Ucraina, sul piano di pace ora tocca a Mosca decidere

Berlino chiama Washington. E, indirettamente, anche Mosca. Due giorni di colloqui nella capitale tedesca hanno prodotto un compromesso, l’unico veramente possibile, per una tregua (o una pace) in Ucraina. Un piano in 20 punti, secondo quanto trapelato, sarebbe stato consegnato oggi ai mediatori della Casa Bianca, chiamati ora a condividerlo con il presidente Donald Trump e con il Congresso, quindi, a girarlo al Cremlino.
La trattativa rimane complessa. E incerta. Il principale punto di disaccordo tra Kiev e i negoziatori statunitensi è la questione territoriale. Trump vorrebbe che l’Ucraina cedesse le parti della regione del Donbass non ancora occupate militarmente dai russi. Una proposta che il presidente Volodymyr Zelensky giudica inaccettabile.
Parlando oggi davanti al Parlamento dei Paesi Bassi, lo stesso Zelensky ha affermato che «ogni singolo dettaglio conta», aggiungendo che nulla, nell’accordo di pace proposto, dovrebbe «diventare una ricompensa per l’aggressione russa. Se l’aggressore riceve una ricompensa, inizia a credere che la guerra ripaghi. Non può essere che coloro che uccidono vengano improvvisamente trattati come partner rispettabili».
La posizione negoziale russa «non è ancora cambiata: vogliono il Donbass. E noi non vogliamo cedere il Donbass», ha poi ripetuto Zelensky in un incontro con i giornalisti al World Forum dell’Aja.
La Russia ha occupato quasi tutti i villaggi dell’Oblast di Luhansk, l’Ucraina continua a controllare parti significative dell’Oblast di Donetsk, tra cui le città chiave di Sloviansk e Kramatorsk. Secondo la visione americana, Kiev dovrebbe ritirarsi dalle aree rimanenti, che verrebbero quindi designate come zona demilitarizzata. Il territorio sarebbe riconosciuto a livello internazionale come appartenente alla Russia, sebbene alle truppe del Cremlino sarebbe vietato l’ingresso nella zona.
«Gli americani vogliono trovare un compromesso, offrono una “zona economica libera”. E lo sottolineo ancora una volta: “zona economica libera” non significa sotto la guida della Federazione Russa - ha però replicato Zelensky - né de jure, né de facto riconosceremo il Donbass come russo, nemmeno la parte temporaneamente occupata». Sottolineando che, con gli americani, non esiste «consenso su questo tema».
Tra ottimismo e incertezze
L’ottimismo mostrato dagli inviati statunitensi Steve Witkoff e Jared Kushner al termine dei due giorni di colloqui a Berlino non sembra, quindi, del tutto giustificato. Se è vero, come ha detto Witkoff, che «il 90% delle problematiche questioni tra Russia e Ucraina» è stato risolto, è altrettanto vero che la fine della guerra non appare più vicina, soprattutto considerando il fatto che Mosca non sembra intenzionata a recedere dalle proprie posizioni. Soprattutto quelle relative alla ventilata garanzia di sicurezza NATO da estendere all’Ucraina, garanzia su cui dovrebbe esprimersi il Congresso di Washington.
Oggi, il Cremlino ha dichiarato di non aver visto i dettagli delle proposte su questa delicata questione. «Abbiamo letto finora articoli di giornale, ma non risponderemo. Non abbiamo ancora ricevuto il testo ufficiale», ha detto ai giornalisti il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Aggiungendo, subito dopo, che Mosca esclude la possibilità della presenza di truppe straniere in Ucraina; e non cambia opinione sul conflitto e sul raggiungimento dei propri obiettivi militari.
«La nostra posizione è ben nota. È coerente, trasparente ed è chiaro agli americani. E, in generale, è chiaro anche agli ucraini», ha detto Peskov.
Anche il viceministro russo degli Esteri, Sergei Ryabkov, ha dichiarato che la Russia non accetterebbe truppe provenienti dai Paesi della NATO che operino in Ucraina, «in nessuna circostanza». Non specificando se tale formulazione includesse anche truppe provenienti da Paesi NATO operanti però sotto un comando separato e non appartenente all’Alleanza atlantica.
La risposta di Trump
La domanda che tutti si pongono, adesso, è una sola: che cosa farà Donald Trump? Terrà il punto e difenderà il testo nato dai colloqui di Berlino con UE e Ucraina o tornerà di nuovo indietro sulle posizioni russe, com’era già accaduto in occasione dell’ormai famoso piano in 28 punti da tutti giudicato una sorta di resa a Vladimir Putin?
La tesi del presidente americano sulla volontà di tutti gli attori in campo di finirla al più presto con questa guerra ha sicuramente un fondo di verità. Ma il negoziato resta durissimo. Nessuno vuole recedere dalle proprie posizioni per non essere costretto a subire una sconfitta politica prima che militare.
Il ruolo dell’Europa
Un punto, tuttavia, appare chiaro: in questa situazione in movimento continuo, è cresciuto il ruolo dell’Unione Europea che ha avuto soprattutto il grande merito di bloccare la proposta in 28 punti di Trump e di costringere gli Stati Uniti a rivedere in modo più equilibrato la bozza del piano di pace. L’UE, assieme alla Gran Bretagna, è sempre più consapevole di dover sostenere Kiev dal punto di vista politico, economico e militare. E di dovere, in questo, sostituirsi quasi completamente agli USA. Per questo ha accelerato sulla confisca dei beni russi congelati e si dice pronta a schierare sul terreno una futura forza di pace (opzione che, peraltro, la Russia non intende accettare).
