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Un elefante nella stanza della NATO

Crescono i timori tra gli alleati per una vittoria di Donald Trump alle prossime presidenziali - Tra le conseguenze di un suo ritorno alla Casa Bianca ci sono aspetti legati alla sicurezza in Europa - Ma gli effetti maggiori si misurerebbero a livello di relazioni commerciali
©Kevin Lamarque
Francesco Pellegrinelli
18.01.2024 06:00

Ha iniziato il suo mandato nel 2017 dicendo agli alleati europei che avrebbero dovuto pagare di più per la loro sicurezza e lo ha concluso minacciando di abbandonare la NATO.

A poche ore dal trionfo di Donald Trump al vertice repubblicano in Iowa, l’ex presidente americano fa tremare Bruxelles. A soffiare sul fuoco delle inquietudini europee, negli scorsi giorni, ci ha pensato anche il portale «Politico», rivelando il tenore di un incontro tenuto con la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, a margine del Forum economico di Davos nel 2020: «Voi dovete capire che se l’Europa sarà attaccata, non verremo ad aiutarvi».

Una conferma dei peggiori timori per il Vecchio Continente in vista di un possibile ritorno dell’ex presidente alla Casa Bianca. Ipotesi, secondo i sondaggi, per nulla remota, che ha messo in allarme diverse amministrazioni europee, generando quello che il New York Times ha definito, recentemente, «un pellegrinaggio di ambasciatori alla corte di The Donald» con l’obiettivo di comprendere le sue intenzioni in caso di rielezione.

Trump, del resto, non ha mai fatto mistero della sua profonda insofferenza riguardo alla NATO, corollario indiretto di una dura campagna a favore di un maggiore impegno degli alleati europei nella spesa militare. Una richiesta che durante la presidenza Trump ha assunto i contorni, tutt’altro che rassicuranti, di un ricatto. A scanso di equivoci, un riferimento diretto all’Alleanza Atlantica oggi figura anche sul sito internet dell’attuale campagna del tycoon. «Dobbiamo finire il processo cominciato con la mia amministrazione volto a riconsiderare lo scopo e la missione della NATO». Un ritornello già utilizzato in passato che, oggi più che mai, pone una serie di interrogativi, innanzitutto sulla sua reale minaccia e, in secondo luogo, sulle possibili conseguenze a livello di sicurezza globale e, in particolare, europea.

L’alleanza svuotata

La premessa di Mario Del Pero, professore di Storia internazionale a SciencesPo, è netta: «Non è pensabile che gli Stati Uniti escano dalla NATO. È tuttavia immaginabile che una seconda amministrazione Trump punti a un disimpegno statunitense, pur rimanendo all’interno dell’Alleanza Atlantica». Poche settimane fa, il Senato ha infatti approvato una misura patentemente anti-Trump e finalizzata a impedire questa eventualità: «La norma impone, al Presidente che volesse far uscire gli Stati Uniti dalla NATO, la ratifica di tale decisione da parte di due terzi del Senato». Possibilità pari a zero, dunque.

Sulla stessa linea di pensiero anche Giovanni Baroni Adesi, ordinario di Teoria finanziaria presso l’USI e profondo conoscitore della politica americana: «È più probabile che Trump, pur rimanendo nella NATO, faccia come De Gaulle, ossia si astenga dal prendere decisioni congiunte, lasciando che i Paesi europei se la sbrighino da soli». Disimpegno, appunto. Ma con quali effetti sulla sicurezza europea? Ancora Del Pero: «In primo luogo, l’Europa dovrebbe farsi maggiormente carico della propria sicurezza, aspetto per altro rivendicato dagli Stati Uniti sin dal 1949, anno della nascita del Trattato del Nord Atlantico».

Gli interessi economici

Del resto, la cosiddetta «condivisione degli oneri» è centrale in tutta la storia delle relazioni euro-americane, spiega ancora Del Pero. Una richiesta che sotto l’amministrazione Obama si è formalizzata nell'impegno a portare la spesa militare al 2% del PIL nazionale. «Oggi l’Europa cerca di correre ai ripari, lo ha fatto in parte la Germania annunciando investimenti miliardari. Altri Paesi sono più timidi», commenta ancora Barone Adesi. Anche operativamente qualche sforzo è stato fatto. «Dopo l’intervento in Ucraina, la NATO ha ritrovato la sua missione e la sua logica. È chiaro però che senza la leadership americana si troverebbe in difficoltà». Secondo Del Pero, tuttavia, un disimpegno USA non equivarrebbe a uno smantellamento completo della presenza militare in Europa: «La NATO ha esteso diplomaticamente la sua alleanza alla Finlandia. La Svezia seguirà. Di fronte a un improbabile attacco di Putin non è comunque ipotizzabile che gli USA, anche sotto Trump, stiano con le mani in mano. Le 700-800 basi militari USA in giro per il mondo parlano da sole e gli interessi economici sarebbero prevalenti».

Vento protezionista

Parlare di propensione isolazionista degli USA, anche nel caso di Trump, è quindi improprio, aggiunge Del Pero. «Il dollaro è la valuta egemone che occupa più del 60% delle riserve di denaro in tutte le banche centrali del mondo. Gli Stati Uniti sono pienamente integrati in questo ordine. È impensabile che vogliano separarsene». Ciò non toglie che una diversa impostazione delle relazioni commerciali con l’Europa è fortemente probabile. «È facile immaginare che Trump attivi misure protezionistiche che potrebbero colpire anche l’Europa», osserva Barone Adesi. «Trump è sostenitore dell’America First Policy, ossia tende a impiegare il potere degli USA per proteggere il mercato interno. Verso la fine del suo mandato è stato molto protezionista». Barone Adesi ricorda la decisione di interrompere l’accordo per il commercio transatlantico. Secondo l’esperto, quindi, un aumento delle tensioni commerciali tra USA e UE è da mettere in conto. «Per quanto riguarda invece la Svizzera, Trump si è sempre dimostrato molto amichevole, molto di più di quanto non lo sia stato Biden. L’ex presidente vuole infatti mantenere buoni rapporti con le piazze finanziarie importanti in modo da incentivare gli investimenti in America».

Tensioni latenti

Tornerà quindi la guerra dei dazi? «Sicuramente i dazi di Trump hanno creato grosse difficoltà, ma ricordiamoci che l’attuale Inflaction Reduction Act di Biden, senza apparenti misure protezionistiche, ha dato grandi incentivi fiscali alle aziende europee considerate strategiche affinché aumentassero gli investimenti negli Stati Uniti a scapito dell’Europa». Insomma, con modi più urbani, lo stesso Biden ha ingaggiato relazioni commerciali con il Vecchio Continente all’insegna della competitività. «Trump proseguirebbe su questa linea inasprendo la politica di re-industrializzazione degli Stati Uniti», osserva ancora Barone Adesi, secondo il quale un’eventuale rielezione del tycoon - per l’Europa e quindi per la Svizzera - sarebbe senza dubbio problematica.

La globalizzazione e la Cina

Anche secondo Del Pero, il processo di de-globalizzazione portato avanti da Biden in chiave anti-Cina subirebbe un’accelerata con una seconda amministrazione Trump. «Biden pensa che in ambito economico si debba uscire dall’integrazione globale, che avvantaggia la Cina, per rafforzare, in maniera bilaterale, le relazioni regionali con gli alleati del Sud Est asiatico e dell’Europa. Trump, pur proseguendo con una politica che mira alla rottura delle dinamiche globali, e quindi a un disaccoppiamento dell’economia europea con quella cinese, potrebbe ingaggiare una guerra economica a tutto tondo, senza tenere conto delle relazioni privilegiate con gli alleati storici». Il lato potenzialmente positivo? «L’Europa potrebbe essere obbligata a promuovere una linea più aggressiva a sostegno della propria economia».

Non da ultimo, secondo Del Pero, un’eventuale seconda amministrazione Trump si manifesterebbe con grande incisività su temi che non riguardano direttamente l’Europa, come il confine meridionale con il Messico, una politica draconiana di espulsione degli immigrati irregolari, una politica aggressiva in materia di sostegno alle fonti fossili, o ancora una politica di tolleranza zero verso la microcriminalità.

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