Tutto nasce dalle ninne nanne

Musica e cervello: che cosa li unisce? Partiamo da una semplice costatazione: provate a far ascoltare al vostro gatto un pezzo dei Metallica, poi La Verzaschina e infine l’Adagio di Albinoni. La musica che ascolta entra da un orecchio e esce dall’altro. Il gatto non batte ciglio. Potete anche offrigli l’ascolto di Quarantaquattro gatti dello Zecchino d’Oro, ma nemmeno una canzone a tema modificherà il suo comportamento. Anche i primati più vicini a noi non apprezzano la musica. I ricercatori hanno tentato di tutto per scovare un minimo di interesse musicale nelle scimmie. I nostri cugini evolutivi restano indifferenti alla musica. Sentono e percepiscono la musica, ma è come se fosse senza significato. Per loro Beethoven resta piuttosto un cane e non un compositore. È vero, ci sono animali che «cantano». Canarini e tanti altri uccelli producono suoni ma con tutt’altro scopo. Negli uccelli il canto è un preciso linguaggio che contiene diversi messaggi: dai suoni d’allarme, all’identificazione dei simili. Spesso il loro canto è in stretta relazione con il corteggiamento e la vita sessuale. Addirittura in alcune specie di uccelli, chi canta male non si riproduce. Un fatto che non riscontiamo tra gli umani: ci sono orde di persone stonate che si riproducono senza problemi.
Melodie, ritmiche ed evoluzione
Cosa ha quindi di particolare il canto e la musica nell’essere umano? Robert Zatorre e Sandra Threub, due tra i massimi esperti al mondo che studiano il legame tra musica e cervello credono che si possa ipotizzare una possibile storia biologica delle nostre competenze musicali. A favore delle origini biologiche della musicalità vi sono diversi elementi. Il primo è un’evidenza disarmante: il canto e la musica sono nati in maniera indipendente in tutte le culture, si canta dall’Australia alle Americhe fino al Polo Nord. Secondo elemento: le diverse culture hanno creato un linguaggio musicale su una base comune, con concetti di base identici, come se ci fossero delle leggi universali iscritte nell’orecchio e nel cervello umano. Terzo elemento: abbiamo nel nostro cervello delle strutture capaci di identificare melodie e ritmi. Questi centri cerebrali sembrano specifici, distinti dai centri del linguaggio. Letta così, la musica diventa un enigma. Seguendo questa ipotesi, significherebbe che la musica potrebbe aver assegnato all’uomo un vantaggio evolutivo. Ma in che cosa la musica è utile per la sopravvivenza?
La ninna nanna per i bambini
Un elemento a favore delle origini biologiche della musicalità è il comportamento dei bebè. I bambini sono sensibili alla musica fin da piccoli, appena possono, ancor prima di parlare, provano a imitare con versi e monosillabe le melodie. Non solo, l’orecchio e le aree uditive si sviluppano nel feto già nel ventre materno. Cultura, educazione e esposizione a certi tipi di musica andranno poi a plasmare le preferenze, ma una base innata e naturale resta. In questo rapporto con la musicalità subentra poi un secondo elemento comune a tutti gli esseri viventi di tutte le culture: le ninne nanne. In tutte le culture le ninne nanne sono ritornelli musicali cantati da chi si prende cura dei bambini. Hanno una struttura identica, sono cantilene semplici, ripetitive, che si cantano sottovoce. Le ninne nanne consolidano i legami genitore - bambino, ma per farlo occorre che il cervello del bambino abbia già i centri della percezione musicale sviluppati. Deve poter percepire melodie, ritmi, altezze. La musica è infatti recepita dal neonato ancor prima delle parole. Questo permette al genitore non solo di cullare il figlio, ma anche di sfogare con dolcezza le proprie fatiche («ninna nanna ninna oh, questo bimbo a chi lo do?»). Una specie di confessione della propria stanchezza cantata con tenerezza. Per alcuni ricercatori la struttura simile di tutte le ninne nanne del mondo e il fatto che i bebè di tutte le culture gradiscano questi canti è un segnale a favore delle origini naturali della musicalità umana.
Meglio cantare che spulciarsi
Tra le varie teorie sull’utilità della musica ne esiste una curiosa. L’uomo è un animale sociale e come tale, per mantenere l’unità nel gruppo, necessita di azioni che possano fungere da collante sociale. Le scimmie più vicine a noi, hanno trovato due soluzioni: le attività sessuali promiscue e ripetute o lo spulciarsi a coppie. L’uomo si avvale della parola e di alcuni riti. Secondo alcuni ricercatori anche il canto e la musica potrebbero avere questo ruolo. Se con la parola si possono tenere unite tre o quattro persone, con il canto centinaia. Non sorprende che nelle funzioni religiose, nelle parate militari, fino ai giochi dei bambini la musica sia sempre presente. Secondo questa ipotesi, nel tempo la tolettatura sociale tipica della scimmia è stata rimpiazzata da qualcosa di più edificante: la musica e il canto. Inoltre lo spulciarsi per le scimmie, e il danzare e cantare per gli uomini hanno tratti comuni: liberano i neurotrasmettitori del piacere e consolidano il gruppo.
Allora a che cosa serve la musica? Secondo lo psicologo Steven Pinker non bisogna cercare troppo lontano: noi umani pratichiamo cose inutili a condizioni che queste azioni provochino piacere, attivando i circuiti della ricompensa. Nel corso del tempo il nostro cervello ha imparato a rispondere a stimoli quali il cibo, il sesso o l’interazione sociale, ricompensandoci con il piacere affinché queste azioni siano mantenute e ripetute. Lo stesso circuito si attiva però anche con il gioco d’azzardo, le droghe e la musica. È una piccola e piacevole disfunzione, quasi una stonatura. E fra tutte le cose inutili è forse la più bella.