Il punto

Tutti i limiti dello streaming

Le piattaforme globali vivono una severa concorrenza, tra continui aumenti dei prezzi e una qualità non sempre esaltante - Spesso addirittura la proposta ricorda, per dinamiche, quella della tv generalista, tanto vituperata - Il vero vincitore potrebbe essere YouTube
©JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Stefano Olivari
31.08.2023 06:00

L’età dell’oro dello streaming era appena iniziata, ma a molti sembra già finita. Non è che Netflix fallirà domani, anzi gode di ottima salute, ma il problema è evidente: lei e le varie Apple+, Disney, Paramount, Amazon Prime Video, eccetera, sono troppe in proporzione ai contenuti di qualità disponibili e al numero di potenziali spettatori. Come guarderemo quindi la televisione in futuro?

Qualità

La guarderemo soprattutto in streaming, anche se rimpiangere il nostro piccolo mondo antico scalda il cuore: dal 2020 i media tradizionali hanno infatti perso nel mondo, secondo il Wall Street Journal, più di 20 miliardi di dollari. Non tutte le settimane c’è il Festival di Sanremo a rimettere in vetrina la tivù generalista. Streaming però non coincide con streaming a pagamento ed è questo il punto: la qualità media delle proposte pay sta scendendo di molto, come ogni abbonato ha potuto constatare nelle quotidiane sessioni alla ricerca del fantomatico «Qualcosa da vedere»: obbligatoria la citazione della profetica 57 Channels (And Nothin’ On) di Springsteen, scritta quando il futuro sembrava la televisione via cavo. E il bombardamento di nuove proposte sta portando a tassi di crescita degli abbonamenti allo streaming sempre più bassi: nel 2023 gli analisti prevedono un più 10%, che è sempre un segno più ma ben lontano dai fasti dell’era COVID, con la gente barricata in casa a fare binge watching.

Numeri

Nel secondo trimestre del 2023 gli abbonati a Netflix sono diventati 238,39 milioni, il 30 giugno 5,89 milioni in più rispetto al 31 marzo: la crisi dello streaming, quindi, anche in proporzione alle aspettative esagerate, va contestualizzata. L’abbonato medio di Netflix, che sia una famiglia o un singolo, guarda programmi della piattaforma per 3,2 ore al giorno e Netflix conta l’8% nel totale di ore di televisione consumate nel mondo. Quanto agli incassi, nei primi 6 mesi del 2023 nelle casse dell’azienda fondata e tuttora diretta da Reed Hastings sono entrati 16,3 miliardi di dollari, assorbendo bene lo stop alla condivisione delle password: gli abbonati del 2011 erano 21,5 milioni, quelli del 2019 pre-COVID 151,5. Quanto agli altri, Disney+ ha 161 milioni di abbonati, Amazon Prime Video 117 e punta ad averne 250 entro il 2027, Paramount+ 61, Apple TV 25 milioni, eccetera: tutti annunciano record megagalattici, ma la realtà è che si va a pescare sempre nello stesso bacino di utenza, il fu Occidente, e nella stessa classe sociale, quella vituperata classe media che nei piani dei grandi manager dovrebbe abbonarsi a tutto e dedicarsi a tempo pieno alla visione di serie e partite sull’iPad.

Generalista

Lo streaming a pagamento presto potrebbe vedere qualche disastro eccellente (dal solo streaming Disney+ ha perso 10 miliardi in 4 anni), qualche segnale già c’è: non ci sono abbastanza prodotti di qualità per tutti e ormai per tappare i buchi anche le piattaforme cool si rifugiano in un catalogo quasi da tivù generalista. Al di là dello sciopero degli sceneggiatori statunitensi, un po’ ovunque ci sono meno idee mentre i prezzi continuano ad aumentare, ultimo caso quello di Disney+. Alla fine quasi senza accorgercene paghiamo un centinaio di franchi, dollari, euro al mese per avere ciò che fino a qualche anno fa dalle pay-tv avevamo con meno della metà, senza contare il fatto che molti (non Netflix) tendono a non permettere la visione delle serie tutte e subito, ma inseriscono una puntata nuova ogni settimana, come nella tivù che guardava nostra nonna. Ufficialmente quella di Sky e altri è una strategia di marketing per creare l’attesa, in realtà serve a dare la sensazione di avere sempre qualcosa di nuovo. Non è quindi strampalato il confronto con la tivù generalista, che sia quella pubblica con il canone o quella privata, che per varietà dell’offerta batte molte piattaforme, a maggior ragione adesso con la lotta abbonato per abbonato a colpi di esclusive e megaproduzioni.

I social network

Se la televisione generalista è meno seguita rispetto a un tempo, e lo streaming è in fase di stallo, chi conquisterà il nostro tempo libero? Tutti i social network basati sui video, a partire da YouTube, che gioca sia nel campionato pay sia in quello free. La piattaforma di proprietà di Alphabet-Google ha 2 miliardi di utenti, con canali da decine di milioni di fan e in molti casi nessuna mediazione fra i produttori di contenuti e gli spettatori. Il nemico mortale dello streaming per così dire classico è proprio questo, cioè che sempre più persone si costruiscono il proprio palinsesto con una molteplicità di micro-contenuti, magari più interessanti della milionesima serie sull’FBI costruita con il bilancino del politicamente corretto. Una televisione di cui noi siamo il direttore scegliendo cosa affiancare alla vecchia generalista. Nel mondo dei personal brand ci sono personaggi che valgono come i giganti dello streaming: guardando gli abbonamenti 2022 a YouTube, in vetta c’è Mr. Beast con 116 milioni di abbonati, ma non mancano celebrità mainstream come Justin Bieber (70,6 milioni), Eminem (54,4), Ariana Grande (52,1), Taylor Swift (50,4) e Rihanna (40,4). Si tratta nella quasi totalità dei casi di canali free, finanziati da pubblicità e affiliazioni, ma il messaggio è chiaro: tutto ciò che sta in mezzo fra la vecchia televisione e la scelta personale dei singoli contenuti nei prossimi anni rischierà grosso. Ne resteranno pochi, forse come in Highlander soltanto uno.

E Netflix intanto dice addio al mercato dei dvd

Il dvd non è ancora finito, ma il noleggio dei dvd invece sì. Ed è per questo che dopo 25 anni Netflix ha deciso di uscire da questo mercato, al di là del fatto che il noleggio rappresentasse ormai meno dell’1% dei ricavi di un’azienda che nel mondo è quasi sinonimo di streaming. La notizia è interessante perché Netflix nasce come società di noleggio di dvd con spedizione a domicilio, andando a sfidare Blockbuster, i suoi negozi fisici e le sue videocassette VHS, che nel 1998 ancora avevano successo. Ed è ancora più interessante perché è vero che il noleggio rappresentava ormai una piccola parte del business di Netflix, ma stiamo comunque parlando di un fatturato che nel 2022 è stato di 145,7 milioni di dollari: niente rispetto ai 31,5 miliardi di incassi dallo streaming, ma molto alla luce del fatto che gli abbonati siano ancora 1,3 milioni. Un fenomeno, quello del noleggio per corrispondenza, quasi unicamente statunitense, ma che in ogni caso volge al termine. Contrariamente a quanto in parte sta avvenendo con il vinile per i dischi, i dvd non stanno beneficiando di alcun effetto nostalgia. Netflix, che è sul mercato dello streaming dal 2008, ha preso atto che la generazione del dvd, cioè nella sostanza i Millennials, non è abbastanza anziana per tenere vivo questo mercato e così ha tagliato quello che nella sua logica è un ramo secco. Nel 2011 si sono venduti nel mondo 6,1 miliardi di dvd e nel 2022 si è superato di poco il miliardo, senza fare grandi inchieste chiediamoci quanti dvd abbiamo guardato nell’ultimo anno: sono gli stessi discorsi fatti per l’industria discografica, con lo stesso finale.