a criticare Commisso?». Non l'avesse mai detto. Il Fusi alza il tono, felice di aver stanato la sua prima preda. Gli scappa proprio un «ahaaa» soddisfatto, della serie: beccato! Il suo tema prediletto: le cattive spese nel calcio. Ed ecco il tormentone: «Non conta quanti milioni spendi...». E noi in coro: «... ma come li spendi». Lui nemmeno ci degna di un briciolo di interesse e continua per la sua strada. «Piccoli: 25 milioni. Il riscatto di Gudmundsson: 13 milioni. Attenzione: mai fidarsi di uno che azzecca una stagione in provincia arrivando dal niente». Un fiume in piena di tesi, vendute con il suo stile dogmatico. «Fazzini: 10 milioni. Fagioli: riscatto a 14 milioni. Ah, e poi il mio preferito, e lo dico da svizzero: Sohm, dal Parma, 15 milioni. Sohm a 15 milioni! E Pradè, badate bene, aveva bussato al Parma, in realtà, con l'idea di prendere Bernabé, che è tutto un altro centrocampista».

Nessuno ha nulla da dire. D'altronde, a nessuno sembra normale che il Fusi conosca a memoria i conti della Fiorentina. Lo stesso Antognoni se ne sta in silenzio, sempre lì davanti alla porta. Sembra uno di quei cagnolini arruffati che abbaia ai passanti da dietro il vetro. Ha in mano un bicchiere di acqua in cui sta facendo sciogliere un'aspirina. «Che mi sento tutta un'acidità risalirmi su fino in gola», dice dimostrando di sapere poco di medicina. Poi si gira, tracanna l'aspirina ancora pienamente frizzante, e attacca: «La verità è che c'è chi nella vita è destinato a non vincere mai. Ci prova, ci si prova, ma non si vince. Mai. A volte si fa uno sforzo in più per allontanarsi dalla propria quotidianità, a volte si tenta con qualche scorciatoia, altre con le strade in salita, per scelta, come a dimostrare che ce la si mette tutta. Ma niente. La Fiorentina è codesta roba qui. Ha avuto grandi dirigenti, grandi allenatori e grandi campioni. Anche negli ultimi trent'anni, o quaranta. Gli Antognoni, i Baggio, i Batistuta. Persino il malinconico Socrates - che a Firenze l'era in versione Socrate morente, mi si conceda la battuta - e Passarella. E Rui Costa, Edmundo, fino a Chiesa. E in panchina sono passati alcuni tra i migliori, da Trapattoni a Prandelli, da Ranieri a Montella, da Pioli a Mancini a Italiano. Ma in questi anni ha vinto due sole Coppe Italia, nel 1996 e nel 2001. Questa, a casa mia, la chiamiamo mediocrità».

A quel punto ripassa il dirigente del Como, si ferma, lega la bicicletta al palo. L'Antognoni di Olgiate, intanto, se ne sta lì accanto al calcetto del bar. Sembra recitare una vecchia formazione viola, perché sfiorando l'attaccante centrale rosso ripete piano, nostalgico: «Batistuta...». Noi, tutti gli altri, facciamo ampi cenni al dirigente di non entrare. Lui, dapprima sorridente, capisce e fa per andarsene. Al che, l'Antognoni si gira verso di noi, che intanto ci siamo messi - Robertina compresa - a copertura della porta, e urla incuriosito: «Oh, ragazzi, ma cos'è codesta storia della Robertina con lo straniero del Como?».

Como me gusta la Serie A, dialetto edition, decima giornata

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