Processo

Un buco da oltre 20 milioni in ambito immobiliare

Alla sbarra il titolare di una società di Lugano che rischia oltre cinque anni di carcere e il suo presunto complice – È sostanzialmente reo confesso: «So di aver fatto un errore spaventoso: ho tirato troppo la corda e non mi sono reso conto dell’ampiezza dell’indebitamento»
© © Ti-Press/Davide Agosta
Federico Storni
06.04.2022 20:02

Che si fa quando un paio di progetti immobiliari non vanno come sperato, complice scelte errate e un mercato che si sta fermando, e l’indebitamento cresce? Si getta la spugna o si prova a rimediare? L’amministratore unico della M&A Property di Lugano - un 68.enne italiano - ha optato per la seconda strada, e ora si trova a dover spiegare alla Corte delle assise criminali di Lugano come si è creato un buco di circa 24 milioni di franchi fra il 2014 e il 2020. O meglio, potenziale buco. Perché parte delle somme potrebbero essere recuperate. In ogni caso, rischia oltre cinque anni di carcere per ripetuta appropriazione indebita e per ripetuta truffa per mestiere in complicità con un dirigente della società - un 58.enne svizzero alla sbarra con lui - nonché singolarmente per cattiva gestione, truffa Covid, riciclaggio, minaccia, ingiuria e danneggiamento (gli ultimi tre reati ai danni dell’ex moglie). L’uomo, difeso dall’avvocato Elio Brunetti, è sostanzialmente reo confesso, ma contesta le accuse di truffa e riciclaggio. Lo svizzero, difeso dall’avvocata Michela Pedroli, contesta invece entrambe le imputazioni a suo carico, sostenendo in sostanza di essere stato all’oscuro delle macchinazioni, non avendo peraltro accesso ai conti societari. La Corte è presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti.

Come ci siamo arrivati

Cosa è successo, quindi? La vicenda è stata ripercorsa ieri in aula (oggi prenderanno la parola accusa e difese) dallo stesso amministratore unico, che ha spiegato che la sua società (controllata da un’omonima lussemburghese) è entrata in difficoltà all’incirca nel 2014. Ha inoltre precisato di non essere un costruttore, bensì un finanziatore. Il suo modello di business consisteva quindi nel trovare investitori e nel rivendere poi gli immobili una volta completati. Per una serie di fattori, però, il modello si è incrinato. A distanza di poco tempo e per diversi motivi il 68.enne non è riuscito a vendere diversi appartamenti (alcuni li metterà poi a reddito, tenendoseli). Ciò ha causato problemi di liquidità e di indebitamento, con investitori da rimborsare. È a questo punto che l’uomo, per l’accusa in complicità con il 58.enne, ha deciso di emettere nuove obbligazioni per provare a fare uscire l’azienda dal momento di difficoltà. Secondo la procuratrice pubblica Chiara Borelli si tratterebbe però di appropriazione indebita, perché dei 36 milioni raccolti, 24 sono stati usati per scopi diversi rispetto a quanto indicato agli investitori. Una ricostruzione che non è peraltro contestata dall’amministratore unico, che ha però precisato di non essersi in alcun modo arricchito dall’operazione e, in sostanza, di averla fatta in buona fede per salvare l’azienda: «Oggi so di aver fatto un errore spaventoso: ho tirato troppo la corda e non mi sono reso contro dell’ampiezza dell’indebitamento. Sono intervenuto in ritardo, e avrei dovuto farlo in modo più incisivo».

La buona notizia, se così si può definire, è che non tutto il denaro è sparito nel nulla: alcuni milioni sono bloccati sui conti dei due e della società, e vi sono alcuni appartamenti che possono essere venduti, cosa che potrebbe permettere di far riaffiorare una dozzina di milioni di franchi (sempre che stavolta si trovino acquirenti per gli appartamenti). Il buco restante è invece più difficilmente recuperabile: il denaro è confluito nelle spese di gestione della società (stipendi, assicurazioni sociale, fatture da pagare).

Truffa contestata

A livello penale si tratta quindi soprattutto di una questione di commisurazione della pena. Come accennato, le contestazioni sono tutto sommato poche. Ai due viene imputata una truffa da circa 5 milioni ai danni di promotori finanziari pescaresi che sarebbe stati indotti con l’inganno a sottoscrivere le obbligazioni, ma a mente degli imputati non vi sarebbe stato alcun inganno astuto, proprio perché si trattava di professionisti del settore e non di sprovveduti: sapevano cosa stavano firmando. Per una fattispecie simile, peraltro, un membro di direzione di una banca ticinese è stato raggiunto da un decreto d’accusa ormai cresciuto in giudicato. L’accusa era quella di appropriazione indebita a favore di terzi (cioè del 68.enne).

Spunta il caso Adria

L’italiano respinge anche l’accusa di riciclaggio. Secondo Borelli avrebbe accettato 1,7 milioni dovutigli da persone coinvolte nel crac Adria pur sapendo che provenivano da un credito di costruzione (e dunque non potevano essere usati per rimborsare un prestito). Lui afferma di non sapere da dove venissero i soldi.