Tumore al pancreas, brutto cliente: «Ma la sopravvivenza è aumentata»

Il tumore del pancreas è tra i più cattivi. Inutile girarci intorno. Si affinano le terapie per contrastarlo, per diagnosticarlo in anticipo, ma rimane aggressivo. Con tumore del pancreas si intende principalmente il carcinoma del pancreas. L’incidenza, in Svizzera, secondo il registro nazionale, di questo carcinoma è stimata a «circa 1.800 nuovi casi all’anno sull’intera popolazione. Ma sta aumentando, e si stima che entro il 2030 possa diventare il primo tumore digestivo per mortalità. In Ticino contiamo circa 60 casi all’anno». A rispondere alle nostre domande sono il professor Pietro Majno-Hurst primario e capo dipartimento di Chirurgia e di Chirurgia Viscerale, Ospedale Regionale di Lugano, Alessandra Cristaudi, caposervizio di chirurgia viscerale presso l’Ospedale regionale di Lugano e la collega Sara De Dosso, viceprimario di oncologia medica e responsabile dell’Unità tumori tratto gastroenterico dello IOSI. I medici saranno ospiti della conferenza pubblica organizzata dall’EOC per giovedì 2 marzo. «Per quanto riguarda il carcinoma del pancreas si tratta dunque di un tumore maligno spesso più aggressivo rispetto ad altri tipi di tumore del tratto digestivo, ma quello che è cambiato rispetto al passato è il momento della diagnosi, sempre più spesso precoce in quanto si ha un accesso molto più diretto ad esami radiologici come TAC e risonanza magnetica, che scoprono i tumori prima dei sintomi, nuove tecniche chirurgiche e un nuovo approccio di chemioterapia preoperatoria».
La presa in carico dei casi
Sappiamo che, oggi, la parola chiave nella lotta ai tumori, ma anche ad altre malattie, è «mulitdisciplinarietà». Come sottolinea la stessa dottoressa Cristaudi, «la presa in carico di squadra tra oncologi e chirurghi - ma non solo - è ciò che ha permesso di migliorare in modo significativo i risultati in sopravvivenza a lungo termine». Ma la presa in carico di questa malattia all’EOC è considerata all’avanguardia sotto diversi aspetti. «Dal punto di vista oncologico spingiamo verso una chemioterapia preoperatoria in tutti i pazienti con carcinoma, rispetto alla presa in carica classica dove la chemioterapia viene fatta solo dopo chirurgia, dunque molto più difficile per il paziente portarla a termine, o in casi localmente avanzati dove il tumore ha già invaso le strutture vascolari adiacenti. Dal punto di vista chirurgico abbiamo standardizzato la nostra tecnica, introdotto tecniche di ricostruzione vascolare che vengono dalla chirurgia dei trapianti portati dal professor Majno e tecniche mini-invasive in laparoscopia e in tecnica robotica; abbiamo inoltre reso sistematico un programma di pre-abilitazione strutturato, ovvero un percorso di preparazione alla chirurgia in cui si corregge lo stato nutrizionale e si migliora quello muscolare con sessioni di fisioterapia mirata, un percorso che permette quindi al paziente di sopportare con più facilità l’intervento. Abbiamo visto che con questo approccio il paziente si debilita meno e recupera più in fretta».
I vantaggi
È particolarmente interessante il ribaltamento delle terapie. Si inizia dalla chemioterapia e, in un secondo tempo, si interviene chirurgicamente. Questo approccio è già ben consolidato in altri tipi di neoplasie del tratto gastrointestinale, per esempio nei tumori dello stomaco, e si sta sempre più utilizzando anche nei tumori del retto, aggiunge la PD dr.ssa De Dosso. E va tenuto in considerazione il fatto che la chirurgia pancreatica è tra le più complesse e rischiose. Il pancreas è un organo profondo, «attorniato da strutture anatomiche importanti, e la consistenza stessa della ghiandola e le sue secrezioni ne rendono delicata la manipolazione e la dissezione». Una chirurgia centralizzata solo in pochi centri in Svizzera, in grado - come l’EOC – di garantire anche la presa in carico di possibili complicanze post-operatorie. La strategia di operare soltanto dopo la chemioterapia apporta diversi vantaggi, sottolinea la dottoressa Cristaudi, a cominciare dal «trattamento precoce di una malattia aggressiva che spesso si diffonde con micrometastasi precocemente, e dunque agendo già su potenziali cellule tumorali circolanti». E poi «migliora i risultati chirurgici locali in termini di radicalità microscopica e numero di linfonodi coinvolti, migliorando anche i risultati chirurgici con meno complicanze post-operatorie ». Infine permette una selezione delle «biologie tumorali particolarmente aggressive, che progrediscono durante la chemioterapia, che non beneficerebbero in ogni caso di una chirurgia molto demolitiva, evitando quindi al paziente una chirurgia inutile». C’è anche da considerare che solo circa il 50% dei pazienti è in grado di iniziare una chemioterapia dopo un intervento chirurgico per un tumore del pancreas, specifica la PD dr.ssa De Dosso. Sappiamo che i pazienti dopo questo tipo di intervento spesso perdono peso, sono indeboliti, hanno disturbi nell’ alimentazione e nel transito intestinale, per cui non ci troviamo purtroppo in condizione di poter prescrivere un trattamento chemioterapico post-operatorio, che è fondamentale per controllare le micrometastasi. Proporre la chemioterapia prima della chirurgia ci permette di offrire un trattamento completo quasi alla totalità dei pazienti.
Le ricerche
Una ricerca condotta da medici e ricercatori del San Raffaele e pubblicata già nel 2018 dalla rivista Lancet Gastroenterology & Hepatology aveva dimostrato che la chemioterapia neoadiuvante aumenta notevolmente la sopravvivenza dei pazienti operati per tumore del pancreas. «I risultati attualmente esistenti in letteratura sono estrapolati da gruppi di pazienti misti, ma in ogni caso incoraggiano a usare questo approccio. Lo studio citato, così come anche altri studi, attualmente in corso, ci suggeriscono che con questa strategia non solo un numero maggiore di pazienti riesce a ricevere un trattamento completo, ma i risultati locali della chirurgia sono migliori. Entrambi questi fattori hanno di conseguenza un importante impatto sulla sopravvivenza a lungo termine che nei cinque anni è passata da circa il 5% a cifre attuali del 30% circa», sottolinea Cristaudi. Inoltre, la chemioterapia, rispetto al 2018, si è notevolmente evoluta, abbiamo a disposizione nuovi farmaci piú attivi e meglio tollerati, e la nuova sfida è proprio quella di proporli nelle fasi piú precoci della malattia per massimizzarne l’efficacia, aggiunge De Dosso.
La consapevolezza
E poi c’è il discorso della prevenzione. I casi recenti di Gianluca Vialli e di Fedez, oltre confine, hanno spostato l’attenzione proprio su questo tumore. «Aumentare la consapevolezza e l’informazione nella popolazione generale è sicuramente importante per poter migliorare la presa in carica precoce. Esiste una prevenzione “generale” che riguarda i fattori di rischio più comuni come l’obesità, il fumo e il consumo di alcool, e una prevenzione più “mirata” nelle famiglie che presentano più casi di tumori (anche di altri organi) dove una ricerca genetica può identificare mutazioni specifiche - ad esempio come per i tumori del seno/ovaio - importanti da riconoscere non solo per una prevenzione e diagnosi precoce, ma anche per il trattamento con le nuove terapie mirate». Rispetto al passato è cambiato il momento della diagnosi, ormai sempre più precoce: l’accesso agli esami è infatti più diretto.