Washington

Trump: «Subito i Patriot all’Ucraina. Pagheranno gli alleati europei»

Il presidente degli Stati Uniti non ha nascosto la frustrazione per il mancato raggiungimento dell’obiettivo della pace e ha accusato il Cremlino di fare soltanto «chiacchiere» - Le batterie missilistiche saranno inviate nel giro di pochi giorni - Ipotizzate nuove sanzioni contro Mosca
Il presidente degli Stati Uniti ha incontrato ieri alla Casa Bianca il segretario generale della NATO Mark Rutte. ©Nathan Howard
Dario Campione
14.07.2025 23:05

Difficile dire se si tratti di un autentico cambio di rotta o, come troppo spesso è accaduto sin qui, di un avvertimento destinato a cadere nel vuoto. Sta di fatto che, ieri pomeriggio, il presidente USA, Donald Trump, ha annunciato - per la prima volta da quando è tornato alla Casa Bianca - un massiccio invio di armi all’Ucraina e ha minacciato di colpire gli acquirenti delle esportazioni russe con «sanzioni secondarie» se il Cremlino non raggiungerà un accordo di pace «entro 50 giorni».

Un’apparente svolta politica, che il tycoon ha giustificato con la frustrazione patita nei confronti di Mosca.

Nello Studio Ovale, seduto a fianco del segretario generale della NATO Mark Rutte, Trump ha detto ai giornalisti di essere «deluso da Vladimir Putin», il quale ha continuato a «fare chiacchiere e a bombardare», dimostrando nei fatti la volontà di non voler porre fine al conflitto.

«Produrremo armi di alta gamma che saranno inviate alla NATO - ha quindi spiegato Trump - e gli alleati pagheranno le spese». La fornitura militare includerà i missili di difesa aerea Patriot, che Kiev ha chiesto con grande insistenza per difendersi dai continui attacchi aerei russi. «Invieremo batterie complete - ha aggiunto Donald Trump - alcune saranno pronte molto presto, entro pochi giorni. Un paio di Paesi (alleati della NATO, ndr) che hanno i Patriot forniranno i loro all’Ucraina e li sostituiranno dopo con quelli nuovi in arrivo».

Uno show mediatico

Come sempre, il presidente degli Stati Uniti ha trasformato l’incontro con la stampa in una sorta di show mediatico, alternando considerazioni di vario genere, talvolta in contraddizione tra loro. A chi gli chiedeva, ad esempio, fino a che punto fosse disposto a spingersi per mettere fine alla guerra in Ucraina, ha immediatamente sottolineato come nel conflitto non ci siano «americani che muoiono», come a voler dire: per noi è difficile giustificare interventi che abbiano anche un costo. «Questa non è la guerra di Trump. Siamo qui per cercare di finire e sistemare».

Subito dopo, però, ha spiegato che un coinvolgimento è comunque «motivato» poiché «avere un’Europa forte è una cosa molto buona. Ho parlato con la Germania e con la maggior parte dei Paesi più grandi: sono davvero entusiasti di questo, vogliono che questa guerra finisca e sono disposti ad andare molto lontano».

A proposito dei rapporti con il presidente russo, Trump ha detto ai giornalisti di parlare «molto» con Putin, ma a vuoto. «Parlo molto con lui di come portare a termine questa cosa, la guerra, riaggancio e sempre mi dico: “Beh, è stata una bella telefonata”, ma poi i missili sono lanciati su Kiev o su qualche altra città. È accaduto tre o quattro volte, una conversazione molto bella e poi i missili esplodono quella stessa notte. Vado a casa, lo dico alla first lady: ho parlato con Vladimir oggi, abbiamo avuto una conversazione meravigliosa. E lei risponde: oh, davvero? Un’altra città è stata appena colpita».

E in effetti, proprio mentre parlava a Washington davanti alle telecamere, in Ucraina risuonavano ancora una volta gli allarmi aerei in almeno sette regioni nel Nord e nell’Est del Paese: raffiche di droni esplosivi sono state lanciate ieri dai russi per tutto il giorno, causando la morte di quattro persone e il ferimento di almeno altre 21 nei territori di Sumy e di Kharkiv.

Tariffe secondarie

La vera novità emersa dalle parole di Trump è stata la minaccia delle cosiddette «sanzioni secondarie»: se attuata, infatti, rappresenterebbe un significativo cambiamento rispetto al recente passato. Da quando Putin ha deciso di invadere l’Ucraina, i Paesi occidentali hanno tagliato la maggior parte dei propri legami finanziari con Mosca, ma non hanno adottato misure che impediscono alla Russia di vendere il suo petrolio altrove. Ciò ha permesso alla stessa Russia di continuare a guadagnare centinaia di miliardi di dollari esportando il greggio, ad esempio, in Cina o in India.

Le «tariffe secondarie» annunciate dal presidente americano colpirebbero i Paesi che importano merci da Mosca, scoraggiandole a continuare. La tariffa indicata ieri dal tycoon, il 100%, è comunque molto più bassa del 500% che vorrebbe imporre un gruppo bipartisan di oltre 80 senatori a Capitol Hill.

Le prime reazioni russe alle parole di Trump sono state affidate a personaggi minori del regime. L’agenzia TASS ha ripreso una dichiarazione del capo della commissione per gli Affari internazionali della Duma e leader del Partito Liberal Democratico, Leonid Slutsky: «Il presidente USA dovrebbe rivolgere i suoi avvertimenti a Volodymyr Zelensky - ha detto Slutsky - Trump dovrebbe mostrare il “pugno” al regime di Kiev e non promettere sanzioni secondarie alla Russia; noi abbiamo ripetutamente dichiarato la disponibilità a porre fine al conflitto, tutte le proposte di Mosca sono sul tavolo dei negoziati. Stiamo aspettando che la parte ucraina concordi la data del terzo turno di Istanbul-2», ha concluso il parlamentare, dimenticando però di citare le condizioni poste dal Cremlino, giudicate da tutti irricevibili.